Iscrizione di Nazaret
Il testo della lapide | ||||
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Iscrizione di Nazaret (o lapide di Nazaret) è il nome convenzionale generalmente attribuito a una lastra di marmo di 24 x 15 cm recante una iscrizione greca in 22 linee, riportante la prescrizione della pena capitale per chi avesse asportato cadaveri da sepolcri. È suggestiva (ma non sicura) l'ipotesi che la legge sia stata emanata in risposta alla tomba vuota di Gesù (cfr. Mt 28,11-15 ) e all'annuncio cristiano della sua risurrezione.
Storia
La prima notizia certa che si ha della lapide è che fu acquisita dalla Collection Froehner nel 1878, e inventariata con una scarna nota manoscritta: "Dalle de marbre envoyée de Nazareth en 1878"[2]; tale nota asserisce unicamente il luogo di provenienza e l'anno di acquisizione, senza fornire alcuna indicazione sulle circostanze e sulla data del ritrovamento[2].
Pur dando fede a tale laconica annotazione, non è possibile dedurne alcunché, come fanno alcuni studiosi (tra cui Michael Green), sulla località in cui essa è stata scoperta o in cui era originariamente eretta[2]. Non è escluso che la stele sia pervenuta a Nazareth da un diverso luogo, non necessariamente nell'antichità, forse anche in un'epoca moderna, non esclusi gli anni settanta dell'Ottocento, quando la città, al pari di Gerusalemme, era sede naturale di un mercato di reperti antiquari[3].
Nel 1925 la lapide, insieme alla collezione, fu acquistata dalla Bibliothèque Nationale de France, dove è oggi in mostra al Cabinet des Médailles.
Lingua
La lingua dell'iscrizione rimanda al greco della koinè dei due secoli a cavallo dell'inizio dell'evo moderno[4], ma la lettura del testo lascia l'impressione che la sua redazione riposi su un originale latino[5].
Natura del documento
Non vi è accordo tra gli studiosi sulla reale natura del documento, se esso sia da considerarsi un rescritto, o invece un editto imperiale[6]. A quest'ultimo potrebbe ricondurre il significato generalmente associato al termine in greco diátagma (Kaísaros) e l'analogia tra le formula prescrittive utilizzate (piace a me..., ordino) con quelle leggibili nel primo editto di Augusto a Cirene[6].
Autenticità
Il testo della lapide fu pubblicato da Franz Cumont nel 1930[7], su sollecitazione di Michael Rostovtzeff[2].
Da allora l'autenticità del reperto è largamente accettata, nonostante le contestazioni di alcuni studiosi che ne hanno ipotizzato la genesi in una falsificazione effettuata in epoca antica. Ma contro tale ipotesi sta il fatto che, se l'iscrizione fosse un prodotto locale, opera di magistrati o del proprietario di una tomba, essa non avrebbe l'apparenza stilistica di un calco da un testo originale in lingua latina[8].
Altri hanno invece ipotizzato una falsificazione del XIX secolo, finalizzata in questo caso alla creazione di una prova antica della Risurrezione di Gesù[9][8]. Ma contro quest'altra ipotesi si osserva che la scrittura è troppo complessa e pleonastica per essere stata prodotta al solo scopo di ingannare il pubblico[8]. Si ritiene inoltre improbabile che un falsario moderno, in epoca anteriore al 1878, sia stato in grado di servirsi di elementi stilistici e di itacismi che oggi si riconoscono tipici della scrittura greco-ellenistica dell'epoca[8].
Testimonianza della resurrezione di Gesù?
È aperto il dibattito se l'iscrizione di Nazaret sia una prova della storicità di Gesù e della sua resurrezione, relazionata alla sparizione del corpo di Gesù dal sepolcro.
Franz Cumont, autore della "magistrale editio princeps"[10], pur escludendo categoricamente tale ipotesi, propende per un'origine pre-cristiana dell'iscrizione[10].
Clyde Billington del Northwestern College (Minnesota) data l'iscrizione[11] all'anno 41, e la ritiene una prova della storicità della risurrezione di Gesù; essa sarebbe stata redatta nel decennio successivo alla sua crocifissione.
Il teologo anglicano Michael Green ritiene che questa iscrizione sia la dimostrazione che, immediatamente dopo la morte di Cristo, la tomba vuota aveva creato una reazione da parte dell'autorità costituita:
« | È indicata con il nome di iscrizione di Nazaret, dalla cittadina dove venne ritrovata. Essa riporta un editto imperiale, redatto sotto Tiberio (14-37 d.C.) o Claudio (41-54). È una invettiva, con le relative sanzioni, che colpiva i profanatori di tombe e sepolcri. Sembra verosimilmente una reazione alla tomba vuota che il rapporto di Ponzio Pilato deve aver riportato all'imperatore come l'atto di un furto perpetrato dai suoi discepoli. L'editto è la risposta dell'autorità a questo evento. » | |
(Man Alive, 1968, p. 36)
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Altri studiosi datano la lapide a epoca più tarda. Erhard Grzybek, sulla base di considerazioni stilistiche, data l'iscrizione al 63 o al 64, e la attribuisce all'imperatore Nerone (54-68 d.C.)[12]. All'iniziativa neroniana, forse sollecitata dalla "giudaizzante" Poppea, aderisce anche la studiosa Marta Sordi[12], che già da tempo aveva anticipato l'ipotesi di identificazione, basandosi però su considerazioni storiche[6].
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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