Nerone

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Nerone
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battezzato
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Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 30 anni
Nascita Anzio
15 dicembre 37
Morte Roma
9 giugno 68
Sepoltura
Conversione
Appartenenza
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Nerone Claudio Cesare Druso Germanico (lat. Nero Claudius Caesar Drusus Germanicus; Anzio, 15 dicembre 37; † Roma, 9 giugno 68) è stato il quinto imperatore romano, ultimo della dinastia dei giulio-claudi.

Ottenuto il potere nel 54, dopo una prima fase di governo moderato e clemente si lasciò andare a crudeltà e dissolutezze. Tra i suoi crimini, si segnalano l'uccisione della madre Agrippina, la costrizione al suicidio del filosofo Seneca e la morte di numerosi altri senatori.

Nel 64, per stornare da sé le accuse di aver provocato intenzionalmente l'incendio di Roma, diede avvio alla prima persecuzione contro i cristiani. Quattro anni dopo, in seguito alla sollevazione degli eserciti dislocati nelle province, braccato dagli emissari del Senato, si tolse la vita.

Biografia

Prima giovinezza

Figlio di Gneo Domizio Enobarbo e di Agrippina Minore, ebbe alla nascita il nome di Lucio Domizio Enobarbo. Quando a tre anni perse il padre, l'imperatore Caligola, coerede, si impossessò dell'intero patrimonio. Dopo la condanna al confino di Agrippina, il piccolo fu allevato da una zia paterna. Alla morte di Caligola il nuovo imperatore Claudio, fratello di Germanico, padre a sua volta di Agrippina, reintegrò nei propri diritti Domizio e sua madre[1].

Nell'anno 48, dopo la scoperta del tradimento da parte della sua terza moglie, la dissoluta Valeria Messalina, subito dopo assassinata, l'imperatore Claudio sposò in quarte nozze la nipote Agrippina. Questa, poco più che trentenne e con alle spalle già due matrimoni, con le proprie lusinghe era riuscita, mossa dall'ambizione, a entrare nelle grazie del quasi sessantenne zio.

Al tempo stesso Agrippina si diede da fare affinché Claudio adottasse suo figlio Domizio, che assunse il nome di Nerone ed entrò a far parte della famiglia claudia. Nerone fu preposto nella successione imperiale a Britannico, figlio di Claudio, di tre anni più giovane di lui; due anni dopo, anche stavolta grazie alle manovre di Agrippina, a Nerone fu data in sposa Ottavia, figlia di Claudio e Messalina.

Per preparare Nerone al governo, ma anche per compiere un atto gradito all'opinione pubblica[2], Agrippina fece richiamare a Roma il filosofo Lucio Anneo Seneca, esiliato alcuni anni prima in Corsica da Claudio per volontà di Messalina. Sarebbe stato consigliere del giovane Nerone anche Afranio Burro, valido soldato, fatto nominare da Agrippina prefetto del pretorio.

Ascesa al trono imperiale

Nel 54 Claudio morì avvelenato da Agrippina. Nerone fu acclamato imperatore dai pretoriani e la proclamazione fu poi ratificata dal Senato. Subito dopo l'ascesa al trono del figlio, Agrippina iniziò a sbarazzarsi delle persone sgradite e degli eventuali oppositori, ma la catena degli assassinî ebbe fine per l'intervento di Burro e Seneca, che talvolta dovettero anche intervenire per impedire inopportune sue ingerenze negli affari di governo[3].

Sotto la guida di Seneca e Burro, reali detentori del potere, i primi anni dell'impero di Nerone furono prosperi sotto ogni aspetto. Il nuovo Imperatore, appena salito al trono, compì diversi atti di umiltà, clemenza e liberalità, rifiutando anche gli onori eccessivi offertigli dai senatori per adulazione. Intervenne inoltre per limitare l'ingerenza della corte nell'amministrazione della giustizia e conservò al Senato le sue antiche attribuzioni.

Eliminazione di Britannico e di Agrippina

A indebolire l'influenza di Agrippina sul figlio Nerone contribuì in modo significativo la relazione con la liberta Atte, sostenuta anche da Seneca e Burro, timorosi che l'Imperatore, avverso alla moglie Ottavia, intrecciasse delle tresche con donne di grande casato[4]. Questo, però, provocò la gelosia di Agrippina, che cominciò a minacciare Nerone e ostentare simpatia per il figliastro Britannico. A queste provocazioni Nerone reagì avvelenando Britannico: durante un banchetto gli fece servire una bevanda avvelenata che lo uccise sul colpo.

In seguito a questo assassinio, Agrippina si avvicinò alla nuora Ottavia e iniziò a raccogliere denaro e amici tra i tribuni, i centurioni e i nobili, quasi cercando di formare una sua fazione all'interno della corte[5]. Quando ne fu informato, Nerone tolse ad Agrippina la guardia dei pretoriani precedentemente assegnatale e la relegò in una residenza separata.

Più tardi Nerone iniziò la sua relazione con Poppea Sabina. Con le sue lusinghe lei riuscì a conquistare l'Imperatore, che decise di allontanare da Roma Otone, marito di lei e futuro imperatore, inviato come governatore in Lusitania. Nel 59, istigato da Poppea, Nerone si decise ad assassinare Agrippina, come meditava da tempo. Dapprima tentò di avvelenarla[6]; successivamente fece simulare un incidente: invitata la madre a un festino a Baia, la fece salire su una nave che, arrivata al largo, fu fatta affondare grazie a un congegno predisposto. Agrippina, però, riuscì a salvarsi guadagnando la spiaggia a nuoto.

Quando ne giunse notizia a Nerone, gli stessi Seneca e Burro, consapevoli dell'inevitabilità della vendetta di Agrippina, assecondarono Nerone nei suoi piani e permisero che Agrippina fosse assassinata. In seguito, Nerone fu preso da forti sensi di colpa per il matricidio compiuto; Seneca divenne oggetto di biasimo per aver redatto a nome dell'Imperatore un messaggio al Senato in cui, secondo una inverosimile ricostruzione dei fatti, si accusava Agrippina di aver preparato una congiura contro suo figlio e di essersi uccisa dopo che questa era stata scoperta.

Morte di Burro e matrimonio con Poppea

Nel 62 morì Burro, "non si sa se per malattia o veleno"[7]. Prese il suo posto come prefetto del pretorio il potente Ofonio Tigellino, tristemente noto per la sua spudoratezza. Con la morte di Burro venne meno anche l'influenza di Seneca che, viste le accuse diverse mossegli da più parti, preferì ritirarsi spontaneamente a vita privata.

Nerone, poi, forte dell'adulatoria condiscendenza del Senato, ripudiò come sterile la moglie Ottavia per sposare l'amante Poppea. I tumulti popolari che ne seguirono servirono solo ad accrescere la paura e l'odio da parte di Poppea: Ottavia, falsamente accusata di adulterio e di aver tramato contro l'Imperatore, fu esiliata nell'isola Pandataria, l'odierna Ventotene. Lì, più tardi, fu atrocemente assassinata dai sicari di Nerone. L'anno successivo Poppea diede a Nerone una figlia, che però morì prematuramente.

Incendio di Roma e persecuzione dei cristiani

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Persecuzione di Nerone
Hubert Robert, Incendio di Roma del 18 luglio 64 (1785), olio su tela; Le Havre (Francia), Musee des Beaux-Arts Andre Malraux

Il 18 luglio 64, scoppiò il famoso incendio di Roma, che distrusse gran parte della città. Nerone, che per la voce popolare era stato mandante dell'incendio, fece ricadere l'accusa sui cristiani di Roma, dando avvio alla prima persecuzione contro la Chiesa da parte dell'autorità romana. In essa furono martirizzati, tra gli altri, san Pietro e san Paolo.

Nel frattempo, veniva ricostruita Roma: larghe strade e piazze furono progettate dagli architetti imperiali e case di pietra sorsero dove prima si trovavano case di calce e legno. Nerone, intanto, edificava per sé la splendida Domus aurea, abbellita da parchi e specchi d'acqua. Per pagare gli alti costi della ricostruzione vennero depredate l'Italia e le province; gli stessi templi furono privati di opere d'arte e doni votivi.

Congiura di Pisone

Agli inizi del 65, raccogliendosi intorno a Calpurnio Pisone, di nobilissima famiglia e amato dal popolo, alcuni senatori, cavalieri e soldati organizzarono contro Nerone una congiura, cui presero parte anche alcune donne. Il complotto fu però scoperto per la delazione dello schiavo di uno dei membri della congiura. Con la minaccia della tortura, Nerone riuscì a ottenere i nomi di alcuni cospiratori, che a loro volta tradirono amici e familiari.

Numerose persone furono assassinate o costrette a togliersi la vita: Pisone, rifiutatosi di fare un estremo tentativo per spingere l'esercito e il popolo alla rivolta, al sopraggiungere di un manipolo di soldati di Nerone a casa sua, si tolse la vita tagliandosi le vene dei polsi. Simile morte fecero, tra gli altri, Seneca, il poeta Lucano, lo scrittore Petronio e lo stoico Trasea Peto, non coinvolto nella congiura ma odiato da Nerone per il suo rigore morale e per essersi sempre rifiutato di scendere a compromessi con il dispotismo imperiale.

Nello stesso anno morì anche Poppea, all'epoca incinta, brutalmente colpita da un calcio sferratole da Nerone in un accesso di ira. L'Imperatore ebbe pure una terza moglie, Statilia Messalina. Per sposarla, Nerone fece assassinare suo marito, il console Attico Vestino[8].

Caduta e suicidio di Nerone

Infine, l'Imperatore partì per un viaggio in Acaia, dove partecipò a tutti gli agoni esistenti dando sfoggio delle proprie doti di attore, cantante e auriga. In cambio dei premi, concesse la libertà all'Acaia, ai giudici la cittadinanza romana e doni in denaro. Dopodiché, rientrò a Roma come un generale trionfatore[9].

Nel quattordicesimo anno del suo impero, si ribellò contro di lui Giulio Vìndice, governatore della Gallia Lugdunense, seguito da Galba, proconsole della Spagna Tarraconense, e poi da tutti gli altri eserciti. A Roma, intanto, cresceva il malcontento per la richiesta di tributi straordinari e per la penuria di viveri[10].

Vistosi perduto, Nerone si diede alla fuga; il Senato lo dichiarò nemico pubblico e lo condannò a morte. All'arrivo degli uomini venuti per arrestarlo, Nerone si uccise colpendosi alla gola con un pugnale, aiutato dal liberto Epafrodito. Il suo cadavere fu arso e le sue ceneri deposte nella tomba gentilizia dei Domizi. Galba fu il nuovo imperatore.

Più tardi si sparse la voce che Nerone fosse ancora vivo e che sarebbe presto tornato per vendicarsi dei suoi nemici[11].

Predecessore: Imperatore romano Successore: LupaCapitolina.png
Claudio 13 ottobre 54 - 9 giugno 68 Galba I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
con
con
Claudio {{{data}}} Galba
Note
  1. Svetonio, Vita Neronis, 6
  2. Tacito, Annales XII, 8
  3. Tacito, Annales XIII, 2 e 5
  4. Tacito, Annales XIII, 12
  5. Tacito, Annales XIII, 18
  6. Svetonio, Vita Neronis, 34
  7. Tacito, Annales XIV, 51. Svetonio, invece, parla esplicitamente di avvelenamento:
    (LA) (IT)
    « Burro praefecto remedium ad fauces pollicitus, toxicum misit. » « Al prefetto Burro, avendogli promesso un rimedio per la gola, mandò un veleno. »
    (Vita Neronis, 35 )
  8. Svetonio, Vita Neronis, 35
  9. Svetonio, Vita Neronis, 25
  10. Svetonio, Vita Neronis, 44-45
  11. Svetonio, Vita Neronis, 57
Fonti
  • Publio Cornelio Tacito, Annales, XII-XVI. L'opera, pervenutaci mutila, si interrompe nel corso della narrazione degli eventi dell'anno 66.
  • Caio Svetonio Tranquillo, Vita Neronis.
Bibliografia


Voci correlate