Nullità del matrimonio
Il riconoscimento della nullità del matrimonio è il procedimento del diritto canonico (cioè della legge della Chiesa) che riconosce nullo il sacramento del matrimonio. Propriamente, dato che il matrimonio valido è indissolubile (Mt 19,6 ), la Chiesa non "annulla" il matrimonio dopo che è stato celebrato (come invece avviene in ambito legale col divorzio), ma lo riconosce inesistente fin dal giorno delle nozze.
Nel diritto civile italiano, oltre alla possibilità di divorzio, è parimenti presente il riconoscimento di nullità per motivi spesso affini (cf. artt. 84-89; 117-124 CC online) a quelli descritti dal diritto canonico.
Normativa vigente
I motivi che portano al riconoscimento della nullità del sacramento del matrimonio sono elencati nel Codice di Diritto Canonico del 1983:
- 12 impedimenti (cann. 1083-1094);[1]
- 9 vizi del consenso (cann. 1095-1103);
- difetti di forma (cann. 1104-1109).
Il procedimento è descritto nei cann. 1671-1691 dello stesso codice. Il motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus di papa Francesco (15 agosto 2015[2]) ha modificato questi canoni e dunque la dinamica del processo di nullità (ma non i motivi di nullità). Importanti elementi procedurali sono contenuti anche in Dignitas Connubii, un'istruzione emanata dal Pontificio consiglio per i testi legislativi il 25 gennaio 2005.
Motivi di nullità del matrimonio
Nei procedimenti di nullità, il motivo di gran lunga più ricorrente è un vizio del consenso: quasi il 99% dei casi trattati nei tribunali vengono discussi invocando uno o più vizi del consenso; tra questi, i più diffusi sono le incapacità e le esclusioni.
Impedimenti
Gli impedimenti sono situazioni che rendono una persona inabile a celebrare un matrimonio valido. Alcuni di essi possono essere dispensati dalla Santa Sede,[3] altri dall'ordinario del luogo (cioè solitamente il vescovo), in modo da permettere in singoli casi il matrimonio (can. 1078) anche se ricorrono queste situazioni; altri invece non possono mai essere dispensati. In maniera eccezionale, il vescovo può temporaneamente e per gravi motivi vietare un matrimonio (can. 1077) anche se non ricorrono questi casi: tale divieto deve essere temporaneo e non ha effetto dirimente (il matrimonio che, nonostante il divieto, fosse comunque celebrato, sarebbe valido).
I 12 impedimenti sono:
- età (aetatis): l'uomo deve avere almeno 16 anni, la donna 14. Per l'Italia, la revisione del concordato lateranense (18 febbraio 1984, art. 8,1,a) ha stabilito un'età minima per entrambi di 18 anni (can. 1083). L'ordinario può dispensare dalla regola dei 18 anni (anche se in questo caso il matrimonio non potrà avere effetti civili in Italia), mentre non è ammessa dispensa dell'età minima.
- impotenza (impotentiae): nel caso di un coniuge che già prima del matrimonio, in maniera perpetua e certa, sia incapace di copulare (can. 1084). Questo impedimento non è dispensabile.
- legame (ligaminis): un candidato coniuge non deve essere già sposato (can. 1085). Questo impedimento non è dispensabile.
- differenza di culto (disparitatis cultus): entrambi i coniugi devono essere battezzati nella Chiesa cattolica per celebrare il matrimonio cattolico (can. 1086). L'ordinario può concedere la dispensa perché un cattolico sposi un battezzato non cattolico o anche un non battezzato.
- ordine (ordinis): non si può sposare l'uomo già ordinato (can. 1087); la dispensa da questo impedimento è riservata alla Sede Apostolica.
- voto (voti): non si può sposare chi ha fatto voto di castità in un istituto religioso (can. 1088); la dispensa da questo impedimento è riservata alla Sede Apostolica.
- rapimento (rapti): il coniuge deve essere libero nella scelta, non rapito né forzatamente trattenuto per ottenere il suo consenso al matrimonio (can. 1089). Non si ammette dispensa.
- crimine (criminis): il coniuge non deve avere ucciso il proprio o l'altrui partner per contrarre il matrimonio (can. 1090); la dispensa da questo impedimento è riservata alla Sede Apostolica.
- consanguineità (sanguinis): nella linea retta (p.es. padre e figlia, nonno e nipote) il matrimonio è sempre invalido; nella linea collaterale il matrimonio è invalido fino al quarto grado di parentela[4] (can. 1091); l'ordinario del luogo può dispensare solo dal terzo grado (ad esempio zio e nipote) e dal quarto grado (ad esempio cugino e cugina) della linea collaterale, mentre non è ammessa dispensa nella linea retta né nel secondo grado della linea collaterale (cioè tra fratello e sorella).
- affinità (affinitatis): vieta i matrimoni con i consanguinei in linea retta del precedente coniuge, p.es. madre o figlia dell'ex moglie (can. 1092). L'ordinario può concedere la dispensa.
- pubblica onestà (publicae honestatis): questo impedimento sorge quando vi sia stato tra due persone un matrimonio invalido oppure "vita comune oppure concubinato notorio o pubblico" e rende invalido il matrimonio "nel primo grado della linea retta tra l'uomo e le consanguinee della donna, e viceversa" (can. 1093). Ad esempio un uomo non può sposare la figlia della donna con cui ha convissuto. L'ordinario può concedere la dispensa.
- parentela acquisita (cognatio legalis): sono invalidi i matrimoni entro una parentela di linea retta o di secondo grado della linea collaterale derivata da adozione, per esempio madre, figlia, sorella di una ragazza adottata (can. 1094). L'ordinario può concedere la dispensa.
Vizi del consenso
Il sacramento del matrimonio si differenzia dagli altri sacramenti per il ministro: per questi si tratta di un chierico, mentre nel matrimonio i ministri sono gli sposi stessi, e la funzione del celebrante è quella di assistente, cioè "colui che, di persona, chiede la manifestazione del consenso dei contraenti e la riceve in nome della Chiesa" (can. 1108). "L'atto che costituisce il matrimonio è il consenso delle parti manifestato legittimamente" (can. 1057): quindi se manca il consenso il matrimonio non è valido.
I vizi del consenso sono:
- incapacità per mancanza di sufficiente uso della ragione (can. 1095, n. 1).
- incapacità per grave difetto di discrezione di giudizio circa diritti e doveri essenziali del matrimonio (can. 1095, n. 2).
- incapacità per cause di natura psichica che rendono impossibile assumere gli obblighi essenziali del matrimonio (can. 1095, n. 3)
- ignoranza circa l'essenza del matrimonio (can. 1096).
- errore di persona fisica (can. 1097, § 1, cf. Gen 29 ) o errore circa una qualità della persona, solo nel caso in cui tale qualità fosse intesa direttamente e principalmente al momento del matrimonio (can. 1097, § 2).
- dolo (can. 1098): quando il coniuge ha prestato il consenso perché raggirato dolosamente circa una qualità del partner, che per sua natura può perturbare gravemente la vita coniugale.
- esclusione del matrimonio o di un suo elemento essenziale (can. 1101), quando un coniuge (o entrambi) al momento del matrimonio esclude una o alcune caratteristiche essenziali del matrimonio. Questo difetto di consenso spesso viene chiamato anche "simulazione", perché chi il giorno delle nozze esclude volontariamente una caratteristica essenziale del matrimonio, presta un consenso simulato, non vero. Le diverse tipologie di esclusione non vengono elencate dal canone; nella prassi processuale si riconoscono:[5]
- esclusione totale;
- esclusione della prole;
- esclusione dell'indissolubilità;
- esclusione della fedeltà;
- esclusione del bene dei coniugi.
- condizione futura (can. 1102 §1), per esempio un matrimonio stipulato con la premessa che il partner dovrà laurearsi o trovare lavoro.
- violenza o timore grave (can. 1103), quando il matrimonio è celebrato senza la dovuta libertà, come unica via d'uscita per sottrarsi ad una situazione di violenza o timore grave.
Difetti di forma
Perché un matrimonio sia valido deve anche essere celebrato secondo la forma canonica, cioè rispettando le formalità previste dalla Chiesa. Tali formalità, che possono essere soggette a variazione nel corso della storia, sono presentate nei libri liturgici (il Rito del matrimonio) e nel Codice di diritto canonico (cann. 1104-1123).
Ordinariamente i due nubendi devono essere presenti contemporaneamente ed esprimere il consenso nella forma prestabilita di fronte al ministro ordinato e a due testimoni. Con le dovute autorizzazioni, in caso di necessità è possibile sposarsi: tramite un procuratore; tramite un interprete; esprimendo il consenso non verbalmente ma in un altro modo.
Particolare attenzione è riservata al ruolo del ministro che assiste alle nozze: se egli non è idoneo, il matrimonio è invalido. Può assistere validamente alle nozze:
- l'ordinario del luogo (vescovo) nel proprio territorio;
- il parroco nel proprio territorio;
- il sacerdote non parroco o il diacono, se delegati dall'ordinario del luogo o dal parroco;
- il laico delegato dal vescovo, ma solo nei Paesi dove la Conferenza episcopale abbia espresso il proprio parere favorevole e la Santa Sede abbia concesso questa possibilità. Non è il caso dell'Italia.
Procedimento per riconoscere la nullità del matrimonio
Se uno o entrambi i coniugi desiderano chiedere alla Chiesa il riconoscimento della nullità del loro matrimonio, devono avvicinarsi alle apposite strutture (diocesane o interdiocesane) per esporre il proprio caso e compiere un'indagine pastorale[6]: tale indagine può concludersi sconsigliando ai coniugi di proseguire (nel caso non siano stati ravvisati motivi di nullità), oppure iniziando l'indagine giudiziale vera e propria.
Viene redatto un libello, scritto da uno o da entrambi i coniugi, in cui è brevemente descritta la vicenda matrimoniale della coppia; tale libello viene presentato al vicario giudiziale diocesano, che decide quale tipo di processo iniziare e su quali capi di nullità condurre l'indagine (can. 1675).
I diversi tipi di processo
In seguito al documento Mitis Iudex Dominus Iesus di papa Francesco, il procedimento canonico del riconoscimento di nullità spetta al vescovo locale o a un chierico suo delegato. Le cause matrimoniali vengono trattate con tre diverse procedure, alternative tra loro, la cui scelta viene effettuata volta per volta in base alle circostanze del caso: il processo ordinario, il processo abbreviato e il processo documentale.
Nello stesso documento il papa auspica che dalle Conferenze Episcopali nazionali "venga assicurata la gratuità delle procedure"; durante la conferenza stampa di presentazione del documento è stata auspicata una durata massima di un anno per i processi ordinari.[7]
Processo ordinario
È la forma più completa e solenne di giudizio. Prevede la presenza di uno o entrambi i coniugi con i loro avvocati, dei testimoni presentati dei coniugi o convocati d'ufficio, del difensore del vincolo, di un eventuale perito (psicologo o psichiatra), del giudice. Si articola in diverse sessioni, durante le quali si raccolgono tutte le prove, testimoniali e documentali.
Il processo si conclude con una sentenza definitiva di primo grado.
Processo abbreviato
Viene ammessa la possibilità di un processo più breve, quando ci sia il reciproco consenso dei due coniugi ad introdurre la causa e "ricorrano circostanze di fatti e di persone, sostenute da testimonianze o documenti, che non richiedano una inchiesta o un'istruzione più accurata e rendano manifesta la nullità" (can. 1683). Alcune di queste circostanze sono, ad esempio, "quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l'errore che determina la volontà; la brevità della convivenza coniugale; l'aborto procurato per impedire la procreazione; l'ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo; l'occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione; la causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna; la violenza fisica inferta per estorcere il consenso; la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici"[8].
A questo processo prendono parte il vescovo diocesano, un istruttore, un assessore (can. 1685) e il difensore del vincolo. L'istruttore, in una sessione unica a cui sono convocate tutte le persone ritenute necessarie (can. 1696), raccoglie le prove, redige gli atti per sommi capi (art. 18 §2) e li trasmette al vescovo per la sentenza.
"Ricevuti gli atti, il Vescovo diocesano, consultatosi con l'istruttore e l'assessore, vagliate le osservazioni del difensore del vincolo e, se vi siano, le difese delle parti, se raggiunge la certezza morale sulla nullità del matrimonio, emani la sentenza. Altrimenti rimetta la causa al processo ordinario" (can. 1687 §1).
Processo documentale
È disciplinato dai cann. 1688-1690. Il Vescovo diocesano o il Vicario giudiziale o il Giudice designato, tralasciate le formalità del processo ordinario, può dichiarare con sentenza la nullità del matrimonio, se da un documento inoppugnabile consti con certezza dell'esistenza di un impedimento dirimente o di un difetto di forma (can. 1688); questo tipo di processo, dunque, non si può usare quando il matrimonio è accusato di nullità per un difetto di consenso.
I diversi tipi di tribunale
Ogni sentenza, fin dal primo grado di giudizio, è esecutiva[9] (fatto salvo il diritto di poter ricorrere in appello, come descritto sotto). Se la sentenza è affermativa, se cioè il matrimonio viene dichiarato nullo, gli ex coniugi possono validamente celebrare nuove nozze sacramentali.
Tribunale di prima istanza
Si tratta ordinariamente del tribunale diocesano, che è un tribunale collegiale, formato cioè da tre giudici, dei quali almeno il presidente deve essere chierico. Se però non fosse possibile erigere un tribunale diocesano collegiale, il vescovo può decidere tra diverse alternative (can. 1673 §1-4):
- erigere un tribunale diocesano monocratico, formato cioè da un unico giudice chierico, assistito da due assessori;
- accedere al tribunale diocesano di una diocesi vicina;
- erigere un tribunale interdiocesano, insieme a una o più diocesi vicine.
Tribunale di seconda istanza
L'appello viene presentato al tribunale metropolitano o, in alternativa, alla Rota Romana; tuttavia il tribunale metropolitano può essere sostituito da un tribunale regionale (can. 1439). Il tribunale di seconda istanza deve sempre essere collegiale (can. 1673 §5-6).
Tribunale di terza e ulteriore istanza
Unico tribunale competente, nel caso si rendessero necessarie ulteriori istanze di giudizio, è la Rota Romana.
Note | |
| |
Bibliografia | |
Voci correlate | |