Chiesa di San Tomè (Almenno San Bartolomeo)

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Chiesa o Rotonda di San Tomè
Flag of UNESCO.svg Bene protetto dall'UNESCO
Tomè1 edit.jpg
Almenno San Bartolomeo, Chiesa di San Tomè (XII secolo)
Altre denominazioni
Stato bandiera Italia
Regione Stemma Lombardia


Regione ecclesiastica Lombardia

Provincia Bergamo
Comune Almenno San Bartolomeo
Località
Diocesi Bergamo
Religione Cattolica
Indirizzo
Telefono
Fax
Posta elettronica [mailto: ]
Sito web

[http:// Sito ufficiale]

Sito web 2
Proprietà
Oggetto tipo Chiesa
Oggetto qualificazione sussidiaria
Dedicazione San Tommaso apostolo
Vescovo
Fondatore
Data fondazione
Architetto


Stile architettonico Romanico
Inizio della costruzione
Completamento XII secolo, prima metà
Distruzione
Soppressione
Ripristino
Scomparsa {{{Scomparsa}}}
Data di inaugurazione {{{AnnoInaugur}}}
Inaugurato da {{{InauguratoDa}}}
Data di consacrazione
Consacrato da {{{ConsacratoDa}}}
Data di sconsacrazione {{{Sconsacrazione}}}
Sconsacrato da {{{SconsacratoDa}}}
Titolo
Strutture preesistenti
Pianta circolare
Tecnica costruttiva
Materiali
Data della scoperta {{{Data scoperta}}}
Nome scopritore {{{Nome scopritore}}}
Datazione scavi {{{Datazione scavi}}}
Scavi condotti da {{{Scavi condotti da}}}
Altezza Massima
Larghezza Massima
Lunghezza Massima {{{LunghezzaMassima}}}
Profondità Massima
Diametro Massimo {{{DiametroMassimo}}}
Altezza Navata
Larghezza Navata
Superficie massima {{{Superficie}}}
Altitudine {{{Altitudine}}}
Iscrizioni
Marcatura
Utilizzazione
Note
Coordinate geografiche
45°44′23″N 9°35′34″E / 45.739833, 9.592778 bandiera Italia
Patrimonio UNESCO.png Patrimonio dell'umanità
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Tipologia {{{tipologia}}}
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Pericolo Bene non in pericolo
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La Chiesa di San Tomè, detta anche Rotonda di San Tomè si trova ad Almenno San Bartolomeo (Bergamo), soggetta canonicamente dalla parrocchia di San Bartolomeo di Tremozia, nella Diocesi di Bergamo.

Si tratta di un chiesa a pianta circolare in stile romanico risalente alla prima metà del XII secolo[1], dedicato a san Tommaso.

Lemine

Il territorio su cui sorge la rotonda, denominato Lemine, faceva parte di un ben più ampio comprensorio abitato già in epoca precristiana dai Galli Cenomani[2], tradizionali alleati di Roma di cui acquisirono la cittadinanza nel 49 a.C..

Il Rotulum decimarum del 1353[3] ne precisava l'ubicazione

« in territorio burgi de lemine ubi dicitur ad pontem S.ti Thomei»
([4])

I romani lasciarono tracce notevoli della loro presenza in questo territorio importantissimo sotto l'aspetto strategico, percorso dalla strada militare che collegava Bergamo a Como, parte terminale di quella che univa il Friuli alle regioni retiche[5].

Questa strada scavalcava il fiume Brembo, proprio nelle vicinanze dell'area di San Tomè, con un ponte imponente i cui resti ne lasciano immaginare la grandezza.

Lo scenario storico

Lemine, un comprensorio territoriale scarsamente abitato nel Medioevo che si sviluppò sulla sponda occidentale del Brembo, comprendeva la Val Brembana fino al confine con la Val Taleggio, la Valle Imagna, quindi si incuneava a sud nella cosiddetta Isola bergamasca, tra l'Adda e il Brembo, fino all'attuale territorio di Brembate.

Le comunità che via via si erano succedute dopo quella romana, eredi di questa ma anche di quelle che inevitabilmente erano state attratte e avevano ruotato attorno ad essa, erano state duramente colpite da eventi bellici e da pestilenze. Le genti sopravvissute, piuttosto sparpagliate sul vasto territorio di Lemine privo di centri abitativi definiti, costituirono delle vicinie dalle quali sono quasi sempre derivati gli attuali centri urbani[6].

Al matroneo

Con la conquista longobarda Lemine divenne una corte regia[7] molto importante sia per avere ospitato alcuni re longobardi sia per essere stata, nella prima fase del consolidamento del potere longobardo, un crocevia militare di notevole valenza politica .

È proprio di questo periodo, seconda metà del VII secolo, la prima citazione del toponimo Lemine, in un atto del re Astolfo:

« (..) in curte Lemennis vigisima die mensis Julii filicissimi regni nostri in Dei nomine septimo »
([6])

L'atto di Astolfo certifica anche l'esistenza della corte regia, mentre il toponimo Lemine sarà sempre più documentato nelle diverse varianti che porteranno poi a quelle di Almenno, Almé e così via.

Dopo la caduta del regno longobardo il comprensorio di Lemine passò ai nuovi dominatori franchi, prima come possesso imperiale fino all'892 poi come feudo dei conti di Lecco[8], l'ultimo dei quali Attone lo lasciò dopo la sua morte, 975, al vescovo di Bergamo; le modalità di quest'ultimo passaggio non sono chiare[9].

Il periodo comunale

San Tomè seguì, subendole, le vicissitudini storiche che portarono alla nascita del comune di Lemine avvenuta il 3 marzo 1220[10] quando il vescovo Giovanni Tornielli[11] rinunciò ai diritti di vassallaggio e a ogni interferenza nell’elezione degli organi comunali, riconoscendo così l'autonomia della comunità a cui cedette la proria giurisdizione.

Il XIII secolo fu il periodo di maggiore splendore della Rotonda, che vide una grande affluenza di fedeli con benefici ritorni economici per le generose donazioni ricevute, mentre il XIV secolo segnò l'inizio della sua decadenza.

Le lotte fratricide tra guelfi e ghibellini che afflissero il comune di Lemine durante il 1300 e che portarono alla sua divisione nei comuni di Lemine Superiore e Lemine Inferiore colpirono anche San Tomè.

I contrasti fra le contrapposte fazioni comportarono la lenta diminuizione del numero dei fedeli di San Tomè fino ad arrivare alla loro quasi scomparsa dopo la distruzione di Lemine Inferiore dovuta al podestà di Bergamo, Gritti (13 agosto 1443)[12].

Solo il XX secolo avrebbe fatto riscoprire e rinascere la rotonda come importante opera d'arte dell'architettura romanica bergamasca, frutto di quella devozione popolare che produsse altri capolavori romanici come la chiesa di san Giorgio in Lemine.

La fondazione

Non c'è certezza storica sulla datazione della fondazione della Rotonda di San Tomè.

Alcuni studiosi hanno ritenuto che la chiesa poggiasse sui resti di un antico tempio romano a causa di alcuni imponenti pezzi di muro che ne avrebbero potuto costituire parte delle fondazioni. Ipotesi questa che è stata contraddetta da recenti ricerche archeologiche, anche se la zona ha vissuto una notevole presenza romana[13].

Altri l'hanno fatta risalire al periodo longobardo, magari a Teodolinda; altri ancora hanno propeso per il periodo franco[14].
Si è concordi invece nel ritenere che in epoca franca, sotto i conti di Lecco, signori del territorio, sia stata costruita una prima chiesa di forma rotonda[15] che alcuni elementi architettonici, riutilizzati nella sua seconda ricostruzione, datano attorno al X secolo.

Non aiuta, per la datazione, la sua architettura che fra l'altro ha subito notevoli rimaneggiamenti e una ricostruzione tra la fine del XI secolo e l'inizio del XII. La sua struttura circolare, il suo sviluppo verticale e concentrico, la sua somiglianza con il Duomo vecchio di Brescia piuttosto che con il battistero di san Giovanni di Arsago Seprio ne impediscono una datazione antecedente l'anno 1000[16].

Matroneo e lanterna

La ricostruzione

Il trascorrere del tempo, in un'epoca particolarmente tumultuosa, la probabile disattenzione dei fedeli pressati da altre urgenze e, non ultima, la tecnica di costruzione piuttosto primitiva contribuirono al degrado della primitiva chiesa attribuita al periodo franco[15].

Tale degrado doveva essere così grave all'alba del XII secolo da spingere il Vescovo di Bergamo alla ricostruzione ex novo del tempio[1], utilizzando le fondazioni del precedente e tutti quei materiali il cui stato ne consentiva il recupero, come le colonne ed i capitelli che furono riutilizzati nel piano terra della Rotonda.

Interno, vista sull'abside

Si può facilmente osservare come queste colonne siano state allungate, per adeguarle al nuovo progetto, appoggiandole su capitelli capovolti che così ne costituiscono la base, o inserendovi dei pezzi di altre colonne con un risultato scenografico di grande bellezza, eleganza ed imponenza al tempo stesso.

Non si hanno atti storici da cui ricavare una data certa di questa ricostruzione ma dalla analisi stilistica della sua architettura, dallo studio dei materiali usati e della tecnica costruttiva è stato indicato come il più probabile il periodo che intercorre tra il 1130 e il 1150[17].

Solo dopo il 1180 compaiono atti da cui si desume l'esistenza della Rotonda a quella data[18].

Verso la fine del XII secolo furono aggiunti alla Rotonda il presbiterio e l'abside creando all'esterno un gioco di volumi ascendenti che ne snelliscono e movimentano la struttura.

Il monastero

Alla ricostruzione della chiesa di San Tomè seguì, alla fine del 1100 e su iniziativa dell'episcopato di Bergamo, la fondazione di un piccolo monastero femminile unito alla chiesa stessa. Il monastero avrebbe dovuto assolvere alla custodia e alla manutenzione della chiesa. Anche in questo caso non si ha una datazione certa ma solo presunta; l'unica data sicura è quella riportata in un documento del 1203 che ne testimonia l'esistenza, ricavando da ciò che la sua costruzione era necessariamente antecedente, forse contemporanea a quella del presbiterio e dell'abside.

Vista dall'alto

Il convento ospitò monache di provenienza locale appartenenti alla classe sociale medio-alta e qualcuna alla nobiltà di Bergamo.

Il monastero, sempre sottoposto all'autorità e al controllo episcopale, ebbe una vita abbastanza travagliata specialmente nel XIV secolo, con scandali di ordine morale e finanziario che ne minarono la credibilità.

Lentamente ma inesorabilmente iniziò la decadenza del complesso, accelerata anche dalle lotte tra guelfi e ghibellini che infuriavano nel territorio coinvolgendo San Tomè e il suo monastero.

Il complesso monastico cessò di esistere come istituzione nel luglio del 1407 quando, con i suoi beni, fu incamerato dal Vescovo di Bergamo.

Dell'edificio monastico non è rimasto altro che qualche traccia come i resti del muro d'innesto nella rotonda e tracce di fondazioni che si suppongono suoi.

Dopo l'incameramento del convento e dei terreni da parte del Vescovo seguì un periodo d'incertezza e di abbandono.

I terreni, i beni più appetiti, furono dati in affitto ad affittuari a cui poco importava della chiesa che lasciarono nel più completo abbandono. Vi fu un effimero tentativo della diocesi di salvare dal degrado San Tomè e il convento affidandoli a degli eremiti ma con scarsi risultati. Si arrivò così al 29 aprile 1536 quando la diocesi vendette il complesso ecclesiale alla Prepositura di San Salvatore di Almenno.

La lite

Matroneo dal basso

Il passaggio formale di San Tomè alla proprietà della prepositura di San Salvatore fu l'inizio di una lite plurisecolare.

San Tomè era stata precedentemente sottoposta alla giurisdizione canonica della parrocchia di San Bartolomeo pur rimanendo, tra alterne vicende, gestita di fatto dalla parrocchia di San Salvatore. L'atto di vendita che sanzionava questo stato di fatto costituì l'inizio di una lite che si sarebbe risolta solo nel 1907.

La situazione si aggravò maggiormente quando le due comunità che facevano riferimento rispettivamente alle parrocchie di San Bartolomeo e di San Salvatore furono giuridicamente suddivise, nel 1601, in due comuni separati, quello di Almenno San Bartolomeo e quello di Almenno San Salvatore.

L'autonomia non poteva non degenerare in campanilismo in presenza di una situazione oggettivamente bizzarra: una chiesa canonicamente dipendente da un ente era gestita di fatto da un altro ente.

Piccole ritorsioni e grandi gelosie portarono a manifestazioni popolari a volte violente e ad appelli che arrivarono fino al Papa.

Solo nel 1907, a più di tre secoli dal suo inizio, e con l'intervento diretto di Papa Pio X la lite si risolse: San Tomè rientrò nella gestione di fatto e di diritto della parrocchia di San Bartolomeo di Tremozia da cui dipende tuttora.

L'architettura

San Tomè è uno dei più leggiadri esempi di architettura romanico-bergamasca con caratteri stilistici evoluti, anche se propri e tipici di tutto il romanico[19].

Si tratta di una costruzione a pianta circolare e a struttura piramidale formata da tre volumi cilindrici concentrici sovrapposti e degradanti, opera di artigiani sapienti e informati dei movimenti artistici che attraversavano l'Europa dell'epoca, capaci tuttavia di mantenere una propria autonomia espressiva tale da rendere la rotonda un'opera unica nel panorama romanico italiano.

Gioco di volumi

La rotonda suggerisce una sensazione di eleganza e di leggerezza a cui contribuiscono le nervature verticali, delle semicolonne sul primo corpo, che ad intervalli quasi regolari ne scandiscono e slanciano la superficie esterna.

Il gioco delle ombre creato da queste nervature conferisce all'edificio un aspetto quasi teatrale che si inserisce in un paesaggio campestre, alla sommità di un pendio boscoso, fiancheggiato da filari di alberi cui fa da quinta, in lontananza, la corona delle Alpi Orobie in una sorta di magica e surreale sovrapposizione di fondali, di toni, di contesti[4].

La parete esterna del secondo volume, il matroneo, è alleggerita da lesene piatte, mentre quella del terzo, la lanterna, non presenta sporgenze ma quattro eleganti bifore contrapposte che ne sottolineano la leggerezza.

Dalla parte posteriore della rotonda emergono il presbiterio rettangolare e l'abside semicircolare,

« secondo un andamento scalare, definito dalle due differenti quote di imposta delle coperture che incentivano, di sicuro non casualmente, una scansione di cinque gradoni che portano alla sommità. Verso l'alto. »

L'insieme, presbiterio e abside, innervato nella parte orientale della rotonda, secondo la più diffusa tradizione romanica[21] restituiscono un effetto plastico di grande armonia architettonica.

Le pareti, incorniciate nel sottogronda da una ornatura ad archetti nei primi due volumi della rotonda, ad archetti intrecciati nell'abside e nel presbiterio, presentano delle finestrelle e delle feritoie che oltre a snellire la struttura ne costituiscono efficaci sorgenti di luce.

L'interno del primo corpo è caratterizzato da otto colonne che seguono un percorso circolare creando due spazi concentrici con degli effetti chiaroscurali di particolare fascino; la parete circostante è scandita da nicchie che ne muovono lo sviluppo in un magico gioco d'ombre esaltato da semicolonne su cui poggiano eleganti capitelli; vi è anche traccia di un affresco ancora leggibile.

« Il fascino dell'immaginazione sollecitata di continuo dalla penombra più che dalla luce, dalla trama che va scoperta con discrezione. Senza assilli. »
Matroneo, cupola e lanterna

Il matroneo, il corpo superiore, presenta anch'esso otto colonne, sovrastanti quelle inferiori, che creano un corridoio circolare, il deambulatorio, che si affaccia sul vuoto centrale del corpo inferiore.

Alcune tracce di affreschi piuttosto degradati ingentiliscono l'absidiola del matroneo. L'affresco, di anonimo, raffigura un'Annunciazione ed è racchiuso in una mandorla che copre la parte interna della semicupola dell'absidiola. Dio Padre, al centro e in posizione dominante, campeggia la scena mentre si svolge il dialogo fra l'Angelo e la Vergine in una narrazione permeata da rustica vivacità[23] e da attenzione per il particolare.

Si tratta di un'opera, probabilmente trecentesca, dai colori vivi e dalla descrizione vivace e realistica, che testimonia la devozione popolare verso la Vergine: tema piuttosto comune e diffuso nell'iconografia religiosa dell'epoca nel territorio[24].

I capitelli

La decorazione della rotonda, prevalentemente di tipo scultoreo[25], è costituitata dalle colonne che suddividono le aree del corpo principale e del matroneo, dalle mezze colonne appoggiate alle pareti interne e dalle nicchie inserite nelle pareti stesse.

Molto belli e splendidamente scolpiti[26] i capitelli delle colonne di entrambi i corpi, come quelli che concludono le mezze colonne e le lesene piatte disposte sulle pareti.

I motivi ornamentali prevalenti dei capitelli che definiscono il deambulatorio del corpo inferiore sono di tipo geometrico, una rivisitazione locale di archetipi decorativi longobardi da cui si discostano alcuni capitelli di tipo corinzio e figurato appoggiati alla parete.

Il linguaggio decorativo di questi capitelli e la loro essenzialità geometrizzante[27] si ritrovano anche nel romanico milanese proprio delle chiese di Sant'Ambrogio o Sant'Eustorgio oltre che in altri monumenti bergamaschi come la Basilica di Santa Giulia.

I capitelli del matroneo, diversi uno dall'altro e variamente scolpiti con figure zoomorfe, umane e geometriche, presentano una maggiore varietà decorativa e una più ricercata fattura stilistica.

Alcuni di questi sono aniconici mentre altri rappresentano figure bibliche o simboli evangelici che richiamano quelli scolpiti sull'ambone romanico della pieve di Almenno San Salvatore.

La luce

La diffusione e distribuzione della luce all'interno della rotonda diventa elemento decorativo teso a esaltare gli apparati architettonici che fanno da proscenio alle funzioni liturgiche.

La proiezione delle ombre create dalle colonne e la scelta della aperture rispondono a un disegno tipico dell'architettura romanica attenta ai cicli solari nelle diverse stagioni, nei diversi luoghi, nelle diverse ore[22]: la monumentalità dell'edificio è esaltata dai giochi di luce che la scansione del tempo crea.

Su tutto svetta la lanterna circolare da cui piove all'interno una luce quasi mistica che attira lo spettatore al centro della rotonda.

Durante gli equinozi un raggio di sole attraversa la rotonda e colpisce il tabernacolo posto nell'abside creando così uno spettacolo affascinante e magico in cui le colonne sembrano muoversi come muti officianti.

Note
  1. 1,0 1,1 C. R. Nodari, P. Manzoni, La rotonda di San Tomè..., p. 21, op. cit. in bibliografia.
  2. P. Manzoni, Lemine..., p. 17, op. cit. in bibliografia.
  3. Il Rotulum decimarum è un atto descrittivo delle proprietà della Pieve di Lemine del 1353.
  4. 4,0 4,1 C. R. Nodari, P. Manzoni, La rotonda di San Tomè ..., p. 81, op. cit.
  5. P. Manzoni, Lemine..., p. 23, op. cit.
  6. 6,0 6,1 P. Manzoni, ibid., p. 35.
  7. P. Manzoni, ibid., p. 36.
  8. P. Manzoni, ibid., p. 38.
  9. P. Manzoni, ibid., p. 40.
  10. P. Manzoni, ibid, p. 104. in bibliografia.
  11. Giovanni Tornielli, vescovo di Bergamo, 1221-1240, con l'atto del 3 marzo 1220 affrancò la comunità almennese, riconoscendo l'autonomia del comune.
  12. P. Manzoni, ibid., p. 162.
  13. C. R. Nodari, P. Manzoni, ibid., p. 17.
  14. C. R. Nodari, P. Manzoni, ibid., p. 18.
  15. 15,0 15,1 C. R. Nodari, P. Manzoni, ibid., p. 19.
  16. C. R. Nodari, P. Manzoni, La rotonda di San Tomè..., p. 207, op. cit.
  17. C. R. Nodari, P. Manzoni, ibid., p. 22.
  18. C. R. Nodari, P. Manzoni, ibid.
  19. C. R. Nodari, P. Manzoni, ibid., p. 73.
  20. C. R. Nodari, P. Manzoni, ibid., p. 85.
  21. C. R. Nodari, P. Manzoni, ibid., p. 42.
  22. 22,0 22,1 C. R. Nodari, P. Manzoni, ibid., p. 92.
  23. C. R. Nodari, P. Manzoni, ibid., p. 127.
  24. C. R. Nodari, P. Manzoni, ibid., p. 128.
  25. C. R. Nodari, P. Manzoni, ibid., p. 93.
  26. L. Moris, A. Pellegrini, Sulle tracce del romanico in provincia di Bergamo, p. 131, op. cit. in bibliografia.
  27. C. R. Nodari, P. Manzoni, ibid., p. 113.
Bibliografia
Fonti primarie
  • Francesca Possenti - Pierangela Giussani, San Tomè di Almenno. Un gioiello d'arte fra le chiese romaniche, Bergamo 1990.
  • Cesare Rota Nodari - Paolo Manzoni, La Rotonda di San Tomè. Analisi di un'architettura romanica, Sondrio 1997. ISBN 8886711182.
Fonti secondarie e approfondimenti
  • Pino Capellini, Itinerari dell'anno Mille: chiese romaniche nel Bergamasco, Bergamo 2000.
  • Serena Colombo. Il romanico in Lombardia. Roma-Bari, Laterza, 2001. ISBN 884210664X.
  • Jörg Jarnut, Bergamo 568-1098. Storia..., Bergamo 1980. ISBN 8877669896
  • Gian Maria Labaa, San Tomè in Almenno. Studi, ricerche, interventi per il restauro di una chiesa romanica, Bergamo 2005. ISBN 887766312X.
  • Lorenzo Moris - Alessandro Pellegrini, Sulle tracce del romanico in provincia di Bergamo, Bergamo 2003.
  • Cesare Rota Nodari, Quattro chiese, X-XV secolo, itinerario d'arte tra Almenno San Bartolomeo e Almenno San Salvatore, Bergamo 2000.
  • Carlo Tosco, Architetti e committenti nel romanico lombardo, Roma 1997. ISBN 8885669549.
Voci correlate
Collegamenti esterni