Schiavitù nell'Islam

Da Cathopedia, l'enciclopedia cattolica.
100%Decrease text sizeStandard text sizeIncrease text size
Share/Save/Bookmark
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Mappa sinottica di varie tratte di schiavi con stime delle persone deportate (in milioni).

La schiavitù nell'Islam è legittimata da diversi passi del Corano, dalla prassi di Maometto e dei primi musulmani, e dalla secolare tradizione islamica. Possono essere ridotti in schiavitù solo i non musulmani, e mantengono (come negli altri sistemi sociali e culturali schiavistici) un ruolo marginale nella società.

Nella prima fase dell'espansione islamica araba gli schiavi provenivano dalle popolazioni conquistate. La stasi delle armate di terra nell'VIII secolo non ha fermato la deportazione di schiavi che venivano razziati dai territori cristiani del sud Europa, dall'Asia centrale e soprattutto dall'Africa sub-sahariana e orientale. Tra il 650 e il 1900, il numero degli africani schiavizzati da mercanti islamici è stimabile (con larga approssimazione) tra 11-18 milioni di persone, cifra pari o superiore alle stime della ben più nota tratta atlantica "cristiana" (7-12 milioni). Nel solo periodo 1530-1780 i cristiani europei ridotti in schiavitù con scorrerie costiere e abbordaggi in mare aperto sono stimabili in 1-1,25 milioni.

In epoca contemporanea, nelle nazioni islamiche la schiavitù è gradualmente venuta meno per imposizione delle potenze occidentali.

Fondamenti dottrinali

Il Corano e la tradizione islamica ammettono la liceità della schiavitù.[1][2] Sebbene in arabo il termine proprio indicante lo schiavo sia 'abd, nel Corano questi sono indicati con l'espressione "coloro che possiede la tua mano destra" (o equivalenti). Nel Corano si trovano molti passi che descrivono la liberazione degli schiavi come gesto pio e buono, ma complessivamente la schiavitù viene accettata e normata, in particolare la schiavitù sessuale femminile.

Mercato degli schiavi nello Yemen, manoscritto irakeno del 1236-37.

Caratteristiche generali

Il Corano e la tradizione islamica stabiliscono la naturale sottomissione degli schiavi ai rispettivi padroni, e in particolare il diritto di questi a godere dei favori di schiave sessuali. Diversamente dal matrimonio, per il quale è imposto il numero massimo di 4 mogli, non c'è limite al numero di concubine. La costrizione alla prostituzione di una schiava sessuale è vietata se questa desidera la castità, ma se viene comunque costretta le viene perdonata l'azione "malvagia". Viene consigliato (ma non imposto) un trattamento umano e la possibilità (non il diritto) di un riscatto, a discrezione del padrone, atto di generosità che può valere come espiazione dei peccati di omicidio involontario, spergiuro e ripudio avventato. Le persone tradizionalmente oggetto della schiavitù sono i prigionieri di guerra, catturati in occasione della jihad contro i non credenti, e i figli di schiavi. I musulmani non possono essere ridotti in schiavitù. La conversione di uno schiavo all'islam è condizione necessaria ma non sufficiente alla liberazione. Lo schiavo credente è considerato meglio del libero non credente, con un conseguente trattamento più umano.

Tradizionalmente gli schiavi maschi sono stati impiegati principalmente come manodopera lavorativa e forza militare. Talvolta gli schiavi-soldati potevano godere di uno stato sociale migliore di molti uomini liberi: come caso limite cf. i mamelucchi egiziani, che tra il 1250 e 1517 ressero il sultanato d'Egitto. Le schiave erano deputate alla servitù domestica e/o al concubinaggio. Una donna libera poteva possedere uno schiavo maschio ma non poteva usarlo sessualmente. I diritti propri degli schiavi (proprietà, eredità, matrimonio) sono vincolati all'assenso e controllo dei rispettivi padroni. Nel caso di una schiava data in moglie, mentre nel caso di donne libere queste mantengono la quota, la dote viene incassata dal padrone. Un padrone che sposa una propria schiava non deve versare una dote, e alla morte del padrone la schiava acquista la libertà.

Cenni storici

Schiavitù nell'Islam
Schiavi est-africani liberati nell'Oceano Indiano dalla nave inglese Daphne il 1° novembre 1868.
Schiavi est-africani liberati nell'Oceano Indiano dalla nave inglese Daphne il 1° novembre 1868.
Schiavi est-africani liberati nell'Oceano Indiano dalla nave inglese Daphne il 1° novembre 1868.
Commercianti di schiavi a Zanzibar, illustrazione del 1873.
Mercato di schiavi al Cairo, illustrazione del 1830 circa.
Deportazione di schiavi da mercanti islamici in Tanzania, illustrazione del 1866.
Schiavo bambino (o bambina) in punizione a Zanzibar, foto del 1890 circa.

Dal punto di vista storico, per i primi secoli di forte espansione militare dell'islam gli schiavi sono stati catturati tra gli infedeli nei territori conquistati (Africa del nord, medio oriente, Asia centrale). In particolare, nella conquista della città armena di Dwin (642) furono fatti 35.000 prigionieri.[3] In occasione della conquista dell'Iberia nel 714 furono portati in Africa circa 30.000 schiavi.[4] Abd al-Rahman I (m. 788), fondatore dell'emirato di Cordova, aveva tra le sue truppe più di 40.000 schiavi non musulmani, e il suo successore Hisham I (m. 796) circa 45.000. Ahmad ibn Tulun (m. 884) in Egitto aveva tra le sue truppe 24.000 schiavi di origine turca e 40.000 neri.[5] In occasione del saccheggio della città di Efeso (781) furono ridotti in schiavitù circa 7.000 bizantini, a Tessalonica (903) circa 22.000, a Edessa (1145) circa 10.000. In Iberia, nel 1189 a Lisbona furono catturati circa 3.000 donne e bambini, a Silves nel 1191 circa 3.000 schiavi, nel 1195 a Badajoz furono fatti circa 5.000 schiavi cristiani.[6]

A partire dal 1000, dopo secoli di sconfitte e saccheggi, l'Europa cristiana riuscì mettere in atto una certa riscossa che si concretizzò nella lenta "reconquista" spagnola, nel progressivo dominio marittimo da parte delle repubbliche marinare (Genova, Pisa, Venezia) e nelle crociate. Con lo stabilizzarsi dei confini gli schiavi vennero razziati da pirati nelle coste e nei territori cristiani del sud Europa, oppure deportati dall'Asia centrale. La principale tratta era però quella dell'oceano indiano, che aveva come zone di deportazione le coste orientali dell'Africa (zanj è il termine indicante lo schiavo nero, cf. Zanzibar, il principale porto di scambio), e come zone d'importazione i territori islamici, l'India e l'estremo oriente. Degna di nota è la cosiddetta ribellione zanj, accaduta nella zona di Bassora tra il 869-883, che ha coinvolto originariamente schiavi di origine est-africana stimabili tra i 500-5.000,[7] fino a comprendere all'apice della rivolta una stima di circa 300.000 schiavi ribelli[8]. La stima degli africani ridotti in schiavitù da mercanti islamici lungo i secoli (circa 650-1900) è approssimativamente di 18 milioni di individui,[9] mentre la ben più nota "tratta atlantica" verso l'America (tra XVI-XIX secolo) ha convolto circa 12 milioni di africani.[10] Altre stime riferiscono di 17 milioni di africani deportati da islamici vs 11 milioni via Atlantico,[11] oppure 17 vs 11-20 milioni,[12] oppure 1-11 [sic] milioni vs 10-12 milioni,[13] altri optano per un equo 12 vs 12.[14][15]

Nel periodo 1530-1780 i cristiani (principalmente del sud Europa) ridotti in schiavitù da pirati berberi (nominalmente parte dell'Impero Ottomano) con scorrerie costiere e con abbordaggi in mare aperto sono stimabili in 1-1,25 milioni.[16] Le principali città islamiche del nord Africa detenevano migliaia di cristiani, sfruttati in varie attività servili o trattenuti in attesa di essere venduti o riscattati.[17] Nel 1509 la conquista spagnola di Orano permise di liberare circa 15.000 schiavi cristiani. Nel 1535 gli schiavi di Tunisi e Tripoli erano circa 22.000. Nel 1544 a Ischia vennero fatti circa 7.000 schiavi, nel 1554 a Vieste circa 6.000. Nel 1619 ad Algeri erano presenti più di 50.000 schiavi, 120.000 incluse le città di Tunisi, Tripoli e Fez. Nel 1627 vennero assalite alcune località islandesi con la cattura di circa 400 schiavi. Ancora nel 1810, tra Tunisi e Tripoli erano presenti più di 2.000 schiavi, e nel 1816 ad Algeri erano 1.642. La vittoria cristiana di Lepanto (1571) portò alla liberazione di un numero tra 12.000-15.000 cristiani incatenati alle galee ottomane.[18]

Con lo scopo di liberare ("redimere") e riportare in Europa i cristiani catturati dagli islamici sorsero gli ordini religiosi dei mercedari (Ordo Beatae Mariae Virginis de Mercede), fondato a Barcellona nel 1218 da san Pietro Nolasco, e dei trinitari (Ordo Sanctissimae Trinitatis et de redemptione captivorum), fondato presso Parigi nel 1198 da san Giovanni de Matha. I primi riscattarono circa 52.000 cristiani,[19] mentre i secondi circa 90.000 prigionieri, tra i quali lo scrittore spagnolo Cervantes.[20]

Abolizione

Il declino della schiavitù islamica è iniziato a partire dall'800, su pressione delle potenze occidentali (in particolare Francia e Inghilterra) e non come maturazione morale e sociale delle nazioni islamiche. In particolare gli Stati Uniti combatterono due guerre ("guerre berbere"), nel 1801-05 e 1815, contro i territori berberi nordafricani con lo scopo di liberarsi dal tributo annuo che versavano dal 1785 per garantirsi la libera navigazione.[21] I territori islamici, che in particolare nell'ottocento vennero via via conquistati dalle potenze europee, dovevano adeguarsi formalmente alle legislazioni dominanti che vietavano la schiavitù, ma il commercio di schiavi di fatto non cessò e prese a declinare d'intensità in particolare dopo la prima guerra mondiale. In Arabia Saudita la condizione di schiavitù è stata dichiarata ufficialmente illegale nel 1962.

Situazione contemporanea

In epoca contemporanea la schiavitù di matrice religiosa islamica si è ripresentata in occasione delle guerre civili del Sudan, combattute dal governo centrale islamico di Khartoum contro le minoranze animiste e cristiane del sud Sudan (prima guerra 1955-1972, seconda guerra 1983-2005) e del Darfour (2003-2010). Oltre a un numero di morti stimato in circa due milioni, le stime delle persone ridotte in schiavitù vanno da circa 10.000 persone[22] a circa 200.000,[23] con circa 35.000 persone in schiavitù ancora nel 2008. In questi anni si sono verificate diverse azioni di riscatto degli schiavi ad opera di enti benefici cristiani (p.es. la statunitense Christian Solidarity Worldwide), similmente a quanto avvenuto nei secoli passati a opera di Mercedari e Tinitari (cf. foto di un riscatto di schiavi nel 1999).

Questo un brano di un reportage di Michael Rubin pubblicato su The Wall Street Journal il 12 dicembre 2001 (online):

« Com'è la schiavitù sudanese? Un bambino cristiano di 11 anni mi ha raccontato i primi giorni di schiavitù: "Molte volte mi è stato detto di diventare musulmano, ma ho rifiutato, ed è il motivo per cui mi è stato tagliato un dito". La dodicenne Alokor Ngor Deng è stata fatta schiava nel 1993. Non ha più visto la madre da quando i mercanti di schiavi le hanno vendute a padroni differenti. La tredicenne Akon è stata catturata da militari sudanesi nel suo villaggio quando aveva 5 anni. È stata violentata da 6 soldati governativi ed ha assistito a 7 esecuzioni prima di essere venduta a un arabo sudanese. Molti schiavi liberati portano i segni di colpi, bruciature e altre torture. Più di 3/4 di donne e bambine ex-schiave raccontano di stupri subiti »

In Nigeria l'attività del gruppo fondamentalista Boko Haram ha portato in alcune occasioni al rapimento con riduzione in schiavitù di ragazze e donne non islamiche. Il rapimento più noto è avvenuto nella notte tra 14 e 15 aprile 2014 nella scuola femminile di Chibok, con 276 ragazze rapite.

Nel Daesh, lo "stato islamico" fondamentalista instauratosi tra Siria e Iraq a partire dal 2013, il ricorso a cattura e prigionia sessuale di donne non islamiche è stato ufficializzato dalla propaganda di regime (ottobre 2014) e da vere e proprie fatwa (pronunciamenti giuridici) di stato che normano le relazioni con le schiave (dicembre 2015).


Note
  1. Voce "Abd" in (1986). Encyclopaedia of Islam. New Edition. Leiden: Brill, vol. 1, p. 24 ss, online.
  2. Levy, R. (1957). The Social Structure of Islam. Londra, New York: Cambridge University Press, anteprima.
  3. Sebeo, Storia di Eraclio 30 (tr. inglese).
  4. Yeʼor, B. (1996). The decline of Eastern Christianity under Islam: from Jihad to Dhimmitude, pp. 108-112, online.
  5. Holt, P.M.; Daly, M.W. (2000). A history of the Sudan: from the coming of Islam to the present day, p. 17, online.
  6. Brodman, J.W. (1986). Ransoming Captives in Crusader Spain: The Order of Merced on the Christian-Islamic Frontier, online
  7. "Zanj rebellion" (2011), in Encyclopædia Britannica, online.
  8. Rodriguez, J.P. (2007). Encyclopedia of slave resistance and rebellion, vol. 1, p. 586, online.
  9. "Slavery" in Encyclopaedia Britannica (2011), online: "Gli schiavi neri esportati dall'Africa erano oggetto di un vasto traffico nel mondo islamico. Circa 18 milioni di africani sono stati deportati da mercanti di schiavi islamici attraverso il Sahara e l'Oceano Indiano tra il 650 e il 1905".
  10. Il sito del Trans-Atlantic slave trade database, legato alla statunitense Emory University (Atlanta) e che coinvolge storici di diversa provenienza, censisce con precisione oltre 35.000 viaggi che hanno coinvolto più di 12,5 milioni di persone tra il 1525 e il 1867, precisando che "forse molti di più vennero deportati verso i mercati di schiavi atraverso il sahara e l'Oceano Indiano".
  11. Sherif, A. (2010). Dhow Cultures and the Indian Ocean: Cosmopolitanism, Commerce, and Islam, p. 218, online
  12. M’bokolo, E. (1998). The impact of the slave trade on Africa, "Le Monde diplomatique", online: tra il IX e il XIX secolo "4 milioni di schiavi deportati dal Mar Rosso, altri 4 milioni attraverso i porti swahili dell'Oceano Indiano, forse circa 9 milioni lungo le carovane trans-sahariane, e [dal XV al XIX secolo] 11-20 milioni (a seconda degli autori) attraverso l'Oceano Atlantico".
  13. "African aiaspora", Encyclopedia of African American history, 1896 to the present. Vol. 1, online.
  14. Aa. Vv. (2007). Slavery and the cultures of abolition, p. 152, online.
  15. Patterson, O. (1982). Slavery and social death: a comparative study, p. 167, online.
  16. Davis, R.C. (2003). Christian Slaves, Muslim Masters: White Slavery in the Mediterranean, the Barbary Coast and Italy, 1500-1800, p. 23, online.
  17. Cf. le liste di Davis (2003), pp. XIV-XXII.
  18. Capponi, N. (2010). "Lepanto 1571. La Lega santa contro l'impero ottomano", p. 244, online.
  19. "L'opera della redenzione degli schiavi", dal sito mercede.it, online.
  20. Moeller, C. (1912). "Order of Trinitarians". The Catholic Encyclopedia, online.
  21. Iurlano, G. (2010). "Gli Stati Uniti e le scorrerie dei corsari islamici del nord-Africa nel Mediterraneo e nell'Atlantico", Rivista dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea, online.
  22. Così l'elenco nominale stilato dal Rift Valley Institute, online.
  23. Così la stima dell'associazione Christian Solidarity Worldwide, online.
Voci correlate