Crocifissione di Gesù Cristo (Vincenzo Foppa)
Vincenzo Foppa, Crocifissione di Gesù Cristo (1456 ca.), tempera su tavola | |
Tre Crocifissi | |
Opera d'arte | |
Stato | |
Regione | Lombardia |
Regione ecclesiastica | Lombardia |
Provincia | Bergamo |
Comune | |
Diocesi | Bergamo |
Ubicazione specifica | Pinacoteca dell'Accademia Carrara, sala 1 |
Uso liturgico | nessuno |
Oggetto | dipinto |
Soggetto | Crocifissione di Gesù Cristo |
Datazione | 1456 ca. |
Ambito culturale | ambito lombardo |
Autore |
Vincenzo Foppa |
Materia e tecnica | tempera su tavola |
Misure | h. 68,5 cm; l. 38,8 cm |
Iscrizioni | INRI; MCCCC/LVI / DIE / MESIS / APRILIS; VINCEN/CIVS BRI/XIENSIS / PINSIT |
Note opera datata e firmata | |
La Crocifissione di Gesù Cristo, detto Tre Crocifissi è un dipinto, eseguito nel 1456 circa, a tempera su tavola da Vincenzo Foppa (1427 ca. – 1515 ca.), conservato presso la Pinacoteca dell'Accademia Carrara di Bergamo.
Descrizione
Ambientazione
La scena della Crocifissione di Gesù Cristo ambientata in un cupo paesaggio, è incorniciata da un arco d'ispirazione classica sorretto da colonne con capitelli corinzi e decorato da due medaglioni con Teste di Cesari.
Sullo sfondo, si estende una profonda valle lussureggiante di verde, nella quale si notano:
- a destra, una città di tipo rinascimentale;
- a sinistra, un castello con torri, che rimanda al periodo tardogotico;
- al centro, un sentiero serpeggiante fiancheggiato da alberi: questo è un elemento, fondamentale nella lettura iconologica dell’opera, poiché mostra l'incolmabile contrasto fra le figure di Cristo e del buon ladrone con quella del cattivo ladrone: la strada che sale verso l'orizzonte, taglia la scena come un fendente, escludendo il dannato e la sua croce dal percorso di redenzione verso la Città celeste.
Soggetto
Nel dipinto compaiono:
- Gesù Cristo crocifisso, ormai morto,[1] è presentato perfettamente frontale, sagomato anatomicamente e con i segni della Passione ben visibili: i chiodi, il sangue che cola dalle ferite, l'espressione sofferente nel volto, la corona di spine. La sua figura campeggia al centro della composizione ed emerge per dimensioni, contravvenendo alla regola prospettica.
- Due ladroni crocifissi:
- a sinistra, Disma, il buon ladrone, con la testa reclinata sul proprio petto e gli occhi chiusi, ha un'espressione pacifica che indica come per lui l’hora mortis, come per Cristo, coincide con l’hora libertatis, ossia che il momento del trapasso corrisponde alla felicità eterna.
- a destra, Cattivo ladrone si contorce sulla croce. Per dare maggiore significato alla sua dannazione, Foppa non rinuncia ad attingere nuovamente a stilemi tardogotici: sembra, infatti, sbucato direttamente dall'oscurità delle superstizioni medievali il diavolo appollaiato sulla croce alle sue spalle (un demonio nero verde e oro, con la lunga lingua infuocata), nell'atto di tirargli i capelli per obbligarlo a girare la testa e non guardare Cristo, con il rischio di ravvedersi all'ultimo momento. Il ladrone scapigliato, nella sua impotente disperazione, volge uno sguardo agonizzante verso il demonio, in totale contrasto con la calma dignità di Gesù e l'espressione pacifica del buon ladrone pentito.
Note stilistiche, iconografiche ed iconologiche
- Il gruppo dei Tre crocifissi è caratterizzato da una disposizione tridimensionale, fondamentalmente corretta ma disegnata su base empirica, senza costruzione geometrica.
- Se la cornice dell'intera scena può ancora essere ascritta alle radici del Foppa "storico" e "romano", di cui danno testimonianza l'arco sorretto da colonne classiche – ripreso da modelli padovani, in particolare dalla scuola dello Squarcione – e i due tondi, si nota per contro che Foppa padroneggia anche perfettamente le norme della prospettiva toscana, come dimostra lo spazio razionale, geometrico del pavimento e lo studiato contrasto tra questo primo piano dell'affaccio, più "domestico", e il vasto spazio che si apre al di là della balaustra. L'architettura del dipinto sembra un invito ad entrare nella scena, ad affacciarsi alla balaustra, stando al di qua della volta con lo sguardo al di là, fino ad arrivare all'orizzonte. La scena, oltre l'arco, si spalanca su un paesaggio incantato, in cui elementi tardogotici e rinascimentali si completano in una raffinata sintesi. La natura è ancora molto simile a quella rappresentata nella pittura nordica dell’epoca, con vari particolari di fronde e foglie nei boschetti, che permettono di riconoscere alberi di diverse specie. L'architettura dei borghi e dei castelli, invece, ha già in parte assimilato la lezione di Leon Battista Alberti (1404 - 1475).
- La capacità di cogliere la luce e la sua rifrazione ottica sui vari materiali è una caratteristica che divenne propria, nel corso del XV secolo, proprio dell'arte lombarda. Nel dipinto, infatti, del tutto nuova è la maggiore attenzione alla resa della luce, che si discosta completamente dalla scuola toscana dell'epoca: la rigida geometria prospettica viene superata dal pittore con l'accendersi di improvvise fosforescenze che investono e toccano architetture, rocce e figure. Questo vale sia per il paesaggio (che si estende nella profondità di una valle, conducendo l'occhio dello spettatore fino ad un orizzonte vibrante di luce, in un gioco luministico che si proietta verso quella luce dello sfondo, che vuol essere simbolo di risurrezione), sia per i corpi dei Tre crocifissi, prospetticamente impostati e modellati da un sapiente chiaroscuro, rivelando così il precoce interesse di Vincenzo Foppa per le novità che Donatello (1386 – 1466), proprio in quegli anni, andava elaborando a Padova, ed aprendo anche per gli artisti lombardi una nuova stagione stilistica, con la conquista di una rinnovata spazialità. Anche la resa quasi scultorea dei tre corpi sembra riferirsi in modo deciso al grande scultore fiorentino, soprattutto nella forzata contorsione del cattivo ladrone sulla destra.
- L'artista, superando le leggi prospettiche messe a punto in quel periodo, ormai pienamente recepite, le rielabora sapientemente, piegandole alle proprie esigenze espressive. Lo si nota in particolare nella dimensione che dà ai personaggi – anche con illusorio effetto di "sott-insù", che la resa di ombre e luci direzionali accresce – che diviene quasi "monumentale" nel Crocifisso al centro, per il quale Foppa, adottando un espediente scenografico, arriva a ingigantire la figura di Cristo rendendolo volutamente incombente verso lo spettatore, a sottolinearne così il significato salvifico.
- Il pittore concepisce una scena non narrativa, ma devozionale, in cui si spinge chi guarda a meditare sul mistero della Croce, mettendogli a disposizione quell'ambiente claustrale dipinto in primo piano.
Iscrizioni
Nel dipinto figurano tre iscrizioni:
- sulla terminazione superiore del montante della croce di Gesù, detta titulus crucis, nella quale si legge:
(LA) | (IT) | ||||
« | I(esus) N(azarenus) R(ex) I(udaeorum) » | « | Gesù il Nazareno, Re dei Giudei » |
- in basso a sinistra, su parapetto, dove si legge la datazione dell'opera:[2]
« | MCCCC/LVI / DIE / MESIS / APRILIS » |
- a destra, su parapetto¸, dove si legge la firma del pittore:
« | VINCEN/CIVS BRI/XIENSIS / PINSIT » |
Notizie storico-critiche
L'opera di dimensioni contenute era probabilmente destinata ad una cappella privata o alla domestica contemplazione di qualche prelato.
Nel 1796, il dipinto entrò nella collezione di Giacomo Carrara.
Note | |
Bibliografia | |
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