Imprimatur

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Manuale di liturgia ambrosiana ed. 1953 con l'imprimatur del cardinale Ildefonso Schuster

Imprimàtur è una locuzione latina (in italiano "si stampi") che deriva dalla 3ª persona singolare del congiuntivo presente passivo del verbo imprimĕre, nel significato moderno di "stampare". È la formula con la quale un tempo l'autorità civile o quella ecclesiastica davano il "nulla osta" (Nihil obstat) per la stampa di un libro o una pubblicazione dopo il preventivo esame da parte dell'autorità preposta al controllo e all'eventuale censura; esiste ancora nel Diritto canonico, per le pubblicazioni di carattere religioso[1]. Nell'accezione corrente il termine, nella lingua italiana, è anche utilizzato come sostantivo e sinonimo di "approvazione di uno scritto", "autorizzazione", "permesso".

Il provvedimento fu codificato durante il 5º Concilio lateranense celebrato a Roma, nella basilica di San Giovanni in Laterano, dal 3 maggio 1512 al 16 marzo 1517, con l'emanazione della Bolla pontificia Inter Sollicitudines del 4 maggio 1515 di Papa Leone X.

Uso secondo le disposizioni attuali

L'imprimatur ecclesiastico è concesso e regolamentato dalle istruzioni[2] emanate il 30 marzo 1992 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede a firma del prefetto Cardinal Ratzinger. L'approvazione garantisce che una pubblicazione sia immune da errori circa la fede e la morale cattolica, ma non che l'autorità condivida le opinioni e le dichiarazioni in essa contenute.[3]. L'autorizzazione alla stampa spetta sempre all'Ordinario locale, nella maggioranza dei casi il vescovo.

Note
Bibliografia
Voci correlate