Leggenda dell'anima delle donne
Con leggenda dell'anima delle donne si intende la convinzione secondo la quale la Chiesa cattolica avrebbe a lungo dibattuto circa l'esistenza o meno di un'anima nelle donne. Il dibattito sarebbe stato risolto nel Secondo concilio di Mâcon (585), con esito affermativo o negativo a seconda versioni della leggenda.
Si tratta di un mito anticattolico elaborato e diffuso a partire dalla riforma protestante, poi tramandatosi durante l'illuminismo del 700 e il positivismo dell'800, al pari di altre leggende nere sul medioevo (p.es. la leggenda dell'anno 1000, lo ius primae noctis, la leggenda della Terra piatta, l'ampliamento dell'efferatezza di inquisizione e crociate).
Fonti
Coloro che citano il dibattito circa l'anima delle donne non riportano documenti (prediche, opere patristiche, sinodi, encicliche) che avrebbero trattato l'argomento. L'unica fonte citata è il Secondo concilio di Mâcon (Mansi 9,947 ss., online). Tuttavia la consultazione dei canoni del concilio (o meglio sinodo locale) permette di constatare come non si è trattato né deliberato sull'argomento. L'origine del mito va trovata nel resoconto del concilio come riportato dal cronista Gregorio di Tours (Historiarum Francorum 8,20), dove viene anche marginalmente descritto un episodio che però non ha a che fare con l'anima delle donne.
Testo latino[1] | Traduzione italiana |
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[...] Extetit enim in hac synodo quidam ex episcopis, qui dicebat, mulierem hominem non posse vocitare. Sed tamen ab episcopis ratione accepta quievit, eo quod sacer Veteris Testamenti liber edoceat, quod in principio, Deo hominem creante, ait: Masculum et feminam creavit eos, vocavitque nomen eorum Adam, quod est homo terrenus, sic utique vocans mulierem ceu virum; utrumque enim hominem dixit. Sed et dominus Iesus Christus ob hoc vocitatur filius hominis, quod sit filius virginis, id est mulieris. Ad quam, cum aquas in vina transferre pararet, ait: Quid mihi et tibi est, mulier? et reliqua. Multisque et aliis testimoniis haec causa convicta quievit. Praetextatus vero Rotomagensis episcopus orationis, quas in exsilio positus scalpsit, coram episcopis recitavit. [...] |
[...] Ci fu in questo sinodo uno dei vescovi che diceva che la donna non poteva essere chiamata uomo. Ma si ricredette per le argomentazioni dei vescovi, poiché il libro sacro dell'Antico Testamento insegna che in principio, quando Dio creò l'uomo, dice (Gen 5,1-2 ): Maschio e femmina li creò, e chiamò il loro nome Adamo, cioè uomo di terra. Così, citando la donna e l'uomo, chiamò entrambi "uomo". E anche il Signore Gesù Cristo è chiamato "figlio dell'uomo", poiché era figlio di una vergine, cioè una donna. A lei disse quando trasformò l'acqua in vino: Cosa c'è a me e a te, donna? eccetera (Gv 2,4 ). A causa di molte e altre testimonianze questa discussione cessò. Pretesto, vescovo di Rouen, recitò davanti ai vescovi un'orazione che aveva composto nel suo esilio. [...] |
Il passo dunque non dibatte dell'anima nella donna né della sua natura umana, ma riporta solo la curiosità linguistica di un vescovo del sinodo circa l'inclusione delle donne nel termine "homo".
Origine della leggenda
L'origine della leggenda va trovata nell'opera Polygamia triumphatrix ("Poligamia trionfatrice") del pastore protestante Johannes Leyser (1676). In essa afferma circa il concilio di Mâcon: "Tra le altre cose, vi fu la gravissima dissertazione: le donne (mulieres) sono esseri umani (homines)? [...] E dopo molte discussioni la questione fu risolta, per cui le donne sono uomini".[2] Leyser dunque per primo ha trasformato quella che era una mera discussione linguistica e marginale al concilio, in una vexata disputa antropologica, ontologica e dogmatica.
Similmente il pastore calvinista Pierre Bayle (1697) ha affermato: "Ciò che trovo molto strano è vedere che in un concilio (di Mâcon) è stato fortemente messo in discussione se le donne sono creature umane, ed è stato deciso di sì solo dopo un lungo esame".[3]
Forse più che in questi contributi confessionali ed eruditi, la causa dell'ampia diffusione della leggenda va trovata nell'accenno fatto dal marchese de Sade nel popolare e libertino romanzo Justine (1791), dove la donna viene così descritta: "Una creatura così perversa che fu seriamente dibattuto nel concilio di Mâcon, tra le molte sentenze, se questo individuo bizzarro, così diverso dall'uomo come lo è la scimmia della foresta, poteva aspirare al titolo di creatura umana, e se poteva ragionevolmente accordarsi con lui".[4]
Nella letteratura italiana è quasi divertente leggere il resoconto della questione su un periodico liberal-massonico preunitario del 1868: "Nel secondo Concilio di Macon, nell'anno 585, sotto Gontrano re di Borgogna, fu agitata per tre giorni la questione se la donna, essendo un animale, avesse un'anima. Quei santi vescovi disputarono calorosamente fra loro, e infine si degnarono stabilire (vera grazia suprema!!..) che fra gli uomini sono comprese pure le donne e quindi anch'esse hanno un'anima".[5]
Note | |
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Collegamenti esterni | |
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