Ordine del Santissimo Salvatore di Santa Brigida

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Ordine del Santissimo Salvatore di Santa Brigida
in latino Ordo Sanctissimi Salvatoris Sanctae Brigittae
Brigidine.gif
Stemma dell'Ordine[1]

Istituto di vita consacrata
Ordine monastico femminile di diritto pontificio

Altri nomi
Brigidine
Fondatore Santa Brigida di Svezia e Santa Maria Elisabetta Hesselblad
Data fondazione 1911
Luogo fondazione Roma
sigla O.SS.S.
Abbadessa Generale Madre Tekla Famiglietti
Approvato da Papa Pio XII
Data di approvazione 1940
Motto Amor meus Crucifixus est (Il mio amore e crocifisso)
Santo patrono Santissimo Salvatore
Anno prima fondazione 1370
Collegamenti esterni
Sito ufficiale

L'Ordine del Santissimo Salvatore di Santa Brigida (in latino Ordo Sanctissimi Salvatoris Sanctae Brigittae) è un istituto religioso femminile di diritto pontificio. Le suore di questa congregazione, dette popolarmente Brigidine, pospongono al loro nome la sigla O.SS.S.[2]

La congregazione deriva dall'ordine delle monache Brigidine del Santissimo Salvatore, di cui sopravvivono ancora alcune abbazie.[3]

Cenni storici

Monaca dell'ordine

La costruzione della prima abbazia brigidina iniziò nel 1346, quando il re Magnus IV di Svezia donò alla nobile vedova Brigida (1303-1373) il castello di Vadstena affinché lo adibisse a monastero: la donazione venne confermata da Haakon VI di Norvegia, successore di Magnus, nel 1362. Papa Urbano VI approvò il monastero il 5 agosto 1370.[4]

Brigida preparò per il monastero una regola in 27 capitoli che venne esaminata dal cardinale Eleazario da Sabrano, delegato pontificio, e approvata da Urbano VI il 3 dicembre 1378 (bolla Hiis quae pro divini cultus aumento) come integrazione alla regola di Sant'Agostino.[4]

In base alla regola, i monasteri brigidini dovevano ospitare sessanta monache governate dalla badessa e venticinque religiosi retti da un confessore generale: dei religiosi, tredici dovevano essere sacerdoti, quattro diaconi e otto fratelli laici destinati ai servizi materiali. Tale composizione ricordava la primitiva comunità cristiana, con tredici apostoli (i dodici più san Paolo) e settantadue discepoli[5] (le monache con i diaconi e i fratelli); i diaconi rappresentavano i quattro padri della Chiesa.[4]

Il 13 febbraio 1422 papa Martino V proibì i monasteri doppi, mettendo in crisi l'organizzazione monastica brigidina: i monasteri esistenti sopravvissero grazie a una speciale dispensa, ma quelli di nuova fondazione sarebbero stati esclusivamente maschili o femminili.[4]

Con la Riforma protestante e la dissoluzione dei monasteri in Inghilterra le numerose comunità brigidine presenti nell'Europa centro-settentrionale vennero disperse. Sopravvissero alcuni monasteri in Polonia, Baviera, Paesi Bassi meridionali, Italia e Portogallo.[4]

Il ramo maschile si estinse nel 1863, con la morte dell'ultimo religioso Johannes Müller, monaco ad Altomünster.

L'8 settembre 1911 la svedese Maria Elisabeth Hesselbald [6], luterana convertitasi al cattolicesimo, fondò a Roma una congregazione di suore con l'abito e il carisma di santa Brigida per l'apostolato ecumenico presso le popolazioni scandinave. La nuova congregazione fu approvata dalla Santa Sede in modo definitivo il 2 dicembre del 1940.[7]

Benché la fondatrice non sia mai entrata nel suo ordine, Brigida è spesso rappresentata con l'abito delle sue monache: papa Bonifacio IX la dichiarò santa con la bolla di canonizzazione Ab origine mundi del 7 ottobre 1391, confermata da papa Martino V con la bolla Excellentium principum del 1º luglio 1419.[8]

La Hesselbald è stata beatificata il 9 aprile 2000 da Papa Giovanni Paolo II e la Chiesa la festeggia il 24 aprile.[9]

Attività e diffusione

Le suore brigidine si dedicano all'ospitalità e al dialogo ecumenico.

L'elemento più caratteristico dell'abito delle brigidine è la corona di lino bianco che portano sul capo, fissata al velo con uno spillo; alla corona sono cucite cinque pezze circolari di tessuto rosso disposte a croce (una sulla fronte, una dietro la testa, due sopra le orecchie e una sulla sommità del capo). Tutti questi segni ricordano la passione di Gesù (la croce, la corona di spine, le cinque piaghe).[10]

Le suore sono presenti in Cuba, Danimarca, Estonia, Filippine, Finlandia, Germania, India, Indonesia, Israele, Italia, Messico, Norvegia, Paesi Bassi, Palestina, Polonia,Regno Unito, Stati Uniti d'America, Svezia, Svizzera.[11] La sede generalizia dell'istituto è presso l'antica abitazione di santa Brigida nella città eterna, in piazza Farnese a Roma.[2]

Al 31 dicembre 2005 la congregazione delle suore brigidine contava 566 religiose in 49 case.[2]

Oltre alle suore, esistono ancora alcune abbazie autonome di monache brigidine di clausura: tra le principali, quella di Syon, nel Devon, quelle di Uden e Weert, nei Paesi Bassi, di Altomünster, in Baviera, di Vadstena, in Svezia, e altre in Spagna, Messico, Stati Uniti d'America e Venezuela.[12] Alla fine del 2005, i monasteri erano 13 e le monache 116.[3]

Note
  1. Lo scudo, diviso in quattro parti e sormontato da una corona, porta in altro a sinistra la croce brigidina a destra la corona di spine, in basso a sinistra le cinque piaghe di Gesù e di fianco il leone rampante della casa reale svedese
  2. 2,0 2,1 2,2 Ann. Pont. 2007, p. 1718.
  3. 3,0 3,1 Ann. Pont. 2007, p. 1523.
  4. 4,0 4,1 4,2 4,3 4,4 DIP, vol. I (1974), coll. 1578-1593, voce a cura di T. Nyberg.
  5. "Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli..." (cfr. Lc 10,1).
  6. Biografia della santa nel sito dei Beati e santi di Giovanni Paolo II
  7. DIP, vol. IV (1977), coll. 1530-1531, voce a cura di J. Berdonces.
  8. BSS, vol. III (1962), coll. 439-530, voce a cura di I. Cecchetti.
  9. Le beatificazioni avvenute nel corso del pontificato di Giovanni Paolo II su vatican.va. URL consultato il 16-3-2010
  10. Ulla Sander Olsen, in La sostanza dell'effimero... (op.cit.), pp. 415-427.
  11. Breve profilo dell'Ordine del SS. Salvatore di S. Brigida su brigidine.org. URL consultato il 16-3-2010
  12. Orden del Santísimo Salvador y Santa Brígida: monasterios su brigidastec.org.mx. URL consultato il 18-3-2010
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni