Philomena (film)
Philomena | |
Locandina del film | |
Titolo originale: | Philomena |
Lingua originale: | inglese |
Paese: | Regno Unito/Stati Uniti d'America/Francia |
Anno: | 2013 |
Durata: | 98' min. |
Colore: | colore |
Audio: | 1.85 : 1 |
Genere: | drammatico |
Regia: | Stephen Frears |
Soggetto: | Martin Sixsmith |
Ambientazione Geografica: |
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Ambientazione Storica: | 1951 2003 |
Tratto da: | The Lost Child of Philomena Lee (2009) di Martin Sixsmith |
Sceneggiatura: | Steve Coogan, Jeff Pope |
Produttore: | Gabrielle Tana, Steve Coogan, Tracey Seaward |
Casa di produzione: | Pathé, BBC Films, British Film Institute, Canal+, Cine+, Baby Cow Productions, Magnolia Mae Films |
Distribuzione (Italia): | Lucky Red |
Interpreti e personaggi: | |
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Doppiatori italiani: | |
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Fotografia: | Robbie Ryan |
Montaggio: | Valerio Bonelli |
Effetti speciali: | Manex Efrem |
Musiche: | Alexandre Desplat |
Scenografia: | Alan MacDonald |
Costumi: | Consolata Boyle |
Premi: | |
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Philomena è un film drammatico del 2013, ispirato al romanzo del giornalista britannico Martin Sixsmith The Lost Child of Philomena Lee (2009).
Il film è stato presentato in anteprima il 31 agosto 2013 all'interno del concorso ufficiale della 70ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. È uscito nelle sale cinematografiche degli USA e nel Regno Unito il 1º novembre 2013, mentre in Italia il 19 dicembre 2013.
Romanzo e film sono presentati come la vera storia di Philomena Lee, ragazza madre irlandese degli anni '50, alla quale le suore che le fornivano vitto e alloggio avrebbero forzatamente sottratto il figlio per venderlo in adozione.
Indagini successive alla distribuzione del film hanno mostrato come romanzo e film abbiano travisato notevolmente la realtà, focalizzando comunque l'attenzione sul problema della pubblicazione dei registri delle adozioni.
Trama
Nel 2003 il giornalista ateo, Martin Sixsmith, viene a conoscenza della toccante storia della cattolica settantenne Philomena Lee, che ha taciuto per 50 anni.
Nell'Irlanda degli anni Cinquanta concepì un figlio da una fugace relazione extraconiugale giovanile. Il padre la costrinse quindi a vivere in un convitto religioso rifiutando (come gli altri famigliari) rapporti con lei, e a tre anni il figlio fu venduto "al miglior offerente" in adozione a ricchi americani dalle suore che li ospitavano, le Sorelle dei Sacri Cuori di Gesù e Maria di Roscrea (County Tipperary). Il convitto dove madre e figlio erano ospitati viene descritto in maniera cupa, con suore arcigne e severe che costringono le ragazze madri a lavori servili. L'unico modo per fuggire ai lavori coatti e al convitto era il pagamento della (all'epoca esosa) cifra di 100 sterline.
Nel tentativo di mettere in contatto l'anziana madre col figlio, il giornalista e Philomena si recano al convitto, ma le suore affermano di aver perso i documenti delle adozioni in un incendio. Attorno al convento il giornalista vede molte tombe di madri e figli morti durante il parto, decessi che le suore avrebbero potuto evitare con l'assistenza di un medico. Nella vicina locanda l'oste rivela al giornalista che, in realtà, le suore hanno volontariamente bruciato i documenti per la vergogna di aver venduto, a 1.000 dollari ciascuno, molti figli illegittimi a ricchi statunitensi.
Recatisi negli Stati Uniti d'America e grazie ai database sulle adozioni, il giornalista riesce a risalire alla nuova identità del figlio adottato, Michael A. Hess, avvocato diventato consigliere repubblicano dei governi Reagan e Bush senior, omosessuale e morto di AIDS nel 1995.
Tornati al convento a Roscrea incontrano l'anziana sour Hildegarde che rimprovera Philomena, dicendo che la perdita di suo figlio era la logica conseguenza del suo peccato carnale giovanile. Philomena comunque la perdona e si reca alla tomba del figlio, che aveva scelto di farsi seppellire nel luogo dove era nato.
Differenze con la realtà
Romanzo e film sono presentati come la vera storia di Philomena Lee. Indagini successive alla distribuzione del film hanno mostrato come romanzo e film abbiano travisato notevolmente la realtà (cf. in particolare Debunking Philomena del sociologo e attivista cattolico statunitense William Donahue).
Nell'introduzione del romanzo di Sixsmith alla base del film[1] si precisa che "tutto ciò che segue è vero" (p. 2), ma la frase prosegue: "o ricostruito nel meglio delle mie abilità", con le precisazioni ulteriori: "I salti temporali sono stati riempiti, i personaggi modificati, gli avvenimenti ipotizzati". Precisazioni in difficile accordo con la premessa "tutto ciò che segue è vero".
Nel romanzo ricorrono con particolare frequenza parole chiave come: pianto, colpa, vergogna, imbarazzo, peccato, sesso, segreto. Ne deriva una descrizione cupa e bigotta del servizio caritativo e assistenziale svolto dalle suore.
Per alcune delle accuse presentate da Sixsmith non sono fornite prove, come il buon senso e l'etica giornalistica imporrebbe. Per esempio, il rifiuto di assistenza medica qualificata durante il parto, le 100 sterline che le ragazze avrebbero dovuto versare per liberarsi dalla schiavitù, il contatto madre-bambino limitato a un'ora al giorno, il divieto per la madre di fare foto al figlio, la volontaria distruzione da parte delle suore dei documenti di adozione per impedire il ricongiungimento famigliare. Su questo aspetto va evidenziato che anche giornalisti del New York Times che si sono interessati alla vicenda parlano di distruzione dei documenti a causa di un incendio, senza parlare di dolo volontario.[2] Inoltre il sito dell'associazione Adoption Rights Alliance precisa che copia della documentazione circa Sean Ross Abbey è ancora disponibile presso il locale ospedale statale,[3] cosa che permette di mettere in risalto il particolare accanimento mostrato da romanzo e film verso le religiose.
L'accusa più pesante investe le suore e l'intera gerarchia cattolica irlandese, circa la riduzione in schiavitù di madri e figli e la vendita dei minori al migliore offerente.[4] La realtà è ben diversa, come traspare anche da alcuni stralci del romanzo. In Irlanda solo dal 1972 lo stato ha iniziato ad aiutare economicamente le ragazze madri.[5] Alla congregazione dei sacri cuori fu chiesto dallo stato negli anni '20 di istituire case per accogliere, mantenere ed educare madri e figli che non avevano possibilità di sostentamento. Il lavoro assistenziale era svolto senza contributi statali, come ha chiarito la portavoce dell'ordine suor Julie Rose,[6] smentendo implicitamente l'accusa di Sixsmith per cui il movente all'accoglienza delle suore non era caritativo ma di tornaconto economico tramite le sovvenzioni statali.[7]
In quel contesto il servizio delle religiose era dunque particolarmente prezioso. Così il Los Angeles Times circa uno dei bambini irlandesi adottati negli USA: "Se non ci fossero state le suore cosa ne sarebbe stato di lui e degli altri bambini?".[8] Una ragazza madre (Mary Blake) ospitata dalle suore di Roscrea negli anni '40 e intervistata da un periodico riferisce che l'abbazia era "più pulita del pulito", e di avere "solo ricordi positivi". "(Le suore) sono state buone con me e il bambino. Se Eddy fosse nato altrove, sarebbe morto". "Mentre Mary valutava la possibilità di dare Eddy in adozione, considerando la possibilità di tenerlo, le suore non l'hanno forzata a darlo via, e non è a conoscenza di altre donne costrette a farlo". Quando Mary ha lasciato il convento ha preso con sé il bambino, con il consenso delle suore. "Sean Ross è stata per me una bella esperienza e mi ha dato molto".[9]
Quanto alla presunta vendita dei bambini adottati, lo stesso Sixsmith precisa:
« | Mentre né la NCCC [National Conference of Catholic Charities] né Sean Ross Abbey [il convento dove ha vissuto Filomena] imponevano tariffe, era uso per i genitori adottivi fare una donazione alle Sorelle dei Sacri Cuori di Gesù e Maria. » | |
(Philomena, p. 54)
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E fare un'offerta a favore dell'attività caritativa non è la stessa cosa che comprare un bambino.
Quanto alla sottrazione dei minori dalle legittime madri senza il loro consenso, va precisato che ovviamente l'affidamento tramite le suore avveniva dietro esplicita richiesta della madre, la quale cercava così di garantire al figlio un futuro migliore. Nel caso di Philomena la decisione di dare in adozione il figlio è maturata a 22 anni, quando il bambino aveva 3 anni. Il romanzo riporta i termini del documento di adozione:
« | Con la presente rinuncio per sempre alla potestà su mio figlio Anthony Lee e lo affido a sorella Barbara, superiora di Sean Ross Abbey, Roscrea, contea di Tipperary, Irlanda. Lo scopo di tale rinuncia è permettere a sorella Barbara di rendere mio figlio disponibile per l'adozione a persone che consideri degne e appropriate, dentro o fuori lo stato [...]. Sottoscritto e giurato da Philomena Lee come suo atto libero, oggi 27 giugno 1955. » | |
(p. 51)
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Anche nel film si chiarisce esplicitamente la volontarietà della pur sofferta decisione, quando la protagonista afferma: "Nessuno mi ha costretta. Ho firmato con la mia libera volontà".
Il film si dimostra impreciso quanto all'infanzia e giovinezza di Philomena. A 6 anni, morta la madre, assieme a due sorelle fu accolta nel convitto religioso per l'indigenza economica del padre, rimasto vedovo e con sei figli da mantenere (Philomena, p. 51). Nel film invece viene cacciata di casa dopo la gravidanza e poi ignorata dai famigliari. Viene poi taciuto che le suore, oltre ad averle fornito in precedenza vitto, alloggio, istruzione, aiutarono Philomena a trovare un lavoro dignitoso in una scuola di Liverpool, dove ha potuto studiare da infermiera e sposarsi con un collega di lavoro.[10]
Il film scade nella pura invenzione quando descrive il viaggio di Philomena e del giornalista negli USA, sulle tracce del figlio, viaggio in realtà mai avvenuto.[11] L'affermazione contenuta nel romanzo per cui madre e figlio nel 1977 si sono recati in maniera indipendente all'abbazia per avere notizie sull'adozione è smentita dalla portavoce dell'ordine suor Julie Rose.[12]
La stessa suor Rose chiarisce che la figura di suor Hildegarde McNulty è stata profondamente alterata, in particolare per come viene descritta nella scena finale che narra l'incontro con Philomena e il giornalista.[13] In realtà da chi l'ha conosciuta la suora viene descritta come collaborativa, pronta a commuoversi e adoperarsi per le molte ragazze madri che ha seguito, e attiva nei tentativi di riunificare molte madri coi loro figli. Va precisato anche che l'incontro descritto nella scena finale non ebbe mai luogo: suor Ildegarda morì nel 1995, anni prima del coinvolgimento del giornalista e dell'attiva ricerca di Philomena. La protesta delle religiose ha portato la casa di produzione Pathé a rispondere che il film "non è un documentario. Gli effettivi scenari sono stati cambiati ma crediamo che la sostanza della storia sia materialmente vera".
Accoglienza
Il film ha avuto una buona accoglienza da parte della critica. Tra le altre cose è stato nominato a 4 premi Oscar (miglior film, miglior attrice protagonista, miglior sceneggiatura non originale, miglior colonna sonora). Nella premiere alla mostra del cinema di Venezia, dove ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura, la battuta del giornalista Martin Sixsmith a Philomena: "Fucking Catholics!" ha suscitato l'applauso del pubblico.[14]
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