Giudaismo
« | Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo. » | |
(Nostra Aetate, 4[1])
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Il termine Giudaismo indica la religione e le istituzioni del popolo d'Israele, che si costituirono in forma definitiva al tempo dell'esilio babilonese (VI secolo a.C.) e soprattutto dopo di esso, quando Israele si trovò ridotto alla sola tribù di Giuda[2].
Il giudaismo si compone di credenze e pratiche, derivate dalla Bibbia e dalla tradizione; tutto ciò costituisce il patrimonio comune di farisei, sadducei, esseni nonché degli ambienti popolari ebraici.
L'interpretazione e l'osservanza della Tôrāh diviene la preoccupazione fondamentale del giudaismo palestinese, e ciò dà luogo, da un lato, alla costituzione di una classe d'interpreti della Legge, gli Scribi, alla produzione di complessi commentari della Scrittura, quali la Mishnāh e il Talmūd, alla formazione di diverse correnti interpretative, le principali delle quali sono i Farisei e i Sadducei; d'altro lato, l'insistenza sull'osservanza della Legge produce un rigoroso legalismo, che contraddistingue in maniera peculiare la religiosità del giudaismo[3].
Fonti
Oltre alla Bibbia, le fonti scritte che ci permettono di conoscere il giudaismo sono:
- le opere di Filone;
- le opere di Flavio Giuseppe;
- vari scritti rabbinici:
- i libri giuridici del II e III secolo (Mĕghillath Taʿănîth, Mišnāh, Tôsephtāʾ) e i commenti agli ultimi libri di Mosè, di carattere prevalentemente giuridico (Mĕkhîlthāʾ, Siphrāh, Siphrê, a cui si può aggiungere il Sedher ʿÔlām, una specie di cronaca;
- il Targum;
- il Talmud;
- i Midhrāšim.
Anche gli apocrifi dell'Antico Testamento sono di aiuto per conoscere l'ambiente e la cultura in cui si è venuto formando il giudaismo.
Gli elementi religiosi
Giovanni Paolo II nella Sinagoga di Roma | ||||||
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Il popolo ebreo è un popolo essenzialmente religioso. Dio è per lui Padre e Re, ma è anche il Santo, del quale il popolo è tenuto a riprodurre la santità. I rapporti con Dio si esplicano attraverso il culto (mezzo di rendere omaggio al Dio trascendente) e l'osservanza delle regole, che tendono a consacrare l'uomo a Dio. La religione è fondamentalmente nazionale.
Dio
Per il giudaismo l'esistenza di Dio è un dato di fatto e non ha bisogno di essere dimostrata; può essere conosciuto solo attraverso la rivelazione; è l'unico: al di fuori di lui non ci sono altri dèi.
Malgrado i numerosi antropomorfismi, si tende - in maniera più evidente a partire dal II secolo a.C. - ad esasperare la trascendenza di Dio. Il nome tetragrammato di Dio, YHWH, nome proprio e personale di Dio, è sostituito da ʾĂdhōnaj ("Signore"); nel Targum Dio è addirittura indicato con il termine Mêmrāʾ ("Parola"). Ciò è probabilmente dovuto, fra l'altro, al timore di profanazioni idolatriche. La trascendenza di Dio è soprattutto sottolineata negli scritti apocrifi, mentre i rabbini sono più riservati; pare anzi che ritenessero estremamente pericoloso per l'uomo che non fosse "saggio e intelligente" approfondire tale studio.
Attributo importantissimo di Dio è la sua santità: per Isaia Dio è "il Santo d'Israele"; le preghiere Qaddîš e Qĕdhûšāh celebrano la santità di Dio. Dal II secolo è poi frequentissima presso i rabbini l'invocazione: "il Santo, che sia benedetto". Dio è fonte d'ogni santità, cioè è purezza assoluta e potenza infinita; tale santità, esistente allo stato assoluto in Dio, si comunica, relativamente, agli uomini attraverso il patto (bĕrîth), attraverso il quale vengono imposti agli uomini determinati obblighi perché si rendano degni di Dio, contraente maggiore di esso.
La potenza di Dio fa parte integrante della sua santità: Dio compie prodigi per esser santificato fra i popoli; perciò le dimostrazioni d'impotenza e le sconfitte del popolo santo sono profanazioni del nome di Dio. La potenza di Dio viene a coincidere con il nostro concetto di Provvidenza: Dio veglia costantemente sul suo popolo.
In quanto all'operare o meno di Dio nell'anima dell'uomo, i dottori del giudaismo si limitano a credere che Dio assiste l'uomo nella via che egli stesso si è scelto, mentre molti apocrifi affermano che Dio dà all'uomo un cuore puro.
Le opinioni sulla predestinazione sono diverse:
- i farisei, secondo Flavio Giuseppe, arrivano a conciliare fatalità e libertà umana;
- gli esseni non pongono limiti al destino;
- i sadducei lo negano.
Dio tuttavia è presente ovunque, e rabbi Gamaliele afferma che Dio si è rivelato in un roveto per dimostrare che "non c'è luogo vuoto della šekhînāh", cioè della presenza di Dio[4].
I miracoli sono universalmente riconosciuti dal giudaismo; tuttavia si tende a ritenere più importante di essi l'attività provvidenziale ordinaria di Dio, e si afferma che i prodigi non possono prevalere contro le decisioni rabbiniche.
Fra la giustizia e la misericordia di Dio, si tende a far prevalere la seconda sulla prima; e il problema della giustizia di Dio, alla luce della prosperità degli empi e dell'infelicità dei giusti, pare essere stato risolto da rabbi ʿAqîbāʾ († 135), secondo il quale "la prosperità degli empi è la ricompensa che essi ricevono, prima di esser gettati nel fuoco della gehenna, a quei meriti che pur essi hanno; le sofferenze dei giusti servono a purificarli delle loro mancanze, perché possano, completamente puri, godere della felicità dell'altra vita"[5].
Gli Angeli
Gli angeli compaiono spesso nella Bibbia, ma l'angelologia si sviluppa soprattutto presso i rabbini e la letteratura apocrifa.
Gli angeli partecipano degli attributi di Dio, e soprattutto della sua santità. La loro missione è quella di circondare Dio nel cielo e nelle sue teofanie sulla terra.
A poco a poco si sviluppa il concetto dell'angelo custode. Si sviluppano anche le cariche angeliche.
Assume grandissima importanza Metatron, che sembra talvolta la personificazione di Dio; ma verso la fine del II secolo appare come un assistente di YHWH, di cui condivide il trono; egli, in qualità di scriba celeste, tiene nota dei meriti di Israele.
Polo opposto degli angeli buoni sono gli angeli distruttori, che sono spiriti cattivi e impuri. Di essi parlano abbondantemente i due libri di Enoch, i Testamenti dei Patriarchi, l'Apocalisse di Esdra. Capo dei demoni è, secondo le varie tradizioni, Satana, Belial, Sammael, Mastema, Azazel, Beelzebub.
Il popolo eletto
Il concetto di popolo eletto è uno dei perni più importanti del giudaismo. L'elezione è avvenuta, si legge ripetutamente nella Bibbia, per scelta di Dio e solo per scelta sua, ed essa trova la sua prima realizzazione nella storia dei patriarchi; tuttavia, nell'alleanza stretta tra Dio e il popolo, con la mediazione di Mosè, egli sottopose alla libera volontà d'Israele di accettare o meno la sua proposta.
L'elaborazione posteriore di questa dottrina tende a diminuire le promesse fatte ad Abramo esaltando invece il particolarismo nazionale, e nello stesso tempo tende ad attribuire ai meriti dello stesso popolo d'Israele la scelta di Dio, cosicché la nozione biblica di alleanza e quella giudaica, presentano significative divergenze. Il giudaismo giunge a dire che un solo israelita vale davanti a Dio tutti i popoli della terra[6] e che Israele è l'unico popolo di Dio[7].
La Legge
Il dono più grande che Dio ha fatto al popolo eletto è la Tôrāh ("Legge", "Istruzione"), e Dio l'ha data a Israele perché prevedeva che soltanto Israele l'avrebbe potuta ricevere. Nella Tôrāh il popolo ebreo trova la base della sua religione, perché in essa vi sono rivelate le sue credenze fondamentali e in essa vengono promulgate le norme che regolano tutta la sua vita. Per il giudaismo l'oggetto principale della Rivelazione sinaitica sono le "dieci parole" (Decalogo) incise sulla Tavola e ricevute da Mosè.
La Legge si divide in scritta e orale.
- La Legge scritta è quella che si legge nel Libro; esso è parola di Dio, e come tale è sacro; i vari autori, ispirati da Dio, riproducono fedelmente pensieri e parole non loro.
- La legge orale aveva il compito di adattare la Legge ai casi particolari, e, in teoria, di rendere la Legge di più facile applicazione[8]. Per dar maggior autorità a questa legge si cercava di farla risalire allo stesso Mosè, che sul Sinai avrebbe avuto da Dio la rivelazione anche di tutte le decisioni rabbiniche; Mosè l'avrebbe trasmessa a Giosuè, Giosuè ai profeti, e così via[9].
La Legge deve essere osservata, perché ad ogni israelita incombe il dovere di promuovere il Regno di Dio e di "santificare il Nome".
Grande importanza ha peraltro l'idea della sanzione: ogni azione è seguita da una ricompensa o da una punizione. Alla fine dell'anno si calcolano i meriti e i demeriti di ciascun uomo, e, secondo la prevalenza degli uni o degli altri, l'uomo è classificato fra i giusti o gli empi; ma la sentenza sarà applicata solo il giorno dell'espiazione, e fino ad esso è possibile mutarla con una buona condotta. Il metodo seguito per la sanzione segue un principio matematico, ma la misura delle ricompense è più larga di quella delle punizioni[10]; le ricompense sono generalmente applicate fin da questo mondo e sono soprattutto d'ordine temporale e materiale.
Il peccato
Il peccato era in origine ogni violazione anche involontaria della legge. A poco a poco si sviluppò invece una acuta casistica, che analizzava in profondità l'atto umano e ammetteva che potessero essere peccati anche atti puramente interiori: peccati di sguardo, di desiderio, ecc.[11]. Il peccato è considerato come impurità, profanazione e misconoscimento della santità di Dio. Esso è entrato nel mondo con la ribellione d'Adamo.
Il peccato si espia, secondo la legge mosaica, con il sacrificio; il Levitico menziona innanzitutto il sacrificio "per il peccato" (cc. 4-5); ma la grande espiazione ha luogo il giorno del kippûr o "giorno dell'espiazione".
Prima di Gesù Cristo pare fosse universalmente riconosciuto inoltre il valore della espiazione attraverso la sofferenza, la morte e soprattutto il martirio (2Mac 7,37 ; Siphrê su Nm 25,13 ; ecc.). La penitenza richiede come atto preliminare la confessione e la riparazione dei torti arrecati; è aperta a tutti, e ottiene un perdono completo.
Il Tempio
Il Tempio è per il giudaismo la casa di Dio, luogo purissimo e santissimo; in esso si offrono i sacrifici.
Con il passare del tempo, però, la liturgia dà sempre maggiore importanza alla preghiera. Sorgono così le sinagoghe, molto numerose già al tempo di Gesù; esse sono luoghi di preghiera e di studio della Legge.
Distrutto il Tempio nel 70 d.C, scomparve il sacerdozio e il culto sacrificale, e tutta la pratica religiosa si limitò alla lettura biblica e alle preghiere della sinagoga.
Le Feste
Le feste principali erano e sono:
- la festa delle Capanne: in origine festa agricola, storicizzata come ricordo del periodo passato nel deserto;
- la Pasqua, festa pastorale storicizzata a memoria della liberazione dall'Egitto;
- la Pentecoste, festa agricola che divenne poi la commemorazione del dono della Legge al Sinai.
Altre feste avevano carattere eminentemente nazionale:
- la festa della Dedicazione del Tempio, che ricordava la vittoria di Giuda Maccabeo;
- la festa di Pûrîm, che celebrava il trionfo di Ester su Aman.
Altre feste del giudaismo hanno poi per scopo di ravvivare lo spirito di pietà e di penitenza; tra queste l'inizio dell'anno (rōʾš haš-šānāh) e il kippûr.
Il giudaismo consacra a Dio ogni giornata attraverso varie preghiere legate a momenti del giorno: il risveglio, il sonno, il mettersi e levarsi gli indumenti, il mangiare, ecc.
La morale
Nel giudaismo la morale è parte integrante della religione, perché è Dio stesso che ne detta le norme.
La morale del giudaismo è caratterizzata da un'umanità delicata, per cui i bambini, le donne, i poveri e in generale chi è debole e nel bisogno è fatto oggetto di cure e protezione:
- la dignità della donna deve essere rispettata;
- gli schiavi, che facevano parte della famiglia, devono essere trattati bene;
- numerosissime e delicate prescrizioni proteggono il povero.
L'elemosina ottiene ogni bene temporale ed è detta "il sale della ricchezza"[12], il suo valore sta nella carità che l'ispira[13]. Superiori all'elemosina sono le opere di carità, che impegnano tutta la persona. Tali regole tuttavia impegnano l'israelita nei riguardi di un altro israelita; nei riguardi dei gentili la linea di condotta da seguire è diversa, come diverso è l'amore di Dio verso gli Israeliti e quello verso gli altri popoli.
L'escatologia
Sull'escatologia il giudaismo he idee sono diverse e alquanto vaghe; la Sacra Scrittura stessa non offre dati sicuri.
Al tempo di Gesù alcuni credono ancora nello sĕʾôl; altri tuttavia cominciano a considerarlo luogo di punizione degli empi[14] e pongono i buoni in seno ad Abramo (4Mac 12,17; 18,23) o al giardino dell'Eden. Pochi ammettono che i buoni andranno nel "luogo più santo del cielo" per poi rivestire dei corpi puri[15].
Il messianismo
Il messianismo ebraico ha il suo centro di interesse nella restaurazione nazionale. Da alcuni passi del Vangelo, dalle storie di Flavio Giuseppe e dalle poche sentenze rabbiniche dell'epoca di Gesù si constata che in quel periodo l'attesa del Messia - in particolare presso il popolo - era ancora viva. La restaurazione nazionale si concepiva come realizzantesi in questo mondo, oppure in una terra nuova meravigliosamente fertile; altri ritenevano che sarebbe avvenuta insieme alla risurrezione dei morti.
L'Apocalisse di Esdra attesta l'attesa dell'avvento di un'era messianica, seguita, alla consumazione dei secoli, dalla risurrezione e dal giudizio; messianismo ed escatologia infatti si trovano molto spesso confusi.
Alcuni cercavano di conoscere la data della venuta del Messia attraverso calcoli o segni previsti, mentre gli spiriti più profondi predicavano che l'evento sarebbe stato determinato solo dallo spirito di penitenza[16].
Il concetto del Messia come essere appartenente alla sfera della divinità - concetto ben chiaro nell'Antico Testamento - si ritrova solo presso gli apocrifi, mentre i rabbini si sforzano di privare il Messia di ogni aureola divina[17].
La Bibbia ebraica rappresentava inoltre il Messia come colui che doveva sopportare grandi sofferenze. Il giudaismo dapprima accettò questa rappresentazione del Messia, poi la respinse per reazione al cristianesimo nascente; da allora i passi che parlano dei dolori del Messia vengono interpretati in modo diverso, ovvero vengono applicati a un altro Messia, detto Messia di Ephraim o di Giuseppe, che non è figlio di Davide, e la cui figura nasce verso la fine del II secolo; questo Messia vincerà Roma e tutte le nazioni nemiche; per ottenere la vittoria accetterà la morte, morte che peraltro non avrà nessun valore espiatorio.
Punto centrale della restaurazione messianica è il ritorno dall'esilio; tale avvenimento sarà accompagnato da prodigi e miracoli[18], e da alcuni è attribuito a Dio stesso più che al Messia. Dio ha parte importantissima nell'istituzione del regno messianico. Egli dirige ogni cosa, servendosi di personaggi che sono soltanto suoi strumenti.
Periodizzazione del giudaismo
La periodizzazione convenzionale del giudaismo risulta così formulata[19]:
- giudaismo antico, da Esdra al III-II secolo a.C.
- medio giudaismo, dal II a.C. al II d.C.
- giudaismo rabbinico, da rabbi Jehoudah ha-Nasì ai giorni nostri.
Il medio giudaismo: il giudaismo ellenistico
All'interno del medio giudaismo, trova spazio il giudaismo ellenistico, che è caratterizzato dall'esclusivismo etnico ed etico nei confronti del mondo circostante, ma anche dalla fusione che realizza con la cultura filosofico-religiosa dell'ellenismo. Ne nasce un tipo di pensiero ebraico nuovo rispetto a quello espresso nella più antica tradizione biblica e a quello stesso del giudaismo palestinese[3].
Un rappresentante esemplare del giudaismo ellenistico è Filone di Alessandria.
Il giudaismo rabbinico: il giudaismo medioevale
Uno dei momenti culturalmente più vivaci, anche per le discussioni che lo caratterizzarono, è costituito dai secoli XII e XIII, col problema dell'accettazione o meno di elementi della filosofia aristotelica nel giudaismo. Protagonista di quest'epoca è il pensiero di Mosè Maimonide, la cui impostazione è difesa in particolare dal rabbino Hillel ben Samuel.
Maimonide ricopre notevole importanza nella storia del giudaismo perché, nel suo Pirush Hamishnayot (trattato Sanhedrin, capitolo 10), formula i 13 principi della fede (ebraica):
- Esistenza di Dio
- Unità e unicità di Dio
- Spiritualità ed incorporeità di Dio
- Eternità di Dio
- Adorazione riservata solo a Dio
- Onniscienza di Dio che conosce anche i pensieri degli individui
- Verità della Torah
- Preminenza di Mosè tra i profeti
- Legge di Dio data sul Monte Sinai e derivante dal Cielo
- Immutabilità della Torah
- Ricompensa del bene e punizione del male
- Venuta del Messia
- Risurrezione dei morti.
Note | |
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