Preparazione della sepoltura di Gesù Cristo morto (Vittore Carpaccio)
Vittore Carpaccio, Preparazione della sepoltura di Gesù Cristo morto (1520 ca.), tempera su tavola | |
Preparazione della sepoltura di Gesù Cristo morto | |
Opera d'arte | |
Stato | Germania |
Regione | - class="hiddenStructure noprint" |
Comune | Berlino |
Diocesi | Berlino |
Ubicazione specifica | Gemäldegalerie |
Uso liturgico | nessuno |
Comune di provenienza | Venezia |
Luogo di provenienza | ubicazione originaria |
Oggetto | dipinto |
Soggetto | Preparazione della sepoltura di Gesù Cristo morto |
Datazione | 1520 ca. |
Ambito culturale | |
Autore | Vittore Carpaccio |
Altre attribuzioni | Andrea Mantegna |
Materia e tecnica | tempera su tela |
Misure | h. 185 cm; l. 145 cm |
La Preparazione della sepoltura di Gesù Cristo morto (detto anche Seppellimento o Compianto su Gesù Cristo morto o più semplicemente Gesù Cristo morto) è un dipinto, eseguito nel 1520 circa, a tempera su tela, da Vittore Carpaccio (1465 ca. – 1526), conservato presso la Gemäldegalerie di Berlino (Germania).
Descrizione
Ambientazione
La scena è ambientata nel desolato paesaggio del cimitero che presenta lapidi sbrecciate ed affioramenti di macabre spoglie umane. Si notano, infatti, una serie di teschi, frammenti ossei umani ed animali, oscuri presagi di morte resi con grande cura per il dettaglio. Particolarmente toccanti sono i resti di un torace con il moncherino scheletrico e la testa di donna che emerge davanti ad una lapide spezzata.
Lo sfondo è composto da un paesaggio brullo in cui hanno luogo vari episodi legati alla vita terrena di Gesù, in particolare alla sua passione, ed al tema della caducità dell'esistenza umana sulla terra. Vi si scorgono:
- numerosi sepolcri violati, uno con la mummia appoggiata crudamente alla parete, oltre a numerose lapidi scheggiate o infrante, colonne spezzate e monumenti crollanti;
- in alto, a sinistra, si riconosce in lontananza il monte Calvario con le tre croci ancora erette;
- al centro, su una rupe traforata da tombe, si trovano due pastori con il gregge: simbolo sia della vita che continua, ma anche della natività di Gesù;
- a destra un'insenatura oltre la quale le montagne degradano schiarendo verso l'orizzonte per via della foschia.
Soggetto
Nel dipinto compaiono:
- al centro:
- Gesù Cristo morto, magro ed esangue, si trova disteso su un tavolo di marmo, sorretto da una base a tronco di cono rastremato e pilastrini angolari, mostrato in tutta la sua lunghezza parallelo al primo piano.
- Giobbe presentato come un uomo anziano, un eremita, che di fronte al corpo di Gesù medita sulla sua morte. È appoggiato ad un albero in parte secco ed in parte frondoso, simbolo dell'Ebraismo, che ha finito il suo corso, e della nuova vita portata dal Cristianesimo sul ceppo dell'antica religione.
- a sinistra:
- Giuseppe d'Arimatea, Nicodemo ed un terzo uomo preparano la sepoltura di Gesù: due di loro spostano la pietra del sepolcro, il terzo regge il vassoio degli unguenti per l'imbalsamazione.
- a destra:
- Maria Vergine, svenuta, sopraffatta dal dolore, viene sorretta da santa Maria Maddalena: entrambe le figure sono accovacciate sul suolo di un sentiero.
- San Giovanni apostolo, in piedi, di spalle, piange disperato.
Inoltre, nella scena sono presenti alcuni dettagli, resi con grande cura, spesso di valore simbolico, come:
- Alcuni fiori rossi, in primo piano, rimandano al colore del sangue e quindi alla passione di Gesù.
Notizie storico-critiche
Il dipinto viene assegnata all'ultima fase produttiva dell'artista per l'uso del colore simile alla Lapidazione di santo Stefano (1520), anche se presenta evidenti analogie con altre opere precedenti della produzione carpaccesca, in particolare la Meditazione sulla passione di Gesù Cristo (1500 - 1510), di impianto mantegnesco, e il San Giorgio e il drago (1502 - 1507), dal quale riprende alcune citazioni testuali, come i macabri moncherini.
La datazione tarda, inoltre, è legata anche al tema della morte e della caducità delle cose umane, nel quale alcuni studiosi hanno voluto leggere, forse con qualche forzatura, una riflessione dell'artista, ormai anziano e prossimo al trapasso.
L'opera, insieme alla Meditazione, viene citata nel 1623 nella collezione di Roberto Canonici a Ferrara con l'attribuzione ad Andrea Mantegna.
Bibliografia | |
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