Recluso (monachesimo)

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Si dice recluso o reclusa il monaco o monaca che adotta una forma estrema di vita penitenziale, che consiste nel rinchiudersi in solitudine in un uno spazio ristretto, sia per un periodo limitato della propria vita o per sempre. Queste celle si trovavano normalmente presso un monastero o una chiesa, per questo motivo la vita del recluso non va confusa con la vita dell'eremita.

Origini

Questa forma estrema di ascetismo era già presente nel monachesimo cristiano del IV secolo. Le prime notizie su questa forma di vita religiosa sono riportate in Siria da San Eusebio di Tebe.

Spiritualmente, la reclusione monastica è una simbolica ma radicale morte al mondo, scelta volontariamente con prudente consiglio. In Occidente nel Medio Evo, la cerimonia dell'entrata in reclusione era accompagnata col canto dei defunti In paradisum deducant te angeli. La speranza del recluso è di trovare la via a Dio nella "calma, pace, tranquillità e assenza di preoccupazione" dell'Esicasmo.

Monachesimo occidentale

Parsifal e la reclusa miniatura del XV secolo

In occidente l'uso della reclusione come forma ascetica apparve più tardi rispetto alle Chiese orientali. Un concilio regionale del 533 a Orléans menziona la presenza di reclusi nella Gallia merovingia, San Gregorio di Tours ne fa menzione qualche anno più tardi. Le prime disposizioni legali a tale proposito apparvero in Spagna a partire dal 648, questo dimostra che questo tipo di vita monastica si era diffuso anche in occidente.

Furono il secolo XI e il secolo XII - i grandi secoli mistici del Medio Evo occidentale - a veder fiorire questa pratica in tutta Europa. Numerosi sono i monasteri che approntano delle celle specifiche per questa pratica ascetica. Le monache sono più numerose a praticare questo tipo di vita religiosa, perché la vita da eremita era considerata troppo rilassata e pericolosa per una donna. Questa forma di vita non era intesa per sempre, ma veniva praticata anche solo per un certo periodo. San Aelredo di Rievaulx nel XII secolo scrisse una Regola specifica per questa forma di vita religiosa.

Tra le recluse più famose si annovera Santa Widorada di San Gallo che dopo una preparazione di quattro anni in una comunità monastica, venne lasciata rinchiudere nel 916 dall'abate Salomon III nella cella presso la chiesa di San Magno. Morì assassinata nel 926 da banditi ungheresi. Questa è la prima reclusa di cui si anno informazioni certe. Altre celebri recluse furono Santa Giuliana di Norwich inglese e la mistica olandese Ivette di Huy. San Romualdo fondatore dei camaldolesi nel 1012 incoraggiò esplicitamente questa pratica. I camaldolesi conobbero fino al 1450 una forma di reclusione collettiva nel periodi forti dell'anno liturgico. Questo ordine religioso è il solo che ancora oggi riconosce la reclusione, nelle sue Costituzioni del 1968.

Nel XIII secolo e nel XIV secolo la situazione mutò: mentre i reclusi maschi diminuiscono a favore della vita eremitica, le recluse si moltiplicano, in particolare nelle città, avendo la protezione delle cattedrali e delle autorità civili. A Roma nel 1320 si contavano 230 recluse (nel XVI secolo quattro recluse vivevano ancora presso la Basilica di San Pietro).

Nei secoli successivi, questa forma di vita diminuì, come altre forme di vita monastica, ma nel XVII secolo vi erano ancora alcune recluse a Parigi, Lione, Bruxelles, Lovano, Lilla e Anversa. Di questo periodo si ricordano Jeanne de Cambry e Jeanne Le Ber che si fece murare viva in Canada a Ville-Marie.

Monachesimo orientale

La tradizione monastica orientale conosce questa forma di ascesi da più tempo e in maniera più ricca rispetto all'occidente. Tirannio Rufino (lui pure recluso) e Teodoreto di Ciro menzionano questa forma di vita religiosa sia maschile che femminile in Siria. In Egitto sono ricordati gli anacoreti Millamos e Giovanni di Licopoli. Nel periodo bizantino fiorì sulle isole dell'Egeo, e si ricorda la reclusa Neofita (1134 ca - 1214).

Icona di San Serafino di Sarov

Un canone sinodale del 1170 recita: È una cosa molto coraggiosa che qualcuno si rinchiuda in una cella per tutta la vita, come se fosse morto, ma la legge dei Padri ordina che nessuno si faccia recluso se non dopo una approfondita valutazione e vengono poste delle condizioni: chi volesse decidersi per una tale vita, deve da prima vivere per almeno tre anni sotto l'obbedienza di un abate, in seguito dovrà presentare una dichiarazione minuziosa sul modo in cui pensa di praticare questo genere di vita, dichiarazione che verrà sottoposta al vescovo.

In Russia questa forma di vita sopravvisse fino al XIX secolo. San Serafino di Sarov morto nel 1833 e il vescovo dimissionario Teofane, che visse da recluso dal 1866 al 1894, ne sono i rappresentanti più famosi.

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