Regola di Abelardo

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La regola di Abelardo è una lettera scritta da Pietro Abelardo per le monache del monastero del Paracleto dopo che la loro badessa e moglie di Abelardo, Eloisa, gli ebbe richiesto di comporre una regola monastica adatta alle donne.

Sembra che la regola non sia stata adoperata neanche dalla comunità del Paracleto,[1] ma rimane come una finestra a come pensava Abelardo la vita monacale e per approfondire nella psicologia di questo «direttore di anime» meglio conosciuto per la sua vicenda personale o per la sua filosofia.

Storia

Nell'anno 1127, Abelardo lascia l'oratorio del Paracleto che aveva fondato e si trasferisce come abate a San Gildas-de-Ruys nella Bretagna. Lì soffre, secondo quanto lui stesso racconta, il dissidio dei monaci e la difficoltà della lingua. Questo lo porta ad una forte crisi personale.

Ma nel 1129, Eloisa, che aveva fondato un monastero ed era malvista da personaggi come san Bernardo, fu espulsa con le sue monache dal monastero di Argenteuil. Tanto Sugerio di Saint-Denis come San Bernardo si rallegrarono di allontanare questo gruppo di monache accusate di ogni tipo di immoralità e perfino di stregoneria. Eloisa aveva continuato i suoi studi e ormai era una donna rispettabile e consapevole delle sue conoscenze.

In questi momenti difficili, Abelardo le offre il campo vicino all'oratorio del Paracleto di sua proprietà. Non si parla, nel testo di Abelardo, di qualche iniziativa di Eloisa, ma è probabile che lei stessa abbia fatto la richiesta. Eloisa fece vivere alle monache che andarono con lei una vita ancora più austera di prima (tanto che alcune di loro abbandonarono il monastero ed entrarono in altri).

L'ordo impiegato in Cîteaux influì come modello nelle comunità riformate fondate in quel periodo. Sebbene ufficialmente non erano parte di questo movimento, senza dubbio l'ordo impiegato da loro era basato su quello di Citeaux. Dopo aver ricevuto l'approvazione papale del monastero (1131), l'oratorio si dedicò alla Santissima Trinità. Abelardo cominciò a visitare spesso il monastero, cosa che levò dei sospetti. Per questo, Abelardo lascia di nuovo il Paracleto e finisce ogni contatto personale con Eloisa: da adesso in poi soltanto si scriveranno delle lettere. Cominciano con una di Eloisa dove rimprovera Abelardo perché ha conosciuto delle sue sventure attraverso la Lettera ad un amico (quella conosciuta oggi come Historia calamitatum) che era arrivata «casualmente» nelle sue mani. Eloisa ammette che vuole mantenere un rapporto più vicino, ma attraverso le sue risposte Abelardo la porta a maturare il loro amore e dirigerlo insieme a Dio. In una di queste lettere (la sesta dello scambio epistolare tra i due), Eloisa chiede che scriva una storia della vita monastica femminile e che prepari una regola:

« Tutte noi, ancelle di Cristo e in Cristo tue figlie, ora rivolgiamo, supplici, alla tua bontà di padre due richieste, chiedendoti di provvedere a cose per noi molto necessarie. La prima di queste richieste è che tu ci istruisca sugli inizi del monachesimo femminile e sule autorevoli origini della nostra scelta di vita. L'altra richiesta è che tu crei per noi una regola, e che, dopo averla scritta, ce la invii. Vorremmo che questa regola fosse adatta alle donne e che descrivesse in modo esauriente la nostra posizione e le norme della nostra vita comune, perché ci sembra che ciò non sia stato fatto da nessuno dei santi Padri. A causa di questa mancanza e della necessità che ne nasce, ora nei monasteri sia le donne che gli uomini devono votarsi ad una stessa regola, e uno stesso giogo è imposto al sesso fragile come a quello forte »
(Scerbanenco (1996:291))

Infatti, continua Eloisa, non si possono applicare le norme di Benedetto per il vestito («cappucci, cosciali, scapolari», «tuniche di lana inadatti alle donne»), per l'abate (che deve lui stesso leggere il Vangelo o iniziare i canti) o della ospitalità a pranzo (come far entrare in monastero uomini a mangiare insieme alla badessa?), del lavoro nel campo, del tempo di prova prima di diventare monaca. Anzi, pensando alla prudenza e saggezza di san Benedetto, Eloisa ricorda che lui aveva predisposto che la regola si potesse aggiustare secondo i tempi e le circostanze per i fanciulli e gli anziani, e allora si domanda: «In quale modo egli avrebbe provveduto alle donne, se avesse creato una regola anche per noi come per gli uomini?»[2] La regola di san Benedetto è impegnativa e alcuni monaci non riescono: allora come –si domanda Eloisa– possono le donne, che sono più fragili, arrivare dove gli uomini non hanno potuto?

Così Abelardo scrisse tre lettere per quella comunità. Nella prima[3], presenta la storia delle monache di clausura (almeno ciò che lui sapeva in quel momento). Parla di tre momenti: le donne che servivano il Signore secondo ciò che ci racconta il vangelo, le diaconesse fondate da san Paolo e finalmente le suore di clausura.

La seconda lettera[4] ha la regola che propone per la comunità.

La terza lettera[5] è dedicata alla formazione delle monache. Afferma che devono conoscere le lingue della Bibbia e così studiare le Sacre Scritture. Devono istruirsi il più possibile. Questo non danneggerà la loro vita interiore. Parla anche dell’importanza del canto liturgico.

Tradizione testuale

D'accordo con lo studio ed edizione critica portato avanti da Terence McLaughlin nel 1956, esiste un solo manoscritto che contiene il testo completo di questa lettera:

  • Bibliothèque de Troyes, Ms. 802, folii 59-88

Ci sono anche due altri manoscritti che contengono parti più o meno significative del testo:

  • Bibliothèque nationale de France, Ms. nouv. acq. lat. 1873, folii 176-182.190.
  • Bibliothèque nationale de France, Ms. lat. 2545, folii 40-53

C'è anche un gruppo di manoscritti (tre nella Bibliothèque nationale de France e un altro della Bibliothèque de Reims) che riportano soltanto l’introduzione della lettera.

Le edizioni antiche stampate della regola (sempre in latino) si trovano normalmente nelle Opera omnia. Il primo è l’edizione di François D’Amboise e di André Duchesne pubblicate nel 1616 (tutte e due indipendenti ma con lo stesso testo). In questi libri non si dice nulla sulle fonti adoperate per l’edizione: allora non si sa quali manoscritti stanno alla base del testo. Non si sa neanche come sia possibile che due autori indipendenti abbiano pubblicato lo stesso anno un libro con lo stesso testo. McLaughlin anche considera «corrotto» il testo e dimostra che gli autori non avevano davanti la fonte con il manoscritto della Bibliothèque di Troyes.

La pubblicazione di 1718 edita da Richard Rawlinson di Oxford e con una seconda edizione di 1728, secondo ciò che indica l’autore sarebbe una correzione dell’edizione di D’Amboise. Ma, quando si comparano ambe due edizioni si vede che non ci sono cambiamenti in quella nuova versione.

John Caspar Orelli pubblicò un'edizione nel 1841 ma non riporta la lettera con la regola. La Petri Abaelardi Opera pubblicata da Victor Cousin nel 1849 ha un testo più accurato da quello del Migne pubblicato nel 1855 (cf. PL 178).

Per la discussione sul tema dell’autenticità delle lettere, si rimanda al riassunto fatto da Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri[6] o allo studio del Gilson[7].

Fonti

Lo stesso Abelardo ci informa all'inizio della regola che intende fare un testo prendendo il meglio da differenti regole. Ma il testo è pieno di riferimenti non solo ad altre regole anteriori, evidentemente anche dalla Bibbia e dai Santi Padri, così come da testi di scrittori classici antichi.

In tutto 26 libri dell'Antico Testamento vengono citati e 19 del Nuovo. Il testo più citato dell'Antico Testamento è il libro dei Proverbi (32 volte) seguito dalla Siracide (23): in tutto 26 libri dell'Antico Testamento vengono citati. Del Nuovo Testamento, il vangelo di san Matteo è il più citato (46) seguito dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi (25)

Ci sono molte citazioni prese dalle Vitae patrum (23) o delle opere di altri padri come san Girolamo (20), san Gregorio Magno (13) esant'Agostino (12). Cita anche le regole di san Benedetto (23 volte), di san Pacomio e di Donato.

Ma, e proprio del tempo, citazioni di autori classici: Lucano, Macrobio, Cicerone, Seneca, Ovidio e Platone.

Contenuto

La lettera non ha uno schema evidente: qui si divide il testo seguendo più o meno la divisione fatta nella edizione della Cremaschi.

Nella prima parte della lettera, Abelardo indica perché scrive: la stessa Eloisa aveva chiesto che componesse una storia della vita monastica femminile (cosa che, come si è detto, fa nella lettera 6) ed una regola più adeguata per donne perché scoprivano che la Regula Sancti Benedicti aveva delle lacune. Per questo lui voleva scrivere una regola che, secondo ciò che lui stesso informa, sarebbe una «composizione» di ciò che c`è di meglio nella vita monastica a lui contemporanea:

« Mi sono proposto, a partire dai molti testi dei santi padri e dalle ottime consuetudini in uso nei monasteri, di comporre per voi una regola, utilizzando i singoli elementi come mi verranno in mente e raccogliendo come in un unico fascio quello che mi sembra adattarsi alla santità del vostro proposito e non ho attinto soltanto alle regole delle monache, ma anche a quelle stabilite per i monaci. »
(Cremaschi (2003:290))

A continuazione indica che il primo «trattato» sarà diviso in tre parti che corrispondono agli elementi fondamentali della vita monastica secondo la sua opinione basata nel vangelo: la continenza o castità, la povertà e il silenzio. A questi tre elementi dedica le pagine seguenti fermandosi specialmente nel silenzio e proponendo degli esempi tratti specialmente delle Vitae Patrum.

Come un mezzo per vivere questo silenzio, consiglia la solitudine mostrando di nuovo diversi esempi dei padri del deserto.

Una terza parte della lettera-regola è dedicato al principio di autorità e ai diversi incarichi presenti nell’abbazia simile, secondo lo stesso Abelardo, alle unità presenti nell’esercito. Dedica evidentemente ampio spazio a parlare della badessa e poi della relazione con i monasteri maschili. Gli altri incarichi sono: la sagrestana, la maestra del coro, l’infermiera, la guardarobiera, l’economa, la portinaia. Alla fine parla anche brevemente dell’oratorio.

La quarta parte spiega la giornata della monaca, i momenti di vita comune (preghiera in comune, cibi, lavoro), l’orario, i vestiti e i cibi. Qui si parla anche, a modo di excursus sul vino (a lungo, con degli esempi come fece per il silenzio e tentando di provare che il vino, tranne il caso di malattia, dovrebbe venir proibito a tutti: monaci e monache), per tornare al tema dei vestiti. A continuazione si parla delle proprietà e dell’amministrazione del monastero.

Finalmente Abelardo dedica ampio spazio a parlare delle Sacre Scritture, si lamenta che si dedichi tanto tempo al canto o ad imparare a pronunciare adeguatamente i testi senza approfondire il loro senso.

La lettera finisce in modo brusco, forse perché si è perso il testo finale.

Note
  1. Così per esempio pensa Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri: «Probabilmente no fu adottata nel monastero» Scerbanenco (1996:351) o Mews nel suo studio del 2005.
  2. Scerbanenko (1996:301)
  3. Cf. Ep. 7, PL 178, 225-256.
  4. Cf. Ep. 8, PL 178, 255-324.
  5. Cf. Ep. 9, PL 178, 325-336.
  6. Introduzione a Abelardo, Editori Laterza, Roma 2000, p. 123-126.
  7. Cf. Eloisa e Abelardo, Giulio Einaudi Editore, Torino 1950.
Fonti
  • Cecilia Scerbanenco (trad.), Lettere di Abelardo e Eloisa, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1996, ISBN 88-17-17093-3
Bibliografia
  • Joseph Thomas Muckle, «Abelard's letter of Consolation to a Friend (Historia Calamitatum)» in Medieval Studies 12 (1950), p. 163-213
  • Terence P. McLaughlin, «Abelard's rule for Religious Women» in Medieval Studies 18 (1956), p. 241-292
  • Jacques Leclerq, Abelardo Pietro, in {{autore|[[Guerrino Pelliccia}}, Giancarlo Rocca]] (a cura di), Dizionario degli istituti di perfezione, Edizioni Paoline, Roma, vol. I, 1974, col. 49-50
  • Lisa Cremaschi (a cura di), Regole monastiche femminili, Giulio Einaudi Editore, Torino 2003, ISBN 88-06-16632-8
  • Constant J. Mews, Abelard and Heloise, Oxford University Press, New York 2005, ISBN 0-19-515688-9