Trinità

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Questa voce tratta unicamente dell'aspetto teologico della Trinità.
Andrej Rublëv, Icona della Trinità (1410 ca.), tavola; Mosca, Galleria statale di Tret'jakov
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Il mistero della Santissima Trinità è il mistero centrale della fede e della vita cristiana. È il mistero di Dio in se stesso. È quindi la sorgente di tutti gli altri misteri della fede; è la luce che li illumina. È l'insegnamento fondamentale ed essenziale nella "gerarchia delle verità" di fede.[1] "Tutta la storia della salvezza è la storia del rivelarsi del Dio vero e unico: Padre, Figlio e Spirito Santo, il quale riconcilia e unisce a sé coloro che sono separati dal peccato".[2]
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Noi dunque crediamo al Padre che genera eternamente il Figlio; al Figlio, Verbo di Dio, che è eternamente generato; allo Spirito Santo, Persona increata che procede dal Padre e dal Figlio come loro eterno Amore. In tal modo, nelle tre Persone divine, coaeternae sibi et coaequales[3], sovrabbondano e si consumano, nella sovreccellenza e nella gloria proprie dell'Essere increato, la vita e la beatitudine di Dio perfettamente uno; e sempre "deve essere venerata l'Unità nella Trinità e la Trinità nell'Unità"[3].
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Il termine Trinità indica quanto la rivelazione portata da Cristo ha fatto conoscere del mistero di Dio: in lui, pur essendo Uno e Unico (una sola natura o sostanza divina), sussistono tre persone uguali e distinte.

Le tre persone (o, secondo il linguaggio mutuato dalla tradizione greca, ipostasi), sono conosciute come:

Il termine Trinità è ignoto alla Scrittura e non appartiene al primitivo kerigma, ed è stato coniato alla fine del II secolo a partire dalla radice greca trias, "triade", a cui corrisponde il latino trinitas[4].

Insieme a quello dell'unicità di Dio, quello della Trinità è un dogma fondamentale della religione cristiana, al punto che né la Chiesa Cattolica né le altre Chiese e comunità ecclesiali che professano tale mistero, chiamano cristiani quanti non lo professano.

Nell'Antico Testamento

Nell'Antico Testamento il mistero della Trinità è soltanto prefigurato e non ancora rivelato apertamente, forse per non dare al popolo ebraico, circondato da idolatri, occasione di cadere nel politeismo[5].

Tutto l'Antico Testamento è convinto della vitalità e della pienezza della vita di Dio. Perciò esso parla già dello spirito di Dio per indicare l'interiorità divina e la sua manifestazione quale dono per gli uomini (cfr. Ez 36,27 ).[6].

La luce della rivelazione del Nuovo Testamento aiuta a intravedere nell'Antico tracce di una distinzione di termini in Dio, specialmente nei Libri Sapienziali:

Altri testi sono interpretati nel Nuovo Testamento in relazione al Messia-Figlio di Dio:

Altre prefigurazioni con minore consistenza teologica possono essere viste:

Nel Nuovo Testamento

La rivelazione vera e propria della Trinità è lo specifico del Nuovo Testamento, il quale annuncia che "il Verbo" si fa "carne" in Gesù di Nazaret (Gv 1,14 ) e che questi, in qualità di Signore risorto e gloriaglorificato, invia lo Spirito Santo.

Tuttavia nel Nuovo Testamento non trova lo sviluppo di una dottrina teologica della Trinità[6]: esso insegna piuttosto che i discepoli di Gesù vengono inseriti nella vita di Dio attraverso la vita, l'opera, la morte e la risurrezione del Signore, nonché attraverso lo Spirito da lui inviato.

Gesù e il Padre

Il Nuovo Testamento mette in chiaro l'unità e la contemporanea distinzione fra Gesù e suo Padre (Gv 10,30; 14,9 ): Gesù non è il Padre, ma ha ricevuto completamente se stesso, ivi inclusa la propria figliolanza, da lui. Tale rapporto rispecchia la vita intradivina.

Centro e motore propulsore dell'annuncio di Gesù e della sua prassi è il suo rapporto con Dio come Padre[7], con il quale vive un'intimità di autocomunicazione piena e permanente. Il loghion di Mt 11,25-27 , che "risale certamente nella sua sostanza al Gesù pre-pasquale"[7], fa vedere che il cuore dell'esperienza di Gesù è il suo rapporto col Padre.

È fondamentale poi il dato della forma aramaica con cui Gesù si rivolge al Padre, con la parola che i bambini usavano per rivolgersi al loro padre, Abbà (Mc 14,36 )[8]. Tale termine dice gratitudine assoluta verso di lui, totale e fiducioso abbandono al suo volere e, insieme, libertà di un rapporto fatto di intima comunione[9].

La relazione di Gesù con il Padre è poi illuminata dai racconti del suo Battesimo (Mc 1,9-11 ; Mt 3,13-17 ; Lc 3,21-22 ; Gv 1,29-34 ), dai quali traspare che l'opera che egli inizierà da lì a poco con l'inizio della sua predicazione ha la sua radice nell'adesione profonda al volere del Padre, nella linea del Servo del Signore di Isaia (42,1-9; 49,1-7; 50,4-9; 52,13-53,12); da parte sua il Padre lo proclama suo figlio amato (cfr. Gen 22,2 ), nel quale ha posto la sua compiacenza (cfr. Is 42,1 ); lo Spirito di Dio, che già aveva consacrato i profeti (cfr. Is 61,1 ) e che era stato promesso in sovrabbondante pienezza per i tempi messianici (Gl 3,1-2 ) lo spinge e lo consacra.

Nella sua trasfigurazione (17,1-9; Mc 9,2-10 ; Lc 9,28-36 ), Gesù cambia d'aspetto mentre prega, ed è trasfigurato in gloria; nell'orientamento verso la sua passione (cfr. l'esodo di cui parla con Mosè ed Elia in Lc 9,31 ), una voce, dalla nube, proclama la figliolanza di Gesù.

Mediante la glorificazione pasquale di Gesù i suoi discepoli sono inseriti nella relazione tra Gesù e il Padre attraverso il dono dello Spirito Santo, che è annunciato come portatore misterioso dell'amore tra Padre e Figlio giunto al suo compimento (Gv 7,37-39; 14,1-16,15 ).

La rivelazione della Persona dello Spirito

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Spirito Santo (Nuovo Testamento)

La Persona dello Spirito Santo è meno definita di quella di Gesù, ma non mancano testi che ne asseriscono la condizione divina: Rm 8,11 ; 1Cor 3,16 (cfr. Ef 6,19 ).

In Tt 3,5 si dice che lo Spirito è mandato a noi dal Padre per mezzo del Figlio. La mutua relazione delle tre Persone divine è espressa in Gal 4,4-6 .

Le formule trinitarie

Alcuni passi del Nuovo Testamento menzionano in maniera esplicita e in successione le tre persone divine:

  • nel comando di Gesù di battezzare tutte le nazioni "nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19 ), nella quale la presenza della congiunzione "e" fra le tre Persone dà risalto alla loro uguaglianza pur nella loro distinzione reale;
  • nel riferimento paolino alle tre persone come fondamento della diversità dei ministeri nella Chiesa, pur nell'unità di Dio (1Cor 12,4-6 );
  • nella formula di saluto trinitaria che si trova al termine della seconda lettera ai Corinzi (13,13).

Nella vita della Chiesa dei primi secoli

Fin dall'inizio della vita della Chiesa la coscienza trinitaria fu presente in modo esplicito in essa grazie alla realtà del Battesimo, della liturgia in generale e delle orazioni. Si vedano, ad esempio, i Simboli della fede[10] e gli Atti dei Martiri. La professione di fede in Cristo fu subito percepita come inseparabile dalla confessione del mistero intimo di Dio, cioè della sua Paternità. Parlare di Cristo vuol dire affermare che in Dio esistono Paternità e Filiazione.[11]

La riflessione dei primi secoli precisa che Dio è un unico processo vitale; ciò che diciamo Dio può essere solo un'unica qualità, che viene indicata coi nomi di "essenza", "natura", "sostanza". Ma, secondo la rivelazione biblica, l'essenza più intima di Dio è un intreccio fatto di dare, ricevere e essere una cosa sola, che va qualificato come evento dell'amore divino.

La professione della Trinità nella liturgia battesimale

Le prime testimonianze della fede trinitaria richiamano il mistero pasquale e la sua applicazione alla salvezza di ogni uomo nella liturgia battesimale, in conformità al mandato di Gesù stesso in Mt 28,19 .

I simboli stessi servivano per il Battesimo, mediante il quale si entrava a far parte della Chiesa. La Didaché (ca. 90-100) afferma che solo coloro che sono stati battezzati possono avvicinarsi alla mensa eucaristica[12], e prescrive per la liturgia battesimale una formula esplicitamente trinitaria, con tre immersioni o con l'effusione di acqua per tre volte sul capo. Il richiamo è alla risurrezione ed alla salvezza operata in Cristo dalla Trinità; nel II secolo è perciò chiaro che il Battesimo debba essere amministrato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo[13]. Anche nei pochi casi in cui nei primi secoli si attesta che il Battesimo veniva amministrato nel nome di Gesù, la professione di fede espressa nel simbolo assicurava la dimensione trinitaria del rito. Lo stesso dicono Giustino († 163-167) e Ireneo († 202). Importante soprattutto la testimonianza di quest'ultimo, che nella Dimostrazione della fede apostolica attribuisce un ruolo specifico ad ogni Persona della Trinità:

« Per questa ragione, la nostra nuova nascita – il Battesimo – ha luogo grazie a questi tre articoli, che ci portano la grazia della nuova nascita in Dio Padre, per mezzo di Dio Figlio nello Spirito Santo. Poiché coloro che portano lo Spirito di Dio sono condotti al Verbo, cioè al Figlio, ma il Figlio li presenta al Padre, ed il Padre dona la incorruttibilità. Così, dunque, senza lo Spirito non è possibile vedere il Figlio di Dio, e senza il Figlio nessuno può avvicinarsi al Padre, in quanto il Figlio è la conoscenza del Padre, e la conoscenza del Figlio avviene mediante lo Spirito Santo. » (n. 7)

Si tratta, dunque, di una dottrina indiscussa nella Chiesa, come è provato dal fatto che Ireneo cita questa dottrina senza ulteriori commenti.

Il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito servivano anche per distinguere il battesimo cristiano dagli altri battesimi giudaici.

Le professioni di fede trinitarie

L'esistenza di simboli di fede è attestata già nel Nuovo Testamento (cfr. At 8,37 ; Rm 10,9 ; Ef 1,13 ; 1Tim 6,12 ; Eb 4,14 ), e da ciò risulta che essi erano diffusi già nel I secolo. Si tratta di brevi formule liturgiche che servivano anche per la catechesi e per favorire la memorizzazione della dottrina, grazie anche alla struttura a domande e risposte. Come si è visto, esse avevano struttura trinitaria. Sant'Ireneo parla esplicitamente di tre articoli del simbolo, uno per ciascuna Persona[14]. Con Ippolito di Roma († 235) già le domande si sono convertite in un credo completo, con struttura tripartita[15]. A partire da questo momento, le formule si moltiplicano.

Tertulliano († 222) fa appello alla professione di fede nella lotta contro le eresie, autentico giuramento che costituisce con il Battesimo propriamente detto un unico sacramentum fidei:

« A chi si manifesta la verità senza Dio? Chi conosce Dio senza Cristo? Chi vive di Cristo senza lo Spirito? A chi si comunica lo Spirito senza il sacramento della fede» (De Anima, 1: PL 2, 688.)

Già agli inizi del IV secolo è poi chiaramente testimoniato il Simbolo degli Apostoli.

La professione della Trinità nella liturgia eucaristica

Anche la liturgia eucaristica è legata al mistero trinitario fin da subito. Scrive Giustino:

« Poi, a colui che presiede l'assemblea dei fratelli, si portano un pane e un calice d'acqua e di vino, che questi prende in mano, rendendo gloria e lode al Padre dell'universo, nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e compiendo a lungo un ringraziamento (eucharistian) per questi beni che Lui, per Sua grazia, ci ha donato; quando ha terminato le preghiere e il ringraziamento, tutto il popolo presente acclama, rispondendo: Amen » (Prima Apologia, 65[16])

Lo stesso schema è presente nella Traditio Apostolica (metà del III secolo):

« Ti ringraziamo Signore, per Gesù Cristo tuo Figlio amatissimo, che hai inviato negli ultimi tempi come salvatore, redentore e messaggero della tua volontà, che è il Tuo Verbo inseparabile per mezzo del quale hai creato ogni cosa, che per la tua benevolenza hai inviato dal cielo al seno di una Vergine e che fu concepito e si incarnò e si è manifestato come tuo Figlio, nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Santa [..]. Ti preghiamo che tu faccia scendere il tuo Santo Spirito sul sacrificio della santa Chiesa, che porti all'unità tutti coloro che si comunicano e che li riempia con lo Spirito Santo, per rafforzare la loro fede nella verità. Così ti lodiamo e ti glorifichiamo per tuo Figlio Gesù Cristo. Per Lui ti sia resa gloria ed onore a te, Padre e Figlio, con lo Spirito Santo, nella Chiesa santa, ora e nei secoli dei secoli. Amen. » (n. 4[17])

Si può notare l'epiclesi, cioè l'invocazione allo Spirito Santo perché santifichi i doni, e la dossologia finale.

Il fenomeno è generale: la confessione trinitaria è presente nella liturgia eucaristica perché la dimensione trinitaria è essenziale nella salvezza cristiana e quindi nella vita sacramentale. In quest'ultima è essenziale il ruolo dello Spirito Santo, "donatore della presenza Trinitaria"[18].

Il carattere trinitario dell'orazione cristiana

In generale la dimensione trinitaria è essenziale per tutta l'orazione cristiana, che è in continuità con quella giudaica, ma si differenzia sostanzialmente da essa perché si rivolge al Padre attraverso Cristo, con il quale possiamo essere in comunione per l'azione dello Spirito Santo.

Origene dice che i cristiani assunsero la tradizione giudaica di iniziare ogni orazione con una lode a Dio, che adesso però è la Trinità[19], come appare in maniera evidente nel Segno della Croce.

La dossologia trinitaria nell'inno Phos hilarón

« Gioioso splendor,
della gloria del Padre eterno celeste
santo beato, O Cristo Gesù,
giunti al tramonto e ammirando la luce vespertina,
inneggiamo al Padre ed al Figlio,
e al Santo Spirito Dio.
È giusto lodarti in ogni tempo, con voci sante,
O Figlio di Dio, datore di vita,
per questo il mondo ti dà gloria»

La dossologia "Gloria al Padre, al Figlio ed allo Spirito Santo" diventa comune nel IV secolo nell'ambito della lotta contro l'arianesimo, ma risale al II/III secolo, perché appare nell'inno Phos hilarón appartenente alla liturgia dei vespri orientale:[20]

Presto questa dossologia sarà recitata alla fine di ogni salmo, ed i Padri concluderanno non solo le loro orazioni, ma anche i loro scritti con questa invocazione[21].

La confessione della fede trinitaria investe, così, tutta la vita dell'uomo, segnandone i momenti più importanti, dall'inizio fino al suo compimento, come avviene,significativamente, con l'estrema confessione dei martiri, quando la liturgia si traduce in vita e la vita in liturgia, poiché queste formule suggellano l'estremo sacrificio e la suprema testimonianza dei cristiani. Significative sono le ultime parole di San Policarpo:

« Padre del tuo amato e benedetto Figlio (τοῦ ἀγαπητοῦ καὶ εὐλογητοῦ παιδός σου) Gesù Cristo, per mezzo del quale ti abbiamo conosciuto, Dio degli angeli e delle potestà, ti benedico per avermi ritenuto degno di questo giorno e di questo momento, rendendomi partecipe, nel numero dei martiri, del calice del tuo Cristo per la risurrezione dell'anima e del corpo nella vita eterna e nell'incorruttibilità dello Spirito Santo. Possa io oggi essere accolto fra loro innanzi a te in un sacrificio pingue e gradito, quale tu stesso mi hai preparato e manifestato e porti ora a compimento, Dio verace e leale. Perciò io ti lodo anche per tutte le cose, ti benedico, ti rendo gloria per mezzo dell'eterno gran sacerdote Gesù Cristo tuo Figlio diletto (ἀγαπητοῦ σου παιδός), e per mezzo suo sia gloria a te in unione con Lui nello Spirito Santo ora e sempre nei secoli venturi, Amen. »

L'uso di παῖς, paîs al posto di υἱός, yhiós per indicare Gesù rivela l'antichità del testo, in quanto la letteratura cristiana più antica indicava il Signore con il primo termine, che racchiude in sé sia il significato di servo (l'umanità), che quello di Figlio (divinità). L'aggettivo ἀγαπητός, agapetós equivale poi a indicare Cristo come il Figlio Unigenito.

Gli inizi della riflessione teologica

La riflessione trinitaria dei primi autori ecclesiastici è frutto della loro conversione e della loro fedeltà fino al martirio. Essi mostrarono la profondità della dottrina della creazione e la sua connessione con la dottrina trinitaria attraverso l'approfondimento della categoria del Logos e l'affermazione della libertà di Dio nel creare. A questo scopo si appoggiarono alla filosofia del loro tempo, rettificandola alla luce della Rivelazione.

L'importanza del passaggio dal giudecristianesimo all'ellenismo

I primi sviluppi della dottrina trinitaria avvengono nell'ambito del passaggio dall'ambito giudaico a quello ellenico.

La dottrina cristiana nasce in un contesto semitico: Gesù è ebreo e chiama Abbà il Padre; la sua storia è l'Antico Testamento, i suoi discepoli sono ebrei e si esprimono in un modo tipicamente semita. Il giudeocristianesimo ha un'importanza fondamentale nella storia del pensiero cristiano, essendo il primo anello della catena che dagli eventi di salvezza giunge ai giorni nostri.

I giudeocristiani esprimevano la loro fede cristiana nello schema di pensiero giudaico[23]. Alcune componenti del giudeocristianesimo furono eterodosse, spesso in continuità con movimenti eterodossi del giudaismo stesso: ne sono un esempio gli ebioniti, che consideravano Cristo come il più grande dei profeti, ma non lo confessavano come Dio, perché non riuscivano a conciliare tale visione con il monotesimo. In generale non si può comprendere la teologia del II secolo senza tener presente il giudeocristianesimo[24]

Sul versante opposto, la filosofia greca vedeva Dio come l'ordinatore del cosmo[25]. Nella filosofia greca è presente anche il panteismo, come nel caso degli stoici[26][27]. Nonostante ciò, i risultati ed i concetti elaborati dal pensiero greco furono essenziali per il pensiero cristiano, in quanto fornirono ai primi pensatori cristiani il linguaggio per iniziare la loro opera di comprensione del messaggio rivelato.

I Padri apostolici

Il messaggio fondamentale dei Padri Apostolici è la confessione dell'unico Dio Padre e creatore di tutto l'universo; in tal senso prendono posizione forte contro il politeismo pagano, contro l'emanazionismo gnostico e contro il dualismo marcionita[28]. Per i Padri Apostolici l'affermazione della divinità di Cristo non intacca il monoteismo: il Dio creatore dell'Antico Testamento, il Dio dell'Alleanza, è il Padre di Gesù Cristo. Il fondamento della vita cristiana è "credere che Dio è Uno, che ha creato e stabilito ogni cosa, portandola all'esistenza a partire dalla non esistenza"[29]. Tutta la bellezza dell'universo ha la sua origine nella sapienza e potenza di Dio[30].

Senza speculazione alcuna, ma solo riportando la predicazione cristiana, i Padri Apostolici testimoniano l'iniziativa del Padre, realizzata mediante il Figlio e lo Spirito Santo, per la salvezza dell'uomo. Le affermazioni trinitarie sono inserite nel contesto della storia della salvezza, particolarmente segnato dall'influsso della liturgia, come nel caso di San Clemente di Roma e Sant'Ignazio di Antiochia. L'Antico Testamento è letto alla luce dell'affermazione della Filiazione divina di Cristo, come nel seguente testo di Clemente: "Di suo Figlio disse il Signore: Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato (Sal 2,7 )"[31]. Abbiamo un solo Dio, ed un solo Cristo ed un solo Spirito di grazia, effusi su di noi in modo tale che siamo partecipi della vita intima del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo[32].

Sant'Ignazio di Antiochia ricorre ad espressioni simili, riprendendo la teologia giovannea del Verbo: "Non c'è che un unico Dio che si è manifestato in Gesù Cristo, suo Figlio che è il suo Verbo, uscito dal silenzio, che in ogni cosa è stato di compiacimento a Colui che lo ha inviato"[33].

Infine, lo Spirito Santo è presentato nella sua relazione con la Chiesa: "Voi siete pietre del tempio del Padre preparate per la costruzione di Dio Padre, elevate con l'argano di Gesù Cristo che è la croce, usando come corda lo Spirito Santo."[34] In generale, il luogo privilegiato per la considerazione della teologia trinitaria nei Padri Apostolici è la Chiesa, che in numerosi testi appare come amata dal Padre, edificata dal Figlio e vivificata dallo Spirito[35].

I Padri apologisti

Con i Padri apologisti inizia ad apprezzarsi un forte influsso del pensiero filosofico nella presentazione del mistero trinitario: ciò si nota in Aristide († 140), in Giustino († 163/167) ed in Atenagora († 177).

I destinatari degli scritti dei Padri Apologisti sono diversi:

Alla base delle argomentazioni degli Apologisti vi è l'affermazione dell'unicità del Dio creatore e provvidente. Aristide, nella sua Apologia, indirizzata all'imperatore Antonino, sottolinea la trascendenza di Dio e fonda il suo ragionamento sulla considerazione del movimento, della bellezza e dell'ordine del mondo. Taziano, nel suo Discorso ai greci (n. 8), ricorre ad argomenti simili e mette in evidenza il fatto che Dio è àsarcos, "privo di carne", e asòmatos, "privo di corpo", al contrario degli dèi pagani, che hanno le stesse passioni degli uomini e lottano tra loro.

Questi Padri riprendono la linea dimostrativa antimitologica, che aveva già caratterizzato il pensiero metafisico di Platone ed Aristotele.

In sintesi, gli Apologisti si muovono nell'ambito filosofico del platonismo medio e cercano di esprimere il mistero cristiano mediante queste categorie. In questo modo si espongono al rischio del subordinazionismo, ma riescono ad esprimere che in Dio ci sono tre Persone e a sviluppare una teologia del Logos, fondamentale per raccordare il pensiero filosofico con la teologia cristiana. Pur non riuscendo ad esprimere con sufficiente forza l'unità delle tre Persone e lasciando in ombra lo Spirito Santo, il loro pensiero costituisce un momento fondamentale nello sviluppo della dottrina trinitaria, in quanto si chiedono il perché della distinzione tra Padre e Figlio, riuscendo ad individuare nella generazione il fondamento del rapporto tra la prima e la seconda Persona.

Giustino

Il più importante degli apologisti è Giustino. La sua dottrina è particolarmente importante dal punto di vista trinitario. Giustino prende le mosse dall'affermazione dell'ineffabilità divina:

« Ma non esiste un nome che si possa imporre al Padre dell'universo, dato che è ingenerato. Infatti qualunque nome, con cui lo si chiami, richiede un essere più antico che gli abbia imposto tale nome. Le parole padre e Dio e creatore e signore e padrone non sono nomi, ma denominazioni derivate dai Suoi benefici e dalle Sue opere. »
(Apologia seconda, 6,1-2[36])

Nel Dialogo con Trifone Giustino usa una forma espressiva più vicina a quella della Sacra Scrittura, e mostra al suo interlocutore che stanno parlando del medesimo Dio. Egli parte dal mandato battesimale di Gesù (Mt 28,18-20 ) e ne deduce gli attributi divini del Figlio e dello Spirito Santo, ma riserva il nome Dio solo al Padre[37].

Alcune delle formulazioni dottrinali di Giustino hanno un fondo subordinazionista, ma il problema riguarda il solo livello formale e non la sostanza del pensiero[38].

Suo contributo principale alla riflessione trinitaria è la dottrina sul Logos, che procede dalla volontà del Padre[39]. Sotto l'influsso anche del platonismo, Giustino difende l'ineffabilità di Dio e cerca di distinguere il Padre dal Figlio, attribuendo le teofanie dell'Antico Testamento alla seconda Persona, in qualità di mediatore tra Dio ed il mondo. Il Padre, invece, rimarrebbe infinitamente distante dal mondo[40].

In questo contesto viene inserita in ambito cristiano la dottrina stoica, che differenzia il Logos endiàthetos ("Verbo interiore") dal Logos prophorikós ("Verbo proferito"). Questa distinzione è fondata sul modo di conoscere dell'uomo, che prima sviluppa un concetto interiore e poi lo articola in una parola esteriore. Applicando a Dio questa dottrina, Giustino inizia a percorrere il cammino che condurrà all'analogia psicologica di Agostino. Limite di questo operazione è il rischio di far dipendere il Verbo, cioè la seconda Persona della Trinità, dalla creazione, così come la parola acquista consistenza solo nell'atto di essere proferita[41].

Il giudizio sul pensiero di Giustino deve tener presente che ci si trova all'inizio della riflessione trinitaria, quando si stanno ancora forgiando concetti e terminologia. Quanto detto a proposito del Logos prophorikós va inteso nel senso economico di rivelazione, e non come affermazione che riguarda l'immanenza trinitaria.

Della terza Persona della Trinità, infine, Giustino parla molto poco, e gli attribuisce solo l'illuminazione dei profeti[42].

Gli altri Padri Apologisti

Taziano, rispetto a Giustino, sembra meno ortodosso anche nella sostanza, perché dice che il Logos è Dio ma che è l'opera prediletta del Padre[43], e ricalca la differenza (non la distinzione) tra il Logos endiàthetos ed il Logos prophorikós¡¡[44].

Anche Atenagora presenta una incipiente riflessione trinitaria. Confutando l'accusa di ateismo rivolta ai cristiani, scrive:

« Chi dunque non rimarrebbe attonito nell'udire che vengono detti atei quelli che riconoscono Dio Padre e Dio Figlio e lo Spirito Santo, che ne dimostrano e la potenza nell'unità e la distinzione nell'ordine? »
(Supplica intorno ai cristiani, 10, 5: PG 6, 908)

Teofilo di Antiochia fu il primo ad usare l'espressione "Trinità" (Triade), per riferirsi a Dio, al Verbo e alla Sapienza[45], anche se non siamo sicuri che stesse pensando veramente a tre Persone divine. Più tardi, sarà Origene ad utilizzare il termine in senso sicuramente trinitario[46].

La struttura trinitaria della salvezza in Ireneo

Sant'Ireneo († 202) si oppose agli gnostici, che erano fondamentalmente degli emanazionisti, nel senso che negavano la creazione e vedevano il mondo come degradazione della divinità, e dei dualisti, che pensavano che la materia fosse cattiva[47], e lo fece sottolineando fortemente l'unità di Dio e il fatto che non è mai esistita una materia eterna che sia all'origine del male. Ireneo afferma che Dio è unico, e che non esiste un demiurgo divinità inferiore che crea il mondo. L'autore dell'Antico Testamento è lo stesso del Nuovo Testamento e si è rivelato in Cristo.

Ireneo sviluppò una teologia della salvezza basata sull'idea di unità; mise in risalto la provvidenza universale di Dio, e fondò una vera e propria teologia della storia: il mondo viene da Dio e deve tornare a Lui, in un movimento che non va inteso in modo necessario (come sostenevano i neoplatonici), ma che passa attraverso las libertà e l'amore dell'uomo; l'origine e il termine di questo movimento vengono identificati con la Trinità stessa.

Dio è trascendente, onnipotente[48] e semplice[49]. La sua provvidenza è universale, e la sua scienza si estende al passato al presente ed al futuro[50]. Ireneo sottolinea la libertà come fondamento di ciò che esiste, dicendo che prima della creazione di Adamo, il Padre ed il Figlio si glorificavano mutuamente, per cui Dio non aveva bisogno di creare[51].

Dall'unicità di Dio e dalla sua libertà deriva l'unità della storia e di tutto ciò che esiste: infatti, essendo Lui l'unico Signore, l'unico Creatore e l'unico Padre e Sovrano, che ha dato l'esistenza ad ogni cosa, tutto ciò che esiste dipende da questo Principio. Se ci fosse un altro Dio oltre a Lui, allora effettivamente sarebbe logico dubitare dell'unità della creazione, ma non c'è altri al di sopra di Lui[52].

Dio è, così, al di sopra di ogni umano pensiero, e ciò è noto a colui che legge la Scrittura, in quanto i pensieri di Dio non sono come i pensieri umani:

« Si può dire con proprietà e verità che è un intelletto che intende ogni cosa, ma che non è comparabile all'intelletto degli uomini. Allo stesso modo lo si può chiamare con assoluta proprietà luce, ma non è in nulla simile alla luce che noi conosciamo. E così con tutto il resto: il Padre di ogni cosa in nulla è comparabile alla piccolezza di ciò che è umano. Tutte queste cose si dicono di Lui in quanto esse manifestano il suo amore: ma comprendiamo che la Sua grandezza è al di sopra di tutte. »
(Adversus Haereses, 2, 13, 3)

Una volta affermata con forza e chiarezza l'unicità di Dio, Ireneo mostra come in questo Dio unico esista una chiara distinzione di Padre, Figlio e Spirito Santo, che si può conoscere, però, solo per rivelazione. Rispetto agli autori precedenti Ireneo sottolinea maggiormente l'eternità della generazione del Verbo, ed abbandona la distinzione tra Logos endiàthetos e Logos prophorikós[53]. Ireneo non è un filosofo, ma un vescovo che lotta per la purezza della fede, per cui nella sua teologia si riferisce alle Persone divine a partire dal loro agire nella storia. Per lui il cristiano è innanzitutto un uomo che crede nella Trinità:

« Coloro che appartengono alla Chiesa seguono una unica voce che attraversa il mondo intero. È una tradizione sicura che ci viene dagli apostoli, che fa in modo che riceviamo una unica e medesima fede credendo tutti in un solo e medesimo Dio, il Padre; credendo tutti nella stessa economia dell'incarnazione del Figlio di Dio; riconoscendo tutti lo stesso dono dello Spirito. »
(Adversus Haereses, 5, 20, 1)

Se sottolinea molto il valore dell'agire delle divinie Persone nella storia della salvezza, Ireneo introduce anche forti affermazioni sull'immanenza: il Dio cristiano è lo stesso Dio dell'Antico Testamento, che per tanto è sempre stato dotato di intelletto, cioè di Logos[54]; il Verbo è intimo al Padre come il pensiero è intimo a colui che pensa; Egli è nel Padre e possiede il Padre in sé stesso[55]. Il Figlio è coeterno al Padre[56] e anche lo Spirito Santo è eterno: "Dio ha sempre con sé il Verbo e la Sapienza, il Figlio e lo Spirito"[57]. Sottolinea con forza la connessione tra essere ed agire di Dio, ricorrendo all'immagine del Figlio e dello Spirito che sono come le mani del Padre, in modo tale che Questi ordina ed il Figlio realizza ciò che viene ordinato, che a sua volta è portato a perfezione dallo Spirito[58]. Quanto avviene nella storia della salvezza è così manifestazione della vita intima di Dio[59]: il Padre, allora, come fonte ed origine di tutta la Trinità (fons et origo totius Trinitatis) è anche fonte di tutta la storia della salvezza.

La scuola alessandrina

Caratteristica principale della Scuola alessandrina è l'uso con senso già critico della filosofia greca nelle formulazioni teologiche. Gli alessandrini ricorrono abbondantemente alla teologia del Logos ed utilizzano una cristologia discendente.

Clemente

Clemente sottolinea che l'esistenza di Dio è una realtà accessibile naturalmente alla ragione, e parla di un istinto verso Dio nell'uomo, che quindi sarebbe essenzialmente animale religioso[60]. Una intelligenza retta può arrivare a Dio[61] a partire dalla bellezza del mondo e dalla attività degli esseri contingenti[62] e, in particolare, a partire dall'anima umana, che è immagine di Dio nella quale si riflette il divino[63]. A ciò si accompagna l'affermazione netta che, sebbene l'esistenza di Dio sia alla portata della ragione umana, la sua natura rimane al di là di ogni possibilità conoscitiva, per cui l'intimità divina è accessibile all'uomo solo per rivelazione[64].

Clemente evidenzia in modo particolare l'unicità di Dio, per contrastare gli errori dualisti, in particolare il marcionismo, che, ritenendo inconciliabili l'infinita bontà e l'infinita [[giustizia] di Dio, risolveva la questione distinguendo il Dio crudele e giustiziero dell'Antico Testamento dal Dio pieno di bontà e misericordia del Nuovo. A differenza di Marcione, per Clemente esiste una totale unità tra Legge e Vangelo, in quanto il Dio che salva è lo stesso Dio creatore[65].

Clemente difende anche l'unità di Dio contro il politeismo pagano, in base al principio che il Primo Principio deve essere infinito, e che ciò che è infinito deve essere unico[66]. Argomenta iniziando ad eliminare tutto ciò che in Dio è indegno (accidenti, differenze, parti, ecc.), per poi affermare con forza la sua trascendenza e giungere alla constatazione della sua incomprensibilità ed ineffabilità[67]. L'uomo non dà a Dio nomi propri, ma solo denominazioni che servono ad avvicinare il pensiero a Lui.

Nella teologia di Clemente lo Spirito Santo è poco presente ed appare descritto come forza (dynamis) divina che interviene nella storia[68].

Origene

La teologia alessandrina raggiunge il suo massimo splendore con Origene, figura di grandissima importanza in tutta la storia del pensiero cristiano. Giovanissimo è posto a capo della scuola di Alessandria; segue la linea tracciata da Clemente, approfondendone l'insegnamento in molti punti.

La sua opera segna una svolta fondamentale nella riflessione trinitaria: con il suo bel greco e la sua competenza esegetica, pone i fondamenti di uno sviluppo dottrinale che porterà alla formulazione definitiva dei concili del IV secolo.

Come per il suo predecessore, l'esistenza di Dio e l'unicità di Dio[69] sono verità che la ragione può cogliere a partire dalla bellezza del mondo e dalla tendenza naturale dell'anima a Dio[70]. Quest'ultimo aspetto mette in evidenza la dimensione morale dell'uomo e l'esistenza di una legge naturale scritta nel suo cuore[71].

Come Clemente, anche Origene fonda il suo pensiero teologico sull'unicità di Dio:

« Un solo Dio, creatore e ordinatore di ogni cosa, che ha tratto l'universo dal nulla, Dio di tutti i giusti fin dall'origine del mondo (...) Dio giusto e buono, Padre di nostro Signore Gesù Cristo, autore della Legge e dei Profeti, del Vangelo e degli Apostoli, Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento»
(Cfr. Sui principi, 1, 4: PG 11, 117)

L'affermazione chiara dell'unicità di Dio si traduce nell'armonizzazione dei diversi suoi attributi, anche quelli che sembrano opposti. Con estrema profondità, Origene individua nella bontà l'attributo nel quale si riunificano tutti gli altri: in quanto bontà sostanziale Dio è fonte di ogni altra bontà, in Lui Bontà ed Essere si identificano[72]. E proprio la bontà di Dio è la ragione della creazione e della redenzione, mentre il male non proviene da Lui, ma ha origine nella libertà umana[73].

Da un punto di vista teologico Origene insiste sulla spiritualità di Dio: l'affermazione dottrinale è accompagnata da un fine lavoro esegetico per mostrare che gli antropomorfismi usati dalla Scrittura rispondono alla necessità di usare un linguaggio che l'uomo possa comprendere e di ricorrere quindi ad immagini corporee, senza però che Dio coincida con le immagini stesse.

Dio è invisibile perché non è dotato di corpo materiale, per cui si distinguono il vedere, che caratterizza gli occhi umani, ed il conoscere, che avviene per via intellettiva. Tuttavia, anche se ci si può elevare alla contemplazione della Bellezza e Bontà originarie a partire dalla creazione, la conoscenza di Dio sarà sempre imperfetta, e non si può raggiungere Dio come è in sé[74].

Origene discute il mistero della libertà umana in relazione con gli attributi della onniscienza ed onnipotenza divine. Il fatto che Dio conosca gli atti futuri liberi non vuol dire che gli uomini siano obbligati a compiere ciò che egli ha deciso da sempre. Nell'opera Contro Celso spiega come le profezie non si realizzano perché sono pronunciate, ma che, proprio al contrario, quegli eventi sono profetizzati perché accadranno.

A proposito dell'onnipotenza divina, Origene nega che Dio possa operare il male. Se Celso intende le affermazioni cristiane nella linea del potere e della forza senza freno, Origene afferma l'impossibilità metafisica di operare il male da parte di Dio:

« Certamente, secondo la nostra dottrina, Dio può ogni cosa, sempre che ciò che può non contraddica il suo essere divino, la sua bontà e la sua sapienza. Ma Celso, dando prova di non aver inteso in che senso si dice che Dio può ogni cosa, dice: non vorrà nulla di ingiusto, concedendo che Dio può anche ciò che è ingiusto, ma che non lo vuole. Noi, invece, affermiamo che, come ciò che per natura è dolce non può, per la sua stessa dolcezza, produrre nulla di amaro contro la sua sola proprietà, e come ciò che per natura illumina non può, per il fatto di essere luce, dare ombra, così nemmeno Dio può commettere un'iniquità; il potere di essere ingiusto ripugna alla sua divinità e ad ogni potere proprio della sua divinità. »
(3, 70)

In ambito propriamente trinitario, l'Alessandrino segue lo schema di Ireneo, fondando le sue considerazioni sull'agire salvifico delle tre Persone divine[75]:

Origene si oppone ai modalisti, cioè a coloro che ritenevano le Persone divine solo modi diversi di rivelazione di un unico soggetto divino, precisando la "personalità" del Padre, del Figlio e dello Spirito, e chiamandoli per la prima volta "Trinità", con il termine greco trias[76].

Particolarmente importante è la sua dottrina sulla seconda Persona: afferma chiaramente, contro gli gnostici, che il Figlio non procede dal Padre per un processo di divisione o di emanazione, ma per un atto spirituale[77] e, dal momento che in Dio tutto è eterno, anche questo atto di generazione è eterno[78]. Per questo il Figlio non ha avuto un inizio temporale, ed il Padre non è mai stato senza di Lui. In questo modo Origene si separa nettamente dalla linea teologica che porterà al subordinazionismo ariano, caratterizzato proprio dalle affermazioni opposte, ponendo invece le basi della dottrina sulla homousia del Padre e del Figlio che sarà formulata al I Concilio di Nicea[79].

A livello terminologico, però, l'esposizione non è ancora chiara, per cui appare nelle sue opere l'espressione deuteros Theos, "Dio di seconda categoria", riferita al Logos[80]. Tale espressione sarà ripresa dagli ariani, anche se in senso diverso. Di fatto la dottrina trinitaria di Origene contiene elementi subordinazionisti, anche se il suo pensiero non può essere considerato eretico, perché ciò è dovuto semplicemente alla mancanza di mezzi espressivi e di approfondimento concettuale; la terminologia è ancora in fase di messa a punto.

Per Origene il Verbo è fondamentalmente il mediatore in quanto immagine, conoscenza e sapienza del Padre. Qui il riferimento non è a Cristo, il Figlio di Dio incarnato, al quale è propriamente il Mediatore, ma alla seconda Persona della Trinità, il cui ruolo viene fatto dipendere da come si è rivelata. In questo senso, il Verbo è eterno perché è la Sapienza di Dio e Dio non è mai stato senza Sapienza. E in essa sono stati presenti da sempre le idee divine della creazione del mondo, in modo tale che Essa è il senso e la ragione di tutto ciò che esiste, ovunque risplende la sua luce. Il mondo è così riflesso dell'eterno, ed in particolare lo è l'uomo, creatura razionale nella quale brilla in maniera speciale la luce del Verbo. In questo modo, la seconda Persona è mediatrice tra il Padre ed il mondo creato. Il punto essenziale è che Origene, pur affermando l'eternità del Verbo, lo considera Dio solo per partecipazione: dice, infatti, che solo il Padre è vero Dio (alethinòs autòtheos)[81]. In questo senso il Padre sarebbe trascendente rispetto al Verbo, che a sua volta trascenderebbe tutte le creature[82].

La scuola alessandrina era riuscita a inserire la novità rivelata nell'insieme del pensiero filosofico che aveva preceduto il cristianesimo, costruendo un mirabile dialogo teso a mostrare l'unità della storia, grazie alla teologia del Logos, che raccordava la sfera divina a quella creata. Più tardi, nel IV secolo, Sant'Atanasio ed i suoi successori svilupperanno una teologia della natura divina e della natura umana, che permetteranno di risolvere il rapporto tra mondo e Trinità e di distinguere chiaramente il piano della storia della salvezza ("economia") e quello di Dio in sé ("immanenza"). In questo contesto subordinazionista Origene riesce ad affermare con chiarezza la consustanzialità e la divinità dello Spirito Santo, parlando "della grande autorità e della dignità che possiede lo Spirito Santo in quanto essere sostanziale, così che il battesimo di salvezza non può realizzarsi se non per l'altissima autorità della Trinità, per l'invocazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in modo tale che il nome dello Spirito Santo è associato al Padre ingenerato e all'unico Figlio."[83] Solo il Logos rivela il Padre, al quale non si può arrivare se non per suo mezzo, ma nello stesso tempo si può conoscere il Figlio solo nello Spirito.

Dal IV secolo in avanti

Nel IV secolo diventa chiaro che Dio non può essere concepito come autorealizzazione assoluta, perché il fatto di essere origine non originata gli è essenziale quanto il ricevere riferito a un dare. La relazione cosi data viene indicata col concetto e col termine di "Persona". In maniera più precisa essa fu così spiegata: il Padre privo di origine genera il Figlio e spira attraverso di lui lo Spirito; Dio come Figlio riceve se stesso e la spirazione dello Spirito dal Padre; Dio come Spirito procede dal Padre e dal Figlio per sfociare di nuovo nell'unità esistente tra Padre e Figlio ed essere così contemporaneamente il luogo a partire dal quale Dio è aperto in se stesso alla comunione con le creature, che egli ha chiamato per libero amore all'esistenza.

A ciò si accompagnò un'altra chiarificazione concettuale, effettuata nel corso della polemica con le eresie trinitarie. Nella teologia della chiesa antica essa è proposta come distinzione e correlazione fra "teologia", cioè l'essere trinitario di Dio in se stesso, ed "economia", cioè la comunicazione della vita intratrinitaria alle creature.[84].

Il Simbolo Niceno (325)[85] e il successivo Simbolo Niceno-Costantinopolitano (381)[86], professano il Figlio "della stessa sostanza" (homoúsios) del Padre; lo Spirito è adorato col Padre e col Figlio. La terminologia "una sola essenza in tre persone", elaborata nel IV secolo, si incontra in documenti magisteriali successivi[87].

Motivo guida di tutto questo lavorio teologico è il mistero di Cristo: il dono assoluto del Figlio in croce (Rm 8,32 ) permetteva solo questa conclusione: Dio ha donato se stesso nel proprio Figlio; lo Spirito ci introduce effettivamente nella comunione più intima con Dio (cfr. 1Cor 2,20 ).

Approfondimento

Come è possibile affermare che Dio è "uno e trino"? Secondo la fede cristiana la natura divina è al di là della conoscenza scientifica, ed è incomprensibile e non conoscibile se non fosse per quanto è dato sapere attraverso la rivelazione divina. Quindi la dottrina trinitaria non è una dottrina, come quella della esistenza di Dio, conoscibile attraverso la ragione umana o la speculazione filosofica.

In ambito teologico trinitario viene fatta una distinzione fra la trinità da un punto di vista "ontologico" (ciò che Dio è) e da un punto di vista "economico" (ciò che Dio fa). Secondo il primo punto di vista le persone della trinità sono uguali, mentre non lo sono dall'altro punto di vista, cioè hanno ruoli e funzioni differenti.

L'affermazione "figlio di", "Padre di" e anche "spirito di" implica una dipendenza, cioè una subordinazione delle persone. Il trinitarismo ortodosso rifiuta il "subordinazionismo ontologico" ma non quello economico.

L'uguaglianza delle persone divine

Il Padre, essendo la fonte di tutto, ha una relazione monarchica con il Figlio e lo Spirito. Ireneo di Lione, il più importante teologo del secondo secolo, scrive: "Il Padre è Dio, e il figlio è Dio, poiché tutto ciò che è nato da Dio è Dio".

Simili affermazioni sono presenti in altri scrittori pre-niceni, cioè prima dello scoppio della controversia ariana:

« vediamo ciò che avviene nel caso del fuoco, che non è diminuito se serve per accenderne un altro, ma rimane invariato; e ugualmente ciò che è stato acceso esiste per sé stesso, senza inferiorità rispetto a ciò che è servito per comunicare il fuoco. La Parola di Sapienza è in se lo stesso Dio generato dal Padre di tutto. »

L'immagine è ripresa anche da scrittori successivi:

« Noi non togliamo al Padre la sua Unicità divina, quando affermiamo che anche il Figlio è Dio. Poiché egli è Dio da Dio, uno da uno; perciò un Dio perché Dio è da Se stesso. D'altro lato il Figlio non è meno Dio perché il Padre è Dio uno. Poiché l'Unigenito Figlio non è senza nascita, così da privare il Padre della Sua unicità divina, né è diverso da Dio, ma poiché Egli è nato da Dio. »
(Sant'Ilario di Poitiers, De Trinitate)

L'inferiorità del Figlio e dello Spirito

Se Gesù Cristo nel vangelo di Giovanni viene chiamato l'unigenito Figlio di Dio, evidenziando con questa affermazione il suo essere ontologicamente in Dio, secondo la dottrina ortodossa Gesù è anche una creatura con l'incarnazione, svolgendo un ruolo "ministeriale" e subordinato in relazione a Dio, nei confronti dell'umanità. Il credo di Atanasio afferma "Uguale al Padre nella divinità, inferiore al Padre nell'umanità".

Viene pertanto chiamato "primogenito" in altri passi della Scrittura, in riferimento alla creazione e redenzione, ad esempio è detto "immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione... egli è principio, primogenito dei risuscitati".

La distinzione è ripresa nell'affermazione che Gesù fa quando dice che dovrà "ascendere al Padre mio e Padre vostro, Iddio mio e Iddio vostro", distinguendo così fra l'essere figlio di Dio in senso proprio (caratteristico di Gesù) e in senso figurato (caratteristico degli uomini).

Atanasio di Alessandria sviluppa ulteriormente questa distinzione commentando il passo evangelico in cui Gesù dichiara di non conoscere il giorno e l'ora della fine del mondo:

« Ancora un altro passo che è detto bene, viene interpretato male dagli ariani: Voglio dire che "Quanto a quel giorno e a quell'ora, nessuno li conosce, neppure gli angeli, neppure il figlio." Ma essi ritengono che avendo detto "neppure il figlio", egli, in quanto ignorante, abbia rivelato di essere creatura. Ma la cosa non sta così, non sia mai! Come infatti dicendo: "Mi ha creato", lo ha detto in riferimento all'umanità, così, anche, dicendo: "neppure il Figlio", si è riferito alla sua umanità. ... Poiché infatti è diventato uomo, ed è proprio dell'uomo ignorare, come l'aver fame e il resto (infatti l'uomo non sa se non ascolta e apprende) egli, in quanto uomo, ha dato a vedere anche l'ignoranza propria degli uomini per questo motivo: in primo luogo per dimostrare di avere veramente un corpo umano, poi anche perché, avendo nel corpo l'ignoranza propria dell'uomo, dopo aver mondato e purificato tutta l'umanità, la presentasse al Padre perfetta e santa. ..... quando dice: Io e il Padre siamo una cosa sola e Chi ha visto me ha visto il Padre e Io nel Padre e il Padre in me, dimostra la sua eternità e la consustanzialità col Padre. .... Nel vangelo di Giovanni i discepoli dicono al Signore: Ora sappiamo che tu sai tutto...  »
(Seconda Lettera a Serapione, traduzione di Manlio Simonetti)

Aspetti ecumenici: il Filioque

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Filioque

La professione di fede trinitaria rientra nel patrimonio cristiano originario ed è la base di ogni consenso cristiano. Ciò è espressamente dichiarato nella "formula basilare" del Consiglio Ecumenico delle Chiese (1948).

Tra le chiese dell'Occidente e quelle dell'Oriente sussiste tuttavia una differenza per quanto riguarda la processione dello Spirito Santo: l'Oriente non ha accettato l'aggiunta occidentale al Simbolo Niceno-Costantinopolitano secondo la quale lo Spirito Santo procederebbe "dal Padre e dal Figlio" (ex Patre Filioque). La formula di unione del Concilio di Firenze[88] precisò che il Padre è origine non originata, il Figlio è in relazione allo Spirito "origine dall'origine", per cui Padre e Figlio sono l'unica origine dello Spirito.

Oggi si cerca una via di intesa attraverso la formula secondo la quale lo Spirito procederebbe dal Padre per mezzo del Figlio. Essa deriva dalla teologia orientale antica, e ha il vantaggio di essere più concreta del Filioque.

Nella liturgia

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Solennità della Santissima Trinità

La Chiesa celebra la solennità liturgica della Santissima Trinità: essa fu istituita da Papa Giovanni XXII nel 1334 nel contesto della riforma liturgica carolingia.

Attualmente viene celebrata la domenica successiva alla Solennità di Pentecoste.

Note
  1. Cfr. Congregazione per il Clero, Direttorio catechistico generale, 43: AAS 64 (1972) 123; online.
  2. Cfr. Congregazione per il Clero, Direttorio catechistico generale, 47: AAS 64 (1972) 125; online.
  3. 3,0 3,1 DS 75.
  4. Andrea Milano (1985), p. 1783.
  5. Pietro Parente (1954) 529.
  6. 6,0 6,1 Wilhelm Breuning (1990) 722.
  7. 7,0 7,1 Piero Coda (1993), p. 90.
  8. Il termine Abbà è passato prestissimo nel linguaggio di preghiera dei cristiani (cfr. Rm 8,15 ; Gal 4,6 ).
  9. La tradizione rabbinica attesta un uso del termine in riferimento a Dio, però in modo salutario; in Gesù invece il ruolo del termine è centrale; Piero Coda (1993), p. 91.
  10. DS 1-76 riporta tutte le professioni di fede antiche.
  11. Per questa sezione cfr. Giulio Maspero 99-92.
  12. Cfr. Didaché, 9, 5.
  13. Cfr. Didaché, 7, 1-3.
  14. Dimostrazione della fede apostolica, 6.
  15. Ippolito di Roma, Traditio apostolica (DH, 10). Cfr. Bernard Botte, La tradition apostolique de saint Hyppolite, Münster 1963, p. 48-49.
  16. Traduzione di Giusepe Girgenti, Rusconi 1995, p. 65.
  17. Edizione a cura di Bernard Botté, in Source Chretiènne, n. 11, Parigi 1968, 53.
  18. Boris Bobrinskoy, Le mystère de la Trinitè. Cours de Théologie orthodoxe, Parigi 1986, p. 164.
  19. Sull'orazione, 32. 33.
  20. Cfr. Rouët de Journel, Enchiridion Patristicum, n. 108; anche Ippolito, Contra Noeto, 18.
  21. Cfr A. Hamman, Dossologia, in Dizionario patristico e di antichità cristiane, I, Roma 1983, p. 1042-1043.
  22. In Ignace d'Antioche, Polycarpe de Smyrne, Lettres, Martyre de Polycarpe, (a cura di Thomas Camelot), Source Chretiènne 10, Parigi 1968, p. 226-228.
  23. Ciò si può vedere ad esempio nell'apocalittica, nella cosmologia, nella concezione della storia, nell'importanza assegnata agli angeli: in molti testi giudeocristiani si può scorgere la presentazione del Figlio e dello Spirito come angeli supremi. Cfr. Jean Daniélou, Théologie du Judéo-Christianisme, Parigi 1991, p. 37.
  24. Cfr. Alois Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, I/1, Brescia 1982, p. 188. Di fatto alcune concezioni di matrice essenzialmente biblica sono state essenziali per la formulazione del messaggio cristiano, come, ad esempio, la concezione lineare della storia con una netta distinzione tra presente e futuro o l'importanza fondante degli interventi salvifici di Dio nella storia stessa. Questi elementi saranno essenziali per l'incontro del messaggio rivelato con la cultura greca.
  25. Anassagora parlava di una intelligenza ordinatrice dell'universo, e Platone arrivò a personalizzare questo principio nel Demiurgo, figura nettamente distinta dalla Divinità. Aristotele concepiva Dio come Atto puro, Motore immobile e Pensiero di pensiero; in Aristotele Dio è vita suprema, ma nello stesso tempo è ripiegato su sé stesso, privo di relazione con il mondo; non esiste provvidenza divina, se non nel senso della necessità.
  26. Per gli stoici Dio era l'anima del mondo ed il mondo stesso era concepito come corpo di Dio; in questo senso tutto il mondo aveva carattere divino, era emanazione della divinità. Le forme più diffuse di panteismo sarebbero quelle professate dallo gnosticismo e dal neoplatonismo, con la concezione del mondo come degradazione della divinità. Tutto cadrebbe sempre sotto il segno della necessità, e la libertà dell'uomo non è ancora colta in tutta la sua grandezza.
  27. Da un punto di vista teologico va notata il contrasto tra questo pensiero posto e la dottrina della creazione: essa introduce una discontinuità assoluta tra Dio ed il mondo, e fonda ogni cosa nell'amore di Dio che trae l'universo dal nulla (ex nihilo).
  28. Cfr. John Norman Davidson Kelly, Il pensiero cristiano delle origini, Bologna 1984, p. 110.
  29. Pastore di Erma, Comandi, 11.
  30. Cfr. ibidem, Visioni, 1, 3, 4. Si vedano anche Didaché, 1, 2, e Epistola di Barnaba, 19, 2.
  31. Lettera di Clemente ai Corinzi, 36, 2.
  32. Cfr. ibidem, 46 e 48.
  33. Lettera ai Magnesi, 8, 2.
  34. Lettera di Ignazio agli Efesini, 9, 1.
  35. Cfr. José María Dalmau, Dios revelado por Cristo, Madrid 1969, p. 214.
  36. Traduzione di Giuseppe Girgenti, Rusconi, Milano 1995
  37. Apologia prima, 13,3-4.
  38. Cfr. Lucas Francisco Mateo-Seco, Subordinacionismo, in Gran Enciclopedia Rialp, 21,705-706, online.
  39. Dialogo con Trifone, 61.
  40. Cfr. Dialogo con Trifone, 127-128. Vedasi anche Xavier Le Bachelet, Dieu. Sa nature d'apres les Pères, in Dictionnaire de la théologie catholique, vol. IV, 1031.
  41. Cfr. Giustino, Apologia seconda, 6,3.
  42. Cfr. Leo Scheffczyk, Formulación del Magisterio e historia del dogma trinitario, in Johannes Feiner, Magnus Löhrer, Mysterium Salutis, vol. II, 144-145.
  43. Discorso ai Greci, 5, 2.
  44. Cfr. Teofilo di Antiochia, Ad Autolycum, 2, 22.
  45. Cfr. Ad Autolycum, 2, 15.
  46. Cfr. Leo Scheffczyk, Formulación del Magisterio e historia del dogma trinitario, in Johannes Feiner, Magnus Löhrer, Mysterium Salutis, vol. II, 145; Bernard Sesboüé (a cura di), Historia de los dogmas, I. El Dios de la salvación, Salamanca 1994, p. 128-129.
  47. Cfr. Lucas Francisco Mateo-Seco, Gnosticismo, in Gran Enciclopedia Rialp, XI, 62, online.
  48. Cfr. Adversus Haereses, 2, 6, 1.
  49. Cfr. ibidem, 2, 13, 3.
  50. Cfr. ibidem, 2, 26, 3.
  51. Cfr. ibidem, 2, 14, 1.
  52. Cfr. ibidem, 2, 1, 1.
  53. Cfr. Leo Scheffczyk, Formulación del Magisterio e historia del dogma trinitario, in Johannes Feiner, Magnus Löhrer, Mysterium Salutis, vol. II, 148.
  54. Cfr. Adversus Haereses, 2, 28, 5.
  55. Cfr. ibidem, 3, 6, 2.
  56. Cfr. ibidem, 2, 30, 9.
  57. Ibidem, 4, 20, 1.
  58. Dimostrazione della fede apostolica, 5.
  59. Cfr. Gustave Bardy, Trinité, in Dictionnaire de la théologie catholique, 15, 1625.
  60. Cfr. Clemente, Stromata, 4, 14.
  61. Cfr. ibidem, 4, 13.
  62. Cfr. ibidem, 1, 28.
  63. Cfr. ibidem, 1, 19.
  64. Cfr. Xavier Le Bachelet, Dieu, sa nature d'après les Pères, in Dictionnaire de Théologie Catholique, IV, 1040.
  65. Cfr. Eugène de Faye, Clément d'Alexandrie, Parigi 1906, 225 e seguenti.
  66. Cfr. Protreptico, 6: PG 8, 121.
  67. Cfr. Xavier Le Bachelet, Dieu, sa nature d'après les Pères, in Dictionnaire de Théologie Catholique, IV, 1043-1045.
  68. Cfr. Luis Francisci Ladaria, El Espíritu Santo en Clemente Alejandrino, Madrid 1980, p. 265-270.
  69. Cfr. Contro Celso, 1, 23.
  70. Cfr. Sui principi, 1, 3, 1.
  71. Cfr. Contro Celso, 1, 4; 8, 52.
  72. Cfr. Su Giovanni, 2, 7.
  73. Cfr. Contro Celso, 6, 55.
  74. Così argomenta Origene:
    « Dopo aver respinto ogni suggerimento che in Dio esista qualche cosa di corporeo, diciamo in tutta verità che Dio è incomprensibile e che è impossibile conoscerlo, ma che sta al di sopra di ogni pensiero. E se possiamo pensare o comprendere qualche cosa di Dio, è necessario credere che sta al di là di tutto ciò che pensiamo di Lui (...). Succede lo stesso con i nostri occhi; non possono guardare la natura stessa della luce, cioè il sole in sé stesso, ma vedendo il suo splendore e i suoi raggi che entrano dalla finestra, possiamo sospettare la grandezza della luce dalla quale ha origine questo splendore. Lo stesso succede con le opere della provvidenza divina. »
    (Sui principi, 1, 5-6)
  75. Cfr. Sui principi, 1, 3, 5.
  76. Cfr. Su Giovanni, 10, 39; 6, 33.
  77. Cfr. Sui principi, 1, 2, 6.
  78. Cfr. ibidem, 1, 2, 4.
  79. Cfr. Johannes Quasten, Patrología, vol. I, 389-390; Basil Studer, Dios salvador en los Padres de la Iglesia, Koinonia, Salamanca 1993, ISBN 8488643039, p. 136.
  80. Cfr. Contro Celso, 5, 39.
  81. Cfr. Su Giovanni, 2, 2.
  82. Cfr. Jean Daniélou, Origène, cit., 253.
  83. Sui principi, 1, 3, 2.
  84. Nella teologia odierna si esprime lo stesso insegnamento quando si parla della Trinità immanente e della Trinità economica. Karl Rahner ha stabilito il principio che la Trinità immanente è la Trinità economica e viceversa (Saggi teologici 618).
  85. DS 125.
  86. DS 150.
  87. Cfr. DS 421.
  88. DS 1331.
Fonti
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni