Sindonologia
La sindonologia è quel complesso multidisciplinare di branche della scienza che in qualche modo sono coinvolte nello studio della Sacra Sindone. Al momento attuale, la ricerca scientifica è concentrata sulle caratteristiche fisico-chimiche dell'immagine somatica dell'Uomo della Sindone, sulle modalità di formazione di quest'immagine e sulla ricerca del miglior metodo di conservazione del sacro telo e dell'immagine che riporta.
Caratteristiche dell'immagine somatica
L'immagine somatica dell'Uomo della Sindone presenta caratteristiche particolari, in parte anticipate dai pionieri della sindonologia già nei primi decenni del XX secolo, poi confermate e rivelate nei dettagli dalla ricerche scientifiche effettuate dopo le analisi del 1978 dal gruppo di studiosi organizzatisi nello STURP (Shroud Turin Research Project): tali caratteristiche, indicate di seguito fanno della Sindone un oggetto unico.
Mancanza di pigmenti
Nelle aree dell'immagine somatica la Sindone non presenta tracce di pigmenti in quantità elevate da permettere di ipotizzare che si tratti di un dipinto. Gli esami ai raggi X, alla luce visibile e all'infrarosso hanno sì mostrato qualche traccia di ossido ferrico, ma in quantità troppo ridotte, del tutto insufficienti per comporre un'immagine. Non vi sono nemmeno residui di sostanze collagene, che l'artista avrebbe dovuto usare per far aderire un qualsiasi pigmento al Telo e che non avrebbe permesso di piegare e dispiegare la Sindone così tante volte come è accaduto nel corso dei secoli.
Inoltre, se vi fossero stati dei coloranti sarebbero penetrati al di là delle fibre superficiali per il fenomeno della capillarità, mentre il colore giallognolo delle fibre non è stato assorbito nel tessuto. La colorazione è causata dalla disidratazione delle fibre superficiali che formano i fili di lino. Non sono le fibre ad essere colorate ma le piccolissime fibrille, che stanno in superficie, a risaltare di giallo. Il chimico Alan D. Adler aveva notato che il lino, in corrispondenza dell'immagine somatica, sembra invecchiato precocemente.
Adirezionalità
Sono del tutto assenti le direzioni dell'eventuale pennello. Quando un'immagine grafica è prodotta per mezzo d'un procedimento unidirezionale, come un tratto di pennello o di matita, l'analisi computerizzata della densità di colore evidenzia la direzione del movimento. Sulla Sindone tutto questo è completamente assente. Si comprende bene l'aggettivo acheiropoieta che i Greci di Bisanzio le attribuirono, volendo intendere che dall'esame visivo scrupoloso era escluso qualsiasi intervento di un artista.
Tridimensionalità
Questa tonalità dei vari punti dell'immagine è inversamente proporzionale alla distanza fra il corpo e il telo tanto che rispecchiano la tridimensionalità del corpo che era avvolto nel lenzuolo. Ciò permette di ricostruire l'intero corpo dell'Uomo della Sindone, con dei limiti causati dall'interferenza della superficie della tela (che non è liscia) e dalla trama è a spina di pesce. Nell'immagine somatica non si vedono solamente quei punti che erano a diretto contatto con la Sindone; l'angolo fra il naso e gli occhi, ad esempio, non era a contatto con il lenzuolo eppure sulla Sindone si vede ugualmente. Stesso discorso vale per altri punti anatomici come la regione posteriore delle ginocchia perché, mentre la Sindone era aderente al terreno, le ginocchia erano flesse.
Simile ad un negativo fotografico
Questa caratteristica fu evidente con la prima fotografia ufficiale della Sindone, realizzata nel 1898 da Secondo Pia, che mise in evidenza la caratteristica somiglianza dell'immagine sindonica ad un negativo fotografico. Yves Delage, fra i primi, all'inizio del XX secolo si chiedeva come si fosse potuta formare una tale immagine, che il negativo fotografico traduce in una immagine ben definita. Il positivo fotografico dell'Uomo della Sindone è simile ad un negativo che ha nel suo negativo l'immagine positivo. Ma non solo, il negativo della Sindone rivela particolarità dell'espressione dell'Uomo della Sindone che nessun negativo fotografico, di qualsiasi persona, riuscirebbe a mettere in evidenza. Il negativo fotografico dell'Uomo della Sindone è a tutti gli effetti un'immagine particolare che si offre agli occhi dell'uomo qualunque. Questa caratteristica non è il segno di autenticità della Sindone, come spesso di sente dire, ma è piuttosto la prova che l'immagine somatica non è dipinta o disegnata con qualche misteriosa tecnica. Questa scoperta venne poi confermata dagli esami fisici e chimici effettuati nel 1978 dallo STURP, il gruppo di ricerca che esaminò la Sindone per cinque giorni, dopo il periodo di ostensione.
Uniformità cromatica
L'intensità della colorazione è dovuta alla densità delle fibre colorate, cioè al numero di fibre ingiallite per centimetro quadrato. In altre parole, le parti più scure non corrispondono ad un colore più scuro o più intenso (l'immagine è monocromatica), ma ad un più grande numero di fibrille colorate.
Assenza di immagine sotto le macchie di sangue
Al di sotto delle macchie di sangue è stato accertato che non esiste immagine; ciò a prova del fatto che questa si è formata in un arco di tempo (forse ore) successivo all'apporto ematico. Il fenomeno che ha prodotto l'immagine somatica mentre nella Sindone ha modificato chimicamente la struttura della cellulosa del lino, in corrispondenza delle macchie di sangue ha modificato queste ultime dandogli la parvenza di macchie recenti di pochi giorni quando invece sono vecchie di secoli.
Stabilità chimica e termica
Il colore giallognolo dell'immagine somatica non viene asportato né con il calore, né con l'acqua e non può dissolversi, né scolorirsi, né cambiare con la maggioranza degli agenti chimici.
Senza contorni definiti
L'immagine è poco contrastata rispetto al resto del Telo, manca di contorni netti, quasi non si vede. Per vederla bisogna retrocedere di almeno due metri. A distanza di cinque-sei metri si vedono molti particolari. Da vicino si vedono bene solamente le machie di sangue e le tracce della flagellazione. Lo sanno bene i fotografi della Sindone che nell'intento di fotografare dei particolari dovevano farsi aiutare da qualcuno più lontano che indicasse loro ove puntare l'obiettivo della macchina fotografica.
Estranea a tutte le correnti artistiche
Se proprio si vuole vedere uno stile artistico nell'immagine sindonica si deve ammettere che esso è così realistico che non è attribuibile ad alcuna epoca pittorica.
Superficialità
L'immagine è totalmente superficiale (il suo spessore è tra i 20 e i 40 micron). Dalle scansioni elettroniche del retro sindonico effettuate nel 2000 è sembrato che all'altezza del volto vi fosse qualche traccia dell'immagine somatica ma non è stata ancora fatta alcuna verifica scientifica collegiale. Allo stato attuale delle ricerche è quindi corretto affermare che l'immagine somatica è presente solamente su un lato del lenzuolo.
Le teorie sulla formazione dell'immagine
Nell'arco del XX secolo numerosi ricercatori di varie nazionalità hanno effettuato sperimentazioni con manichini, soggetti viventi ed anche defunti. Tutte queste prove hanno prodotto impronte somiglianti alla misteriosa immagine sindonica, ma mai identiche. Inoltre, si consideri che tutti gli esperimenti si sono concentrati sulla ricostruzione dell'immagine del volto, poiché per riprodurre l'intero corpo umano sono state riscontrate notevoli difficoltà operative di non facile soluzione. Tali esperimenti richiedono laboratori e attrezzature da costruire ad hoc con relativi ingenti costi, che per il momento la proprietaria della Sindone (la Santa Sede) non ritiene prioritario sostenere. Le ricerche sulla formazione dell'immagine somatica hanno spinto la comunità dei sindonologi ad approfondire alcune teorie più accreditate: la teoria del contatto, l'effetto vaporigrafico e la teoria dell'energia radiante.
La teoria del contatto
Il professore di biologia Paul Vignon, dell'Institut Catholique di Parigi, nel 1898, tentò di riprodurre figure di visi e di corpi umani, utilizzando calchi di gesso imbrattati di polveri e di liquidi colorati, messi a diretto contatto con varie tele. Nonostante ripetute prove, non ottenne risultati soddisfacenti: le figure avevano un aspetto mostruoso ed erano sproporzionate.
Nel 1939 il professor Ruggero Romanese (direttore dell'Istituto di Medicina Legale e delle Assicurazioni dell'Università di Torino rielaborò questa teoria. Dopo l'uso di calchi di gesso passò a calchi di cera. Non ottenendo risultati significativi passò a cadaveri umani, trattati con polvere di aloe e mirra e soluzione fisiologica, ottenne buoni risultati, pur richiamando l'aspetto globale di un volto, non riproduceva i particolari.
L'anno successivo il professor Giovanni Judica Cordiglia (docente di medicina legale dell'Università di Milano) fece uso di tele imbevute di una soluzione di trementina e olio di oliva, e di volti cosparsi di miscela polverosa di aloe e mirra. In queste immagini l'informazione colorimetrica, che definisce l'aspetto del volto, si presenta sotto forma di agglomerati ad andamento uniforme che danno l'idea di immagine a sbalzi. Quando poi aggiunsero sangue sulla tela sia Romanese che Judica Cordiglia non riuscirono ad ottenere alcuna impronta di tali coaguli, perché questi si impastavano con la polvere e non risultavano netti come sulla Sindone.
Nel 1975 il medico siracusano Sebastiano Rodante, dando forte risalto al ruolo che potrebbe aver avuto il sudore di sangue provò su calchi, modellati a similitudine del volto sindonico, spruzzati di sudore di sangue, cosparsi di una polvere di aloe e mirra e infine di coaguli di sangue in determinati punti della fronte e della cornice dei capelli. Siccome la miscela polverosa impediva l'impressione netta dei coaguli, egli utilizzò teli imbevuti di una soluzione acquosa di aloe e mirra per un periodo di circa trentasei ore. I risultati ottenuti si avvicinavano in modo suggestivo all'impronta sindonica, in quanto fornivano sia l'immagine negativa del volto sia le impronte dei coaguli.
Nel 1980 don Gaetano Intrigillo passò addirittura all'utilizzo di un volto in creta, fornito di capelli, barba e baffi umani, spruzzato con sudore e sangue, cosparso di colature ematiche e poi coperto più volte utilizzando teli precedentemente immersi in soluzioni acquose di aloe e mirra. Gli esempi di immagini sperimentali ottenute mettono in evidenza che per ottenere impronte sia fondamentale che i teli vengano precedentemente trattati con aloe e mirra; queste sostanze assurgono pertanto a funzione di catalizzatori nel processo di viraggio colorimetrico.
La teoria vaporigrafica
Nel 1902 Paul Vignon formulò una seconda ipotesi e cioè che l'immagine potesse essere stata prodotta da emanazioni del corpo. Il fenomeno sarebbe derivato dalla decomposizione dell'urea, presente nel sudore che in presenza di una miscela di aloe e mirra, (che avrebbero impiegato nella sepoltura), produrrebbe una variazione colorimetrica del tessuto.
Questa teoria però presenta notevoli problemi. La trasformazione dell'aloe in carbonato di ammoniaca non avviene immediatamente dopo la morte (anche se la presenza di aloe e di mirra può accelerarla); inoltre i vapori cadaverici non sono in grado di produrre effetti costanti e precisi tali da "disegnare" un'immagine della finezza di quella dell'uomo della Sindone. C'è anche il fatto che la diffusione dei vapori è multidirezionale e non è mai solamente ortogonale. La quantità di sudore e di urea che fossero evaporati dalla cute dell'Uomo della Sindone non avrebbero avuto una concentrazione tale da poter condizionare la reazione necessaria alla formazione di impronte su così vasto raggio, eguali nella parte frontale come in quella dorsale, che era a diretto contatto con la superficie del sepolcro.
La teoria dell'energia radiante
Nel 1934 lo studioso G. B. Alfano richiamò l'attenzione sull'importanza che può avere avuto, nella formazione dell'immagine, il fenomeno della vita residua delle cellule nei tessuti cadaverici, detto "effetto Kirlian", secondo il quale gli organismi viventi sono in grado di assorbire e rendere energia elettromagnetica. Il corpo dell'uomo della Sindone prima di morire rimase certamente per qualche ora nudo sulla croce ed esposto alla luce solare; le sue cellule avrebbero così assorbito radiazioni che sarebbero state poi emesse dopo la morte dell'organismo. Il sole però, non avrebbe potuto irradiare allo stesso modo la parte frontale del corpo e quella dorsale per l'interposizione del palo verticale della croce.
Appare estremamente improbabile che le cellule in estinzione, durante la propria vita residua, abbiano la capacità di cedere un quantitativo di energia tale da riuscire ad impressionare un tessuto di lino.
Nel 1966 il filosofo britannico Geoffrey Ashe avanzò l'ipotesi del fenomeno di irradiazione di energia termica. Egli riscaldò un medaglione di bronzo riproducente un piccolo cavallo, sovrappose una tela ed ottenne così un'immagine sfumata color seppia. Il risultato ottenuto lo indusse allora a pensare che le impronte della Sindone potessero essere leggere bruciature. Nacque così l'idea che l'energia termica fosse capace di produrre alterazioni di forma e di colore a un tessuto di fibre organiche. L'obiezione maggiore verteva sull'impossibilità di spiegare come l'irraggiamento calorico di un corpo, vivente o cadaverico, in condizione naturale, potesse emanare una quantità di calore tale da bruciare leggermente (con azione rapida se ad alta temperatura, o prolungata se a temperatura più bassa) il tessuto di lino. La mancanza di casistiche, dovuta fortunatamente al disuso del procedimento della crocifissione da numerosi secoli, rende impossibile fare paragoni e verificare i fenomeni fisico-medici e fisio-patologici correlati ad una simile condanna a morte.
Occorre anche osservare che esperimenti realizzati mediante bassorilievi surriscaldati evidenziarono che le impronte ottenute non erano superficiali alle fibre, ma visibili anche sul retro del tessuto. È stato inoltre dimostrato che tali impronte non sono indelebili: svaniscono infatti nel tempo quando siano sottoposte all'azione della luce solare.
Lo statunitense A.D. Whanger, rifacendosi alla teoria termica di Ashe, ottenne nel 1984 l'immagine di una monetina utilizzando energia elettrostatica. Anche gli esperimenti condotti dal sindonologo Mario Moroni sull'energia elettrica ionizzante evidenziarono il differente comportamento della tela umida rispetto a quella secca: nel primo caso venne riprodotta un'immagine bruciacchiata che penetrò anche sul rovescio, nel secondo, invece, si verificò la formazione di un'immagine di tipo sindonico. Moroni ne dedusse che il campo elettrostatico dovuto a fenomeni naturali si presterebbe alla formazione di un'immagine simile a quella sindonica; occorre però che la tela, isolata in superficie dalla mirra o da sostanze oleose, venga a trovarsi in un luogo completamente privo di umidità.
Il fisico Jean-Baptiste Rinaudo, della Facoltà di Medicina di Montpellier, nel 1992 ha elaborato un'ipotesi secondo la quale l'informazione tridimensionale contenuta nella figura e la proiezione verticale dei veri punti si possono spiegare con un irradiamento di protoni che sarebbero stati emessi dal corpo, sotto l'effetto di un apporto di energia sconosciuta. Gli esperimenti condotti su tessuti di lino hanno portato a risultati confrontabili con la Sindone. Interessante il fatto che il successivo invecchiamento artificiale dei campioni rinforza le colorazioni delle ossidazioni ottenute. J.-B. Rinaudo ritiene che gli atomi coinvolti nel fenomeno siano quelli del deuterio, presente nella materia organica: è l'elemento che ha bisogno della minore energia per estrarre un protone dal suo nucleo, che è formato da un protone e da un neutrone. È un nucleo stabile, quindi c'è stato bisogno di un apporto di energia per romperlo. I protoni prodotti avrebbero formato l'immagine, mentre i neutroni avrebbero irradiato il tessuto, con il conseguente arricchimento in C14 che avrebbe falsato la datazione.
La pista degli erbari
Nel 1948 Jan Volkringer farmacista all'ospedale San Giuseppe di Parigi, consultando casualmente degli antichi erbari notò la presenza, sulla carta, di immagini che riproducevano le piante conservate. Quelle immagini che si possono trovare in qualsiasi erbario, ma compaiono solo dopo parecchi decenni, quando la pianta è seccata da molto tempo.
Esse si presentano come dei disegni chiari privi di contorni precisi. Le nervature delle foglie, le irregolarità dei lembi sono mirabilmente precise e vi si possono riconoscere i più piccoli particolari, come sull'immagine della Sindone. Il cliché negativo di quelle impronte danno un'immagine positiva della pianta, quindi sono dei negativi.
Essendo sconosciuto il processo della formazione di queste immagini è assai dunque difficile giungere a delle conclusioni.
Gli esperimenti continuano
Il proseguimento delle ricerche sulla Sindone costituisce senza alcun dubbio la migliore risposta a quella cultura che respinge per principio la possibilità che essa possa essere una reliquia autentica.
Non è la prima volta (e certamente non sarà l'ultima) che viene divulgata la notizia che qualche studioso è riuscito a realizzare in laboratorio un'immagine simile a quella impressa sulla Sindone. Spesso si tratta di esperimenti interessanti perché frutto di idee fantasiose e originali ma, una cosa è ottenere una qualche immagine su stoffa tratta da una calco, ben altra cosa è ottenere un'immagine anche solo simile a quella della Sindone. A volte il frutto di certi esperimenti appare simile, ma poi, quando vengono sottoposte a serie analisi chimico-fisiche ci si rende conto della loro grande distanza dalle caratteristiche della Sindone. Altre volte non è stato possibile eseguire un serio confronto scientifico in quanto i ricercatori non hanno permesso di effettuare le verifiche sperimentali.
Recentemente lo storico Blanrue ha fatto l'ipotesi che si possa realizzare un'immagine su tela utilizzando ossido di ferro e collagene come legante. Innanzitutto non è una nuova teoria perché era già stata avanzata dopo il 1978 da W. McCrone e successivamente da Garlaschelli. Per verificare tale ipotesi bisognerebbe misurare la concentrazione di ferro presente sia sull'immagine sia nelle zone del telo dove l'immagine è assente. Sarebbe opportuno effettuare con certi reagenti la ricerca delle proteine.
È poi anche essenziale sottoporre l'immagine ad osservazione microscopica per esaminare come appaiono e come si comportano le fibrille nelle zone dove è presente l'immagine. Si dovrebbe anche valutare la presenza di eventuali deformazioni nell'immagine ottenuta, e numerose altre verifiche. In ogni caso solo dopo un attento e dettagliato confronto tra i dati ottenuti si può valutare il livello di similitudine tra due immagini. Studi effettuati dal chimico americano Alan Adler e dall'equipe dello STURP hanno dimostrato come le caratteristiche chimiche dell'immagine sindonica siano diverse da quelle di un'immagine ottenuta utilizzando ossido di ferro e collagene.
Risulta assai probabile che nella formazione dell'immagine abbiano agito più fattori concomitanti in una condizione così eccezionale al punto che leggi fisiche si contrastano con quelle chimiche. Uno dei co-fattori è stata certamente l'ipertermia (febbre) oltre alle condizioni ambientali all'interno della tomba, in presenza di sostanze come la mistura di aloe e mirra che ai tempi di Gesù si usavano nelle tradizioni funerarie giudaiche.
Le macchie ematiche: ben differenti dall'impronta somatica
Contrariamente all'immagine somatica le macchie ematiche hanno contorni ben definiti. Mentre le impronte del corpo formano un negativo fotografico, quelle delle piaghe, essendosi formate per contatto diretto con coaguli di sangue, sono positive e presentano talora un alone più pallido. Le ricerche scientifiche hanno accertato che sotto le macchie di sangue non si formò l'immagine del corpo. Il sangue, depositatosi per primo sulla tela, avrebbe schermato il lino sovrastante e non avrebbe permesso la fissazione dell'immagine in quei punti . In tali aree, inoltre, i fili della Sindone non sono rotti o strappati e non vi sono alterazioni delle macchie dei coaguli, come invece si riscontrerebbero se il corpo fosse stato rimosso dall'interno del telo.
La conformazione di queste macchie porta ad escludere che il corpo sia rimasto avvolto nella Sindone più di 40 ore; tempo oltre il quale le macchie si sarebbero modificate con l'avvio dei processi putrefattivi ai quali vanno incontro tutti i defunti. Queste trasformazioni avrebbero coinvolto anche l'impronta somatica per la produzione di gas, la fuoriuscita di liquidi e la risoluzione della rigidità cadaverica. Gli esami chimici, inoltre, non hanno riscontrato tracce di sostanze tipiche della putrefazione.
Fra i tanti studiosi della Sindone nei primi decenni del XX secolo il piú importante fu senza dubbio il chirurgo prof. Pierre Barbet, direttore dell'Ospedale St. Joseph di Parigi. Egli, oltre alle foto, poté studiare, per un particolar permesso del re d'Italia, la Sindone da vicino.
In 15 anni effettuò molti esperimenti: fra l'altro inchiodò diversi cadaveri in una croce per vedere l'angolatura delle braccia inchiodate rispetto al torace per il peso del corpo, e l'angolatura dei rivoli di sangue scorrenti dai polsi trafitti rispetto all'asse del braccio: trovò tutto corrispondente alle impronte delle ferite e dei rivoli di sangue dai polsi dell'uomo della Sindone. Ciò esclude assolutamente la possibilità di una contraffazione della Sindone, anche se non ci fossero i numerosissimi altri argomenti (Barbet: La Passion de N.S. Jésus Christ selon le chirurgien). Le numerose pubblicazioni strettamente scientifiche del Barbet sulla Sindone accrebbero l'attenzione e lo studio di una vera moltitudine di scienziati. In corrispondenza di vari punti del corpo, fronte, nuca, costato destro, polso sinistro, schiena e piedi si notano macchie rossastre a contorni netti, di colorazione diversa dall'impronta somatica che le ricerche hanno attribuito a sangue umano.
Si sostiene che tali macchie ematiche siano di un colore innaturale per essere sangue vecchio di duemila anni e che siano state prodotte da un artista medievale. Le ricerche scientifiche effettuate dopo i prelievi ed i rilevamenti del 1978 ad opera dello STURP (Shroud Turin Research Project) e soprattutto gli studi di Alan D. Adler hanno accertato la presenza di bilirubina e di prodotti della sua degradazione. Questa presenza rilevabile a distanza di tanti secoli si giustifica solamente da condizioni fisio-patologiche dell'Uomo della Sindone in cui i globuli rossi abbiano versato maggiori quantità di emoglobina a seguito di fatti emorragici, riassorbimento di ematomi o emorragie interne. Inoltre, il processo di formazione dell'immagine (di cui se ne ignora l'origine) può aver provocato alterazioni chimiche tali da far sembrare le macchie di sangue così recenti quanto irreali.
I numerosi tentativi ottenuti da ricercatori di ogni parte del mondo, che si sono adoperati per replicare in laboratorio il volto sindonico completo di ferite hanno dimostrato che si tratta di un'operazione impossibile. Numerosi esperimenti hanno prodotto immagini simili ma non identiche a quelle sindonica. A questo proposito è necessario ribadire che qualsiasi dimostrazione dell'origine dell'immagine dell'Uomo della Sindone per essere valida a livello scientifico deve riprodurre tutte le caratteristiche del Telo e l'immagine completa dell'Uomo della Sindone, anche della parte posteriore del corpo, con tutte le sue ferite (macchie di sangue e di siero).
Le ricerche ematologiche
Bisogna ricordare che il sangue è composto da una parte liquida (il plasma) ed una parte corpuscolata (formata da globuli bianchi, globuli rossi e piastrine). Il plasma contiene una sostanza solubile, il fibrinogeno che, in caso di ferita, tramite una reazione biochimica piuttosto complessa si trasforma in fibrina, una sostanza insolubile. Quest'ultima a sua volta forma una rete che trattiene nelle proprie maglie le diverse cellule sanguigne dando origine ad una massa compatta, cioè il coagulo. In pochi minuti il coagulo rimpicciolisce e rilascia quel residuo liquido che si chiama siero.
Il processo di formazione delle macchie ematiche presenti sul corpo dell'Uomo della Sindone fu già teorizzato con validi argomenti nei primi decenni del XX secolo dai francesi Paul Vignon e Pierre Barbet: essi avevano rilevato che in corrispondenza di varie parti del corpo (definito immagine somatica) vi sono macchie che presentano correlazione con realtà anatomiche e che hanno caratteristiche coerenti alle condizioni di martirio subìte dall'Uomo della Sindone. Per avere decalchi di sangue sulla stoffa, come quelli osservati sulla Sindone il corpo deve essere stato a contatto col lenzuolo per circa 36 ore e non oltre. Difatti, non vi sono tracce di sostanze tipiche dei processi di putrefazione.
La conferma della presenza del sangue è poi arrivata dalle ricerche parallele ma indipendenti di Pier Luigi Baima Bollone (a livello medico-legale) in Italia e di Alan Adler (tramite esami chimici) negli Stati Uniti.
Le macchie ematiche presenti sulla Sindone sono di tre tipi.
- Sangue fresco: Emissioni di sangue liquido. Una macchia di sangue su una tela evidenzia subito il fenomeno di diffusione: il sangue si stende e viene assorbito nel tessuto lungo i fili. Proprio zona dei piedi: qui si vedono due colate di sangue liquido che presentano contorni irregolari e merlati per il fenomeno di diffusione sulla tela.
- Coaguli freschi: é possibile che alcuni coaguli fossero talmente freschi da esser rimasti umidi. Probabilmente è questo il caso del coagulo della ferita sul fianco destro e anche dei coaguli delle gore ematiche trasversali sul dorso ove si distingue un alone da siero intorno alle impronte.
- Coaguli secchi: Tutte le altre macchie di sangue sono impronte di coaguli secchi.
Un coagulo sanguigno completamente secco non lascia un'impronta. La condizione della salma in un sepolcro è però particolare: si tratta di un ambiente chiuso (scavato nella roccia). Inoltre il cadavere era avvolto in una tela, in un simile ambiente ad alta percentuale di umidità il vapore acqueo trasuda dalle cellule e fibrina si ammorbidisce gradualmente. Il coagulo passa così da uno stato solido ad uno plastico, tendendo poi ad uno stato liquido. Se la fibrina discioltasi è troppo poca, il coagulo rimane troppo duro e non lascia un segno. Se la fibrina discioltasi è troppa, il sangue si liquefa ed origina un'aureola capillare. Ma tra l'una e l'altra situazione, se si discioglie la metà della fibrina, il coagulo può dare origine ad una impronta dai contorni molto nitidi che disegnano la forma del coagulo.
Le macchie ematiche e la loro sede permettono di distinguere emorragie vitali (alla testa e agli arti) dai versamenti post-mortali presenti al torace, o ad esempio alla pianta del piede destro vicino ad una colata vitale.
Il loro colore va dal rosa al viola-carminio ma c'è chi sostiene che le macchie di sangue sono di un colore innaturale per essere sangue vecchio di duemila anni e che siano state prodotte da un artista medioevale. La loro osservazione nasconde comunque una verità: il processo di formazione dell'immagine (di cui se ne ignora l'origine) può aver creato alterazioni chimiche tali da far sembrare le macchie di sangue così recenti quanto irreali.
Contrariamente all'immagine somatica le macchie ematiche hanno contorni ben definiti. Mentre le impronte del corpo formano un negativo fotografico, le impronte delle piaghe, essendosi formate per contatto diretto con coaguli di sangue, sono positive e presentano talora un alone più pallido.
Tali macchie permettono di dedurre che l'uomo della Sindone ha subito una flagellazione, una coronazione di spine al capo, una crocifissione per i polsi e per i piedi ed una perforazione del torace dopo la morte. Mentre la maggioranza delle macchie si è formata quando egli era in posizione verticale vi sono anche due spessi rivoli ematici che attraversano il dorso ed il loro tracciato rivela essersi formato mentre la salma venne inclinata verso destra e, dopo un breve trasbordo, con l'aiuto di corde, fu adagiata sul piano sepolcrale ove era appena stata distesa la Sindone
Le ricerche scientifiche hanno accertato che sotto le macchie di sangue non esiste l'immagine del corpo. Ciò è comprensibile se si pensa che il sangue, depositatosi per primo sulla tela, ha schermato la zona sottostante mentre, successivamente, si formava l'immagine.
In corrispondenza delle macchie di sangue i fili della Sindone non sono rotti o strappati e non vi sono alterazioni delle macchie dei coaguli,in alcun punto, come invece sarebbe successo se il corpo fosse stato rimosso dall'interno del telo. Dunque nessuno toccò quel cadavere: il corpo è svanito dall'interno del lenzuolo.
I numerosi tentativi di ricercatori di ogni parte del mondo, che si sono adoperati per replicare in laboratorio l'immagine somatica completa di ferite hanno dimostrato che le macchie di sangue e di siero presenti sulla Sindone sono irriproducibili con mezzi artificiali. A questo proposito è necessario ribadire che per la comprensione del procedimento di formazione dell'immagine dell'Uomo della Sindone bisogna riprodurre tutte le caratteristiche del Telo e l'immagine completa, anche della parte posteriore del corpo.
La commissione italiana del 1973 aveva prelevato frammenti di filo dalle zone insanguinate per fare delle analisi finalizzate a rilevare la presenza di emoglobina. Quelle analisi furono negative, ma non escludevano che sulle ferite dell'Uomo della Sindone vi fosse del sangue. Nell'arco di duemila anni l'emoglobina aveva potuto scomporsi oppure rimanere in quantità talmente infinitesimale da non essere rilevabile.
L'èquipe dello STURP nel 1978 affidò questa ricerca a John H. Heller ed Alan D. Adler del New England Institute. Questi tentarono di isolare la porfirina, un pigmento che, combinato al ferro, forma il componente dell'emoglobina. È noto che la porfirina assume una fluorescenza rossa alla luce ultravioletta. Ebbene, la sostanza isolata dai due chimici si comportava proprio in questo modo. L'esame della fluorescenza sotto i raggi X permise di evidenziare una quantità di ferro maggiore della quantità di ferro dell'immagine. La sensibilità di quella reazione è così grande, che si può evidenziare una quantità piccola come un nanogrammo (un miliardesimo di grammo).
La percentuale di bilirubina presente risultava molto alta. Ciò potrebbe voler significare che l'uomo della Sindone prima di morire ha subito molte sevizie, in quanto l'eccesso di bilirubina potrebbe essere dovuto alla necessità dell'organismo di smaltire un gran numero di globuli rossi danneggiati per traumi estesi e ripetuti, come quelli subiti da Gesù durante la sua passione.
L'esistenza di sangue umano fu provata da Vernon D.Miller e Samuel F. Pelliccori del Centro di Ricerca di Santa Barbara (California, U.S.A.), che analizzarono nel 1980 sotto i raggi ultravioletti il siero rimasto sui bordi delle zone insanguinate. La presenza di siero fu confermata dai tests specifici. Inoltre, rilevarono la presenza di proteine nelle zone insanguinate, sebbene le proteine siano assenti in ogni altro luogo della Sindone (e l'emoglobina è composta da una lunga catena proteica, la globina, e dall'eme, che contiene uno ione ferroso).
Anche il professor Baima Bollone (celebre medico legale che fu docente all'Università di Torino ed autore di numerosi libri sulla Sindone) ha dimostrato la presenza di emoglobina. Secondo lui, il gruppo sanguigno sarebbe AB, quello meno diffuso nella specie umana.
Circa la possibilità, ventilata da alcuni scienziati, di clonare l'Uomo della Sindone bisogna rilevare che i frammenti di DNA (contente il patrimonio genetico) che si possono ritrovare in un sangue così antico sono troppo piccoli da impedire la ricostruzione della sequenza originaria. Anche se si avesse la sequenza e si potesse clonare l'Uomo della Sindone si otterrebbe solamente un uomo identico fisicamente a Gesù (bisogna poi aspettare oltre trent'anni per verificarlo) ma non si otterrebbe la stessa personalità. Sarebbe come ottenere un bel guscio d'uovo ma vuoto al suo interno. Un'operazione del genere risulterebbe troppo costosa, anche sul piano morale, che non riporterebbe di certo Gesù sulla Terra.
I contributi dell'informatica
Con lo sviluppo della tecnologia elettronica si è passati ad applicare l'informatica all'analisi dell'immagine dell'Uomo della Sindone. Questo progresso ha reso possibile la conversione delle immagini in modo numerico, cioè sotto forma di matrici bidimensionali di numeri che rappresentano l'intensità luminosa e la cromaticità dei punti (pixel) in cui viene scomposta l'immagine originale. Partendo dalle immagini numeriche si possono applicare algoritmi di elaborazione con lo scopo di evidenziare l'eventuale presenza di contenuti informatici non evidenti all'osservazione diretta. L'informatica è pertanto in grado di fornire importanti contributi alla ricerca scientifica sulla Sindone e in particolare al problema dell'autenticità.
Le metodologie informatiche permettono di estrarre informazioni comunque presenti nell'immagine originale, ma non immediatamente visibili all'occhio umano. Esse permettono di modificare i livelli di grigio influendo sul contrasto (cioè la variazione di luminanza) con conseguente aumentata capacità di distinguere i dettagli. Le elaborazioni tengono conto della fisiologia della visione. Poiché l'organo della vista riesce normalmente a catturare una cinquantina di livelli di grigio, ne segue che, al fine di migliorare la leggibilità di un'immagine, è opportuno ridefinire la distribuzione di livelli di grigio aumentando il contrasto. Elaborando immagini monocromatiche, può verificarsi la necessità di trasformare i livelli di grigio in colore, allo scopo di rendere immediatamente valutabili dall'occhio umano particolari informazioni presenti nell'immagine. La tecnica applicata, detta dello pseudo-colore, si basa sul fatto che l'occhio possiede una più spiccata capacità di distinguere i colori, piuttosto che i livelli di grigio.
Nel caso della Sindone, i problemi che occorre affrontare riguardano l'esaltazione sia dei dettagli sia del comportamento peculiare dell'immagine.
La prima fotografia ufficiale della Sindone, realizzata nel 1898, oltre a mettere in evidenza la negatività dell'immagine somatica ha rivelato la caratteristica tridimensionale, la prerogativa di un corpo di estendersi nelle tre direzioni: larghezza, altezza e profondità. Un'immagine presenta allora questo contenuto se è possibile ricavare le informazioni spaziali delle strutture in essa rappresentate. Questo fatto si manifesta con sfumature di intensità luminosa che dipendono dalla distanza rispetto al sistema di acquisizione: nel caso della Sindone le impronte sono scure in corrispondenza a zone in rilievo e chiare nelle altre parti.
L'elaborazione numerica dell'immagine della Sindone, indirizzata alla determinazione della presenza della tridimensionalità nell'impronta, ha permesso di ottenere nuove immagini che evidenziano il rilievo e permettono di rilevare particolari, non visibili nell'immagine originale. Il fatto che alcuni particolari siano emersi dopo l'elaborazione tridimensionale, esclude qualsiasi intervento manuale nella formazione dell'immagine; è infatti impensabile che siano stati inseriti particolari che, pur essendo invisibili a occhio nudo, diventino poi visibili solo dopo l'elaborazione.
La comparazione infine con l'iconografia di Cristo può essere messa in relazione con l'ipotesi che la Sindone sia stata osservata già in epoca precedente al Medioevo.
L'utilizzo di procedimenti informatici permette di certificare che l'immagine della Sindone non è un dipinto; se così fosse, essa evidenzierebbe delle direzioni preferenziali dovute alle pennellate dell'artista e invece non ci sono direzioni preferenziali; queste si manifesterebbero infatti con l'aspetto di piccoli addensamenti a forma di macchie luminose.
Per esempio se si vuole separare l'immagine dal suo supporto, il telo a spina di pesce, si agisce sulle frequenze che corrispondono in modo evidente alla trama del tessuto.
L'Analisi dettagliata dell'immagine tridimensionale del volto ha permesso di rivelare che il sangue è presente sull'intero volto a causa delle percosse e della coronazione di spine e per il fenomeno dell'ematoidrosi (sudorazione di sangue). I rivoli e i grumi di sangue fluiscono in maggior parte verso la parte anteriore del capo e dei capelli, ciò avvalora l'ipotesi della morte sulla croce dell'Uomo della Sindone con il mento appoggiato contro il torace.
Il fascino delle monetine
Uno dei cavalli di battaglia utilizzato dai sindonologi per controbattere i risultati dell'esame al radiocarbonio del 1988 è stato quello della datazione della Sindone mediante lo studio delle impronte di possibili monete dell'epoca romana. Questa possibilità era già nata negli anni '70.
Il fatto che con l'elaboratore tridimensionale si potesse vedere una forma discoidale sopra la palpebra destra ha dato adito alla teoria di una monetina che potrebbe essere stata collocata per tenere la chiusa la palpebra dopo la deposizione della croce dell'Uomo della Sindone. Nel 1977 questa ipotesi, dietro suggerimento di Antoine Legrand era stata avanzata, in occasione di un congresso di studiosi americani, da J. P. Jackson e E. J. Jumper.
Poi, al II Congresso Internazionale di Sindonologia di Torino del 1978, Giovanni Tamburelli e Giovanni Garibotto dell'Università di Torino e dello CSELT-IRI presentarono i risultati di una loro ricerca condotta utilizzando l'elaborazione tridimensionale dell'immagine della Sindone nella quale ponevano le basi per successivi studi. Dal 1979 in poi, questa tesi è stata sostenuta anche dal gesuita Francis L. Filas, teologo all'Università Loyola di Chicago, il quale affermava di aver identificato, con il supporto del numismatico Michael Marx, una moneta, e precisamente il lepton, sulla palpebra destra, ma la maggioranza dei sindonologi era molto perplessa.
Nel luglio del 1996 i professori Nello Balossino, erede scientifico di Tamburelli e docente al Dipartimento Informatica dell'Università di Torino, e Pier Luigi Baima Bollone, medico legale credono di aver individuato sul lato opposto del volto sindonico, in prossimità del sopracciglio sinistro, una seconda monetina di circa 14 mm di diametro e 2,3 grammi di peso. Dopo aver interpellato i numismatici Mario Moroni e Cesare Colombo, che fornirono la moneta, il lepton, Baima Bollone cominciò ad approfondire la pista di indagine. I due individuarono la possibilità della coincidenza tra il lepton e la traccia di moneta trovata sulla Sindone. Questa pista di indagine ha subito un'eccessiva interpretazione dei segni. Era troppo grande il fascino che questa ipotesi esercitava sugli studiosi perché permetteva di datare la Sindone tra il 29 e il 30 d.C., dando la dimostrazione che la Sindone di Torino potesse essere realmente il sudario che avvolse Cristo nel sepolcro.
È bene ribadire che non c'era l'usanza tra i giudei di chiudere gli occhi dei defunti con una moneta (simbolo decisamente pagano) e mettere una moneta romana sul corpo di un giudeo sarebbe stato sacrilego rispetto alle norme ebraiche sulla purezza rituale. In effetti grossi punti di coincidenza fra i segni riscontrati con l'elaboratore elettronico e le monete in questione ci sarebbero, ma la metodologia è da affinare. L'operazione non è facile perché un conto è avere la moneta sulla quale si legge la scritta e tutte le informazioni, altra cosa è andare a fare un lavoro probabilistico. Gli esiti di questi studi sono ancora aperti a tutte le conclusioni.
Non bisogna trascurare il fatto che, a causa dei diversi modi di tendere la Sindone e di fotografarla, oltre alla caratteristica del tessuto che presenta numerose irregolarità e micro-pieghe residuali di antichi modi di conservarla, alcune immagini della Sindone possono dare informazioni che si prestano svariate interpretazioni. Vi è anche la possibilità che la Sindone sia stata nascosta insieme ad altri reliquiari ed oggetti preziosi. I numerosi viaggi a cui venne sottoposta quando era, ad esempio, di proprietà dei Savoia non escludono la possibilità che nel medesimo reliquiario siano stati custoditi oggetti che abbiano fatto una pressione sulla tela creando piccole modificazioni che si possono riscontrare con l'elaborazione elettronica o con strumenti sofisticati. Si tratta, però, sempre di frammenti di scritte o monete che si prestano a numerose e pericolose interpretazioni.
Una certezza nei limiti delle leggi della probabilità
La Sacra Sindone è un oggetto particolare, unico nel suo genere, che trova una certa spiegazione quando si ipotizza sia stata utilizzata nella sepoltura di Gesù. Più ci si allontana da questa asserzione e più essa perde ogni possibilità di spiegazione. Oltre alle difficoltà incontrate nell'ipotizzare l'opera di un falsario non è meno improbabile la formazione dell'immagine per casualità. Anche ammesso che tale immagine sia generata dall'azione di misteriosi batteri non è possibile ammettere che tali colonie microbiche possano essersi organizzate con un cervello pensante in modo da formare un'immagine del corpo umano, a grandezza naturale, vista sia frontalmente che dorsalmente. Resta ancora impossibile da comprendere come tali batteri abbiano poi generato macchie simili al sangue, collocate oltretutto nei punti anatomici esatti, per non parlare poi dei segni della flagellazione. Nonostante siano da escludere l'opera di un falsario, la casualità ed anche l'opera di criminali che avrebbero martirizzato un uomo per creare una falsa reliquia, non è possibile giungere ad un giudizio di certezza storica o sperimentale sull'origine della Sindone.
Nella difficoltà di valutare la grande quantità di dati reperiti sulla questione ci può offrire un orientamento il metodo del calcolo delle probabilità. È possibile valutare quantitativamente e qualitativamente quanto sia attendibile una certa teoria. Questo metodo, però, deve essere applicato con circospezione e grande correttezza scientifica: l'attribuzione del grado di probabilità a un'affermazione o a un'osservazione dipende dall'esattezza delle relative conoscenze archeologiche e storiche, che deve basarsi su una precisione di informazione da noi invece posseduta sovente solo in via approssimativa. Questo riguarda anche molti studiosi della Sindone che conoscono bene il loro campo di studio ma assai poco quello degli altri colleghi sindonologi. Proprio per questo è possibile che i calcoli siano particolarmente differenti da un operatore all'altro.
L'incontro di molte probabilità, quotate in vario modo, fa accrescere o diminuire il grado di verosimiglianza di un'affermazione della provenienza diretta della Sindone dalla vicenda della morte e sepoltura di Gesù di Nazaret. Secondo vari autori come Bruno Barberis, Gian Maria Zaccone, Giulio Fanti, Emanuela Marinelli ed altri sulle orme dei più veterani come Y. Delage, P. de Gail e T. Zeuli, si può affermare che solo uno su 200 miliardi di eventuali crocifissi può aver presentato le caratteristiche dell'Uomo della Sindone. Nonostante l'elevata probabilità riscontrata con la Sindone, però, non si ottiene ancora la certezza; anche perché certi argomenti sono ancora discutibili e non sono ritenuti certi (scritte, impronte di fiori e di monete sulla Sindone) e possono diminuire l'elevata probabilità ritenuta alta dai sindonologi ma criticata da altri scienziati.
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