Utente:Giuseppe Marino/Storia della Chiesa di Taranto

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La notizia più antica sull'esistenza di una Comunità cristiana a Taranto ci è stata conservata dal Carmen XIV, uno dei natalicia di Paolino da Nola, datato al 497, dove si parla dei cristiani di Taranto ("Quique colunt rigui felicia culta Galesi") che si recavano a Nola per venerare la tomba del martire Felice nel suo dies natalis (14 gennaio).

Anche se l'utilizzazione di una testimonianza poetica come fonte storica richiede molte cautele, bisogna aggiungere che, in seguito agli scavi eseguiti recentemente dalla Dott.ssa Silvia De Vitis, collaboratrice della Soprintendenza Archeologica di Taranto nell'Isola (Città Vecchia), nel "Palazzo delli Ponti", situato tra la Via di Mezzo, la Postierla Immacolata e Largo Gennarini, è stato rinvenuto un ipogeo funerario paleocristiano, databile tra la seconda metà del IV e la prima metà del V secolo, il che dimostra che il "Carmen" di Paolino da Nola aveva solide fondamenta.

D'altra parte, tra la fine del 494 e l'agosto del 495, il papa Gelasio I scriveva una lettera, pervenutaci in frammento, indirizzata Clero, Ordini e Plebi Tarenti mediante la quale comunicava l'invio di un nuovo vescovo di nome Pietro e impartiva alcune disposizioni sul conferimento del Battesimo che doveva essere amministrato a Pasqua e a Pentecoste e, solo in caso di pericolo di vita del neofita, in qualsiasi periodo dell'anno. Questa lettera conferma che nel secolo V la comunità cristiana tarantina era ormai organizzata e aveva già una gerarchia episcopale cui si riallaccia lo stesso papa Gelasio nell'inviare il vescovo Pietro.

Bisogna attendere più di un secolo per imbatterci nel nome di un altro vescovo tarantino: si tratta di Andrea al quale si rivolse nel 593 Gregorio Magno per provvedimenti di carattere disciplinare. Il Vescovo di Gallipoli venne incaricato di sorvegliare Andrea nell'esecuzione delle disposizioni canonicamente ingiuntegli.

Molto verosimilmente successore di Andrea fu Onorio al quale Gregorio Magno inviò nel febbraio 603 una lettera per autorizzarlo all'uso del nuovo Battistero nella chiesa di Santa Maria. La lettera ci fornisce per la prima volta il titulus dedicationis della Cattedrale di Taranto, anche se nessun elemento ci autorizza a ritenere definitiva la tesi della sua ubicazione nel sito della basilica paleocristiana, cioé nell'attuale zona della Città vecchia dove sorge la Cattedrale romanica.

I vescovi successivi di cui si ha sicura memoria storica sono Giovanni I presente ad un Concilio nel 649, Germano che partecipò al Sinodo Romano del 680 e sottoscrisse la lettera dommatica inviata al sesto Concilio Ecumenico convocato a Costantinopoli da Costantino IV, d'accordo con il pontefice Anfrido che intervenne nel 743 al Concilio Romano I.


San Cataldo

Come si può osservare, non si è fatto sin quì alcun cenno nè alle origini apostoliche di Taranto nè a colui che la Chiesa tarantina venera come protovescovo, cioè San Cataldo. Infatti la tradizione petrina di Taranto, come quella di Brindisi e di moltissime altre Chiese locali del Mezzogiorno, è documentata solo da fonti altomedievali che, al di là dell'essere rivelatrici di un certo tipo di mentalità nel conflitto tra Roma e Bisanzio sulla giurisdizione delle Chiese dell'Italia Meridionale, non ci forniscono dati storicamente certi sull'evangelizzazione effettuata da San Pietro a Taranto.

Il documento più antico sulle origini della tradizione "petrina" è quella Historia Sancti Petri, qualiter cum sancto Marco tarentum venerunt, composta, molto probabilmente, tra la fine dell'IX e l'inizio del X secolo e pubblicata per la prima volta da Giovanni Battista de Algeritiis nel 1555. Verso la fine dell'XI secolo ci si imbatte in un altro riferimento allo sbarco di san Pietro a Taranto nella Historia inventionis del corpo di San Cataldo redatta dal tarantino Berlingerio. Anche nel brano berlingeriano si colgie l'eco della polemica antibizantina che precedette e seguì lo scisma di Michele Cerulario del 054 e si insiste ancora sulle origini occidentali della Chiesa di Taranto.

Quanto al protovescovo Cataldo va rivelato che le prime fonti dalla Historia inventionis al Sermo de inventionis corporis sancti Kataldi, trascritto a Napoli dal monaco Marino nel 1174, al Troparion italo-greco del XII secolo, tacciono sull'origine e sulla nazionalità di Cataldo, mentre, sulla scorta delle affermazioni suffragate da precise testimonianze documentarie, effettuate nel 1589 nel De antiquitate et varia tarentinorum fortuna dal Giovan Giovane, la tradizione tarantina colloca al II secolo l'episcopato di Cataldo.

sarebbe lungo seguire i vari momenti della storiografia (dai Bollandisti agli storici locali) che si sono occupati di questo problema. Quì varrà notare che se una collocazione cronologica va data all'episcopato cataldiano, essa non può essere anteriore al VI-VII secolo. Una recente, puntuale analisi agioantroponimica ha avanzato l'ipotesi di una origine longobarda del nome Cataldo che andrebbe ricondotto alla forma Gaidoaldus di origine germanica.

A questo punto, però, va anche precisato che, secondo la tradizione irlandese, il nome del santo nella lingua gaelica è Cahal -tradotto, poi, nel latino Cataldus- e che nelle vicinanze della cittadina di Canty, indicata come luogo di nascita del santo, vi è una sorgente che prende il nome di "Sorgente di San Cataldo".

Inoltre, l'attuale Cimitero della cittadina di Clogheen, denominata "Shanrahan" (nuova Rahan), viene indicato come il luogo dove il monaco-vescovo "Cahal" aveva fondato il monastero, suo titolo episcopale, dal quale era partito per il suo pellegrinaggio in Terra Santa.

Proseguendo nella cronotassi episcopale tarantina va ricordato un Giovanni II, menzionato in un diploma del 978 dei principi capuani Pandolfo I e Landolfo IV, insignito del titolo archiepiscopale molto verosimilmente ricevuto dal Patriarca di Costantinopoli nel 968, al quale seccesse l'arcivescovo Dionisio, di cui rimane un privilegio concesso probabilmente nel gennaio 1028 alla chiesa di San Benedetto, sulla cui ubicazione di recente sono state avanzate più plausibili ipotesi.

Dei successori di Dionisio, Alessandro V Faccipecora e Stefano I, accolti dalla tradizione locale, non ci soccorrono nè notizie nè mdocumenti.


Il Vescovo Drogone

Una prima svolta istituzionale nella storia della Chiesa di Taranto si ha con la dominazione normanna: a cominciare dall'episcopato di Drogone (un normanno inviato a Taranto all'indomani della battaglia di Civitate al Fortore, cioè verso il 1053) che si segnalò per la ricostruzione della cattedrale detta "normanna" e per la inventio del corpo di San Cataldo per proseguire con l'erezione della Sede Metropolitana intervenuta nel penultimo decennio del secolo XI.

Nei secoli XII-XV non assistiamo a eventi che incidono sulla struttura istituzionale della Chiesa tarantina. Dei dieci arcivescovi del XIII secolo, nove erano regnicoli ed uno solo laziale, quel Giacomo I di Viterbo (1370) che era stato procuratore generale dell'Ordine dei Domenicani.

Dal 1300 al primo quarto del XV secolo si constata un più marcato intervento della Sede Apostolica per quanto riguarda la provvista della Chiesa Metropolitana vacante. La Santa Sede fece ricorso con maggiore frequenza alla "translatio", privando così i Capitoli Cattedrali dell'originario diritto di elezione. A Taranto su 16 arcivescovi, 9 vennero nominati in seguito a trasferimanto da altra sede. Dopo lo scisma d'Occidente la Chiesa di Taranto tornò all'ubbidienza romana, riavendo l'assoluzione dalla scomunica da parte del vescovo di Castro.


Il Concilio di Trento

Con il XVI secolo si assiste a un'altra svolta istituzionale della Chiesa locale di grande importanza specialmente in seguito alla celebrazione del Concilio di Trento al quale presero parte due prusuli tarantini, Pier Francesco Colonna (1554 - 1560) e suo nipote Marco Antonio Colonna (1560 - 1568): a quest'ultimo si deve, nel 1568 l'erezione del Seminario.

Ma fu sopratutto l'Arcivescovo Lelio Brancaccio (1574-1599) a potare avanti nel suo lungo episcopato le riforme volute dal Concilio. La sua non fu una impresa facile perché si scontrò con radicate tradizioni, consuetudini e privilegi del clero locale e del popolo.

Questa prima stagione tridentina vide comunque impegnata la diocesi di Taranto in uno sforzo di riforma e di coinvolgimento nel grande disegno di rinnovamento della Chiesa.

Vari sinodi diocesani celebrati nel seicento favorirono l'opera di riforma della vita spirituale e dei costumi del clero e del popolo. Grandi figure di vescovi riformatori oltre il Colonna e il Brancaccio furono Ottavio Mirto-Frangipane (1605-1612), il Cardinale Bonifacio Caetani (1613-1617), il teatino Tommaso Caracciolo Rossi (1637-1663), morto in concetto di santità.