Pentecoste

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Questa voce riguarda l'evento neotestamentario dell'effusione dello Spirito Santo.
⇒  Se cercavi la voce sulla festività della Chiesa, vedi Pentecoste (solennità).
Fratelli Limbourg, Pentecoste, miniatura tratta da Très Riches Heures du Duc de Berry (1412 - 1416 ca.); Chantilly (Francia), Musée Condé
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Il giorno di pentecoste (al termine delle sette settimane pasquali), la pasqua di Cristo si compie nell'effusione dello Spirito Santo, che è manifestato, donato e comunicato come Persona divina: dalla sua pienezza Cristo Signore effonde a profusione lo Spirito (cfr. At 2,33-36 ).
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In questo giorno è pienamente rivelata la Santissima Trinità. Da questo giorno, il Regno annunziato da Cristo è aperto a coloro che credono in lui: nell'umiltà della carne e nella fede, essi partecipano già alla comunione della Santissima Trinità. Con la sua venuta, che non ha fine, lo Spirito Santo introduce il mondo negli "ultimi tempi", il tempo della Chiesa, il Regno già ereditato, ma non ancora compiuto.
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Il Mistero pasquale - la passione, morte e risurrezione di Cristo e la sua ascensione al Cielo - trova il suo compimento nella potente effusione dello Spirito Santo sugli Apostoli riuniti insieme con Maria, la Madre del Signore, e gli altri discepoli. Fu il "battesimo" della Chiesa, battesimo nello Spirito Santo (cfr At 1,5 ).
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La Pentecoste è l'evento del dono iniziale dello Spirito Santo alla Chiesa nascente riunita a Gerusalemme nel Cenacolo, cinquanta giorni dopo la Risurrezione di Gesù. Ebbe l'effetto di far partire il dinamismo missionario della Chiesa: a partire dalla Pentecoste gli Apostoli, sotto la guida di Pietro, iniziarono ad annunciare il kerigma della morte e Risurrezione del Signore (At 2 ).

La parola proviene dal termine greco antico πεντηκοστή, pentekosté (sottinteso: ἡμὲρα, hemèra), cioè "cinquantesimo (giorno)": la festa celebrata in quel giorno ha luogo cinquanta giorni dopo la Pasqua.

I Padri della Chiesa hanno paragonato il "battesimo nello Spirito Santo" della Pentecoste, che per la Chiesa è una vera e propria investitura apostolica, al battesimo di Gesù, teofania solenne all'inizio del suo ministero pubblico. Essi fanno vedere nella Pentecoste il dono della nuova legge alla Chiesa (cfr. Ger 31,33 ; Ez 36,27 ) e la nuova creazione (cfr. Gen 1,2 ): questi temi non sono espressi in At 2 , ma si fondano sull'azione interna dello Spirito e sulla ricreazione che egli effettua[1].

La preparazione dell'Antico Testamento

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Pentecoste ebraica

La Pentecoste ebraica è, con la Pasqua ed i Tabernacoli, una delle tre feste in cui Israele deve presentarsi dinanzi a YHWH nel luogo da lui scelto per farvi abitare il suo nome (Dt 16,16 ).

L'oggetto della festa ha subito un'evoluzione[1].

Nell'Antico Testamento il termine greco "Pentecoste" è attestato in Tb 2,1 e in 2Mac 12,32 .

Ancora oggi gli Ebrei leggono in questo giorno il passo di Es 19 ed il Libro di Rut. La consuetudine di leggere il libro di Rut è motivata dall'ambientazione del libro stesso, nel tempo della mietitura, e dal fatto che Davide, di cui Rut era antenata, era nato e morto il giorno di Shavuot.

Il dono dello Spirito a Pentecoste

Anonimo XVII secolo, Discesa dello Spirito Santo, Monastero di Novodevich, Mosca

A differenza del Vangelo di Giovanni, che presenta il dono dello Spirito Santo nello stesso giorno di Pasqua (20,19-23), Luca situa il dono dello Spirito nel giorno della Pentecoste ebraica (cfr. Lc 24,49 ; At 1,4-5 ), accostando il dono dello Spirito all'antico dono della legge del Sinai: lo Spirito è la nuova legge della comunità cristiana.

L'evento è descritto come una teofania. Vi troviamo infatti voce, cielo, vento, fuoco, tuono, tutti elementi caratteristici delle teofanie presenti nell'Antico Testamento (cfr. Es 3,2 ; Dt 4,11-12;33-36 ; 1Re 19,11-13 : in tali passi l'apparizione di Dio è accompagnata dalla presenza di questi elementi naturali.

Un duplice miracolo sottolinea il senso dell'avvenimento:

  • gli Apostoli, per cantare le meraviglie di Dio, si esprimono in lingue (At 2,3 ); il parlare in lingue è una forma carismatica di preghiera che si ritrova nelle comunità cristiane primitive;
  • il parlare in lingue, quantunque per sé inintelligibile (cfr. 1Cor 14,1-25 ), è in quel giorno compreso dalle persone presenti; questo miracolo di audizione è un segno della vocazione universale della Chiesa, perché questi uditori provengono dalle più diverse regioni (At 2,5-11 ).

Significato teologico

A partire da At 2,1-41 e dai testi dell'Antico Testamento si può delineare la ricchezza di significato teologico della Pentecoste cristiana secondo le seguenti direttrici[2].

Effusione escatologica dello Spirito

Pietro, citando il profeta Gioele (c. 3), fa vedere che la Pentecoste realizza le promesse di Dio: negli ultimi tempi lo Spirito sarebbe stato dato a tutti (cfr. Ez 36,24-27 ; Is 44,3 ).

Il precursore aveva annunziato che era presente colui che doveva battezzare nello Spirito Santo (Mc 1,8 ). E Gesù, dopo la sua risurrezione, aveva confermato queste promesse: "Tra pochi giorni sarete battezzati nello Spirito Santo" (At 1,5 ).

La discesa dello Spirito diventa il segno escatologico, l'annuncio che sono iniziati gli ultimi tempi.

Coronamento della Pasqua di Cristo

Secondo la catechesi primitiva, Cristo morto, risorto ed esaltato alla destra del Padre, porta a termine la sua opera effondendo lo Spirito sulla comunità apostolica (At 2,23-33 ). La Pentecoste è perciò la pienezza della Pasqua.

Raduno della comunità messianica

I profeti avevano annunziato che i dispersi sarebbero stati radunati sul monte Sion, e che in tal modo l'assemblea di Israele sarebbe stata unita attorno a YHWH.

La Pentecoste realizza a Gerusalemme l'unità spirituale dei Giudei e dei proseliti di tutte le nazioni: docili al1'insegnamento degli apostoli, essi partecipano nell'amore fraterno alla mensa eucaristica (At 2,42.46 ).

Inizio della missione a tutti i popoli

Josef Ignaz Mildorfer, Pentecoste, 1750 ca., Hungarian National Gallery

La Pentecoste è pure il punto di partenza della sua missione: il discorso di Pietro], "in piedi con gli Undici", è il primo atto della missione data da Gesù: "Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra" (At 1,8 ).

Lo Spirito è quindi dato in vista di una testimonianza che dev'essere portata fino alle estremità della terra (At 1,8 ); il miracolo dell'ascolto in lingue sottolinea che la prima comunità messianica si estenderà a tutti i popoli (At 2,5-11 ). La "Pentecoste dei pagani" (At 10,44-47 ) lo dimostrerà.

Ricomposizione dell'unità del genere umano

La Pentecoste rimanda infine all'episodio della Torre di Babele (Gen 11,1-9 ):

  • ivi il tentativo di unità, voluto dagli uomini in opposizione a YHWH aveva portato alla dispersione e alla confusione delle lingue;
  • nella Pentecoste lo Spirito, manifestandosi sotto forma di lingue di fuoco che si distribuiscono su ciascuno dei discepoli di Gesù, fa sì che coloro che ascoltano comprendano ognuno nella propria lingua nativa (At 2,8 ): lo Spirito rende possibile la comunione tra popoli diversi e lingue diverse.

Approfondimento esegetico

At 2,1-13
Traduzione CEI 2008

1Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.

5Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: "Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, 10della Frìgia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio". 12Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l'un l'altro: "Che cosa significa questo?". 13Altri invece li deridevano e dicevano: "Si sono ubriacati di vino dolce".

Il brano può essere così suddiviso.

Diamo di seguito alcune spiegazioni più dettagliate dei vari elementi[3].

L'indicazione di tempo

Il c. 2 degli Atti si apre con un'annotazione temporale carica di significato teo­logico, che tradotta letteralmente suona "mentre il giorno di Pentecoste stava per compiersi" (v. At 1 ). La menzione del verbo "compiersi" (sumpleróo in greco) potrebbe a prima vista far pensare al termine del grande e solenne giorno festivo ebraico; tuttavia più avanti (v. 15) Pietro parla delle "nove del mattino", e il significa­to teologico molto denso del verbo (cfr. Lc 1,1; 9,51 ), annuncia che sta finalmente per realizzarsi la promessa del risorto, che è a sua volta il compimento di tutte dell'Antico Testamentosull'effusione dello Spirito.

Il gruppo

Il racconto prosegue poi menzionando con un generico "tutti" (pántes) i parteci­panti all'evento: "si trovavano tutti insieme nello stesso luogo" (v. 1b). Chi sono questi "tutti"? Le ipotesi possibili sono[4]:

Ci sono buone ragioni per dire che il primo destinatario del dono dello Spirito è proprio questo piccolo gruppo di discepoli, al quale e non per caso, sono unite Maria e alcune donne[4]. Infatti la frase del nostro testo, "si trovavano tutti insieme nello stesso luogo" (At 2,1 ), che esprime comunione e soprattutto unanimità di cuore, richiama il testo di 1,14, dove si dice che i di­scepoli "erano assidui e concordi (homothumadòn) nella preghiera". Anche "la casa" indicata, dove essi "si trovavano tutti insieme" quando viene l'irru­zione dello Spirito (2,2), ricorda il "piano superiore" dove gli Apostoli abita­vano (1,13). A confermare questa lettura c'è anche la promessa di Gesù che riguardava gli Apostoli, e dunque sarebbe strano che il dono dello Spirito Santo si realizzasse a favore del gruppo dei centoventi che era presente alla elezione di Mattia. Destinatario dello Spirito è dunque la piccolissima comunità.

Il gruppo dei discepoli, al quale si è aggiunto Mattia (1,26) insieme a Maria e alle donne, stretto in una comunione profonda, attende nella preghie­ra il dono promesso dal Signore risorto come, al momento del suo battesimo, Ge­sù stava in preghiera prima che discendesse su di lui lo Spirito per la missio­ne (Lc 3,21-22 ). All'evangelista Luca è caro collegare il dono dello Spirito al momento preparatorio della preghiera (cf. anche Lc 11,13 ).

La descrizione dell'unità e della concordia intende richiamare alla memoria l'unanimità dell'as­semblea di Israele al momento dell'alleanza del Sinai: "Tutto il popolo rispose insieme[5] e disse: Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!" (Es 19,8 ). Luca, dunque, anticipa in questa introduzione un quadro teologicamente denso, e invita il lettore ad unirsi alla comunità apostolica ponendosi nello stesso atteggiamento di attesa e di preghiera.

I fenomeni teofanici

Carmelo Santa Maria della Vita, Pentecoste, Seminario Vescovile di Rimini, icona

L'effusione dello Spirito è raccontata con un linguaggio molto particola­re, si accenna a fenomeni uditivi (v. 2) e visivi (v. 3) attraverso i quali l'even­to sembra visibilizzarsi. Il racconto fa continuamente riferimento al­l'evento del Sinai: il linguaggio usato è quello del genere della teofania: si parla di fragore, di voce, di vento e di fuoco. Appare lo sforzo di esprimere con immagini un'esperienza inesprimibile.

I fenomeni uditivi. La presenza dello Spirito si manifesta inizialmente come un rumore fortissi­mo, un "rombo" (échos) che poi, al v. 6, è chiamato "fragore" o "voce" (phoné). Il termine greco "échos" indica un rumore rimbombante, come il fra­stuono delle onde del mare (Lc 21,25 ; Sal 65,7 ) o il rumore del tuono (Sir 46,17 ) o della tromba (Es 19,16 ; Eb 12,18-19 ). Questo fragore che si produce "improvvisamente", proviene "dal cielo", come la voce di YHWH che era risuonata sul Sinai (Es 19,3 ) o che si era udita al momento del battesimo di Gesù (Lc 3,22 ), o che Pietro intese a Giaffa (At 11,9 ) o, ancora, che udì il veggente dell'Apoca­lisse (Ap 10,4.8 ). Questo rumore è poi paragonato ad un "vento gagliardo", simbolo della potenza misteriosa, vivificatrice e creatrice di Dio (Gen 1,1 ; Gv 3,8 ). L'autore precisa ulteriormente, dicendo che questo rumore "riempì tutta la casa" dove il gruppo dei discepoli con Maria e le donne era radunato. Lo Spi­rito non è ancora stato nominato, ma vengono presentati i segni annunciatori della sua presenza. Fra poco irromperà sui presenti come un avvenimento che dipende totalmente dall'iniziativa di Dio e, come Gesù aveva annunciato (Lc 24,49 ), che discende come "potenza dall'alto".

I fenomeni visivi (v. 3). Si parla dell'apparire di "lingue come di fuoco". Esse "furono viste" dai presenti nell'atto di dividersi e di po­sarsi su ciascuno di loro.

  • Nel linguaggio lucano il verbo "apparire", che è sta­to riferito agli angeli (Lc 1,11; 22,43 ; At 7,30-35 ), a Dio (At 7,2 ) o al Risorto (Lc 24,34 ; At 9,17; 26,16 ) dice che siamo di fronte alla manifestazione di una realtà soprannaturale: incomincia la descrizione dell'effusione dello Spirito Santo.
  • Le "lingue" (glôssai) fanno pensare al "dono delle lingue" che gli apostoli ri­ceveranno, come viene detto poco oltre, e portano a pensare alla connes­sione stretta che esiste tra dono dello Spirito e dono della Parola.
  • Il paragone con il "fuoco" riporta al contesto delle teofanie, ed è segno del manifestarsi del divino. Le rivelazioni di Dio sono spesso messe in relazione con l'imma­gine del fuoco, che diviene simbolo di alterità e di santità; in particolare lo è quella del Sinai (Es 19,18; 24,17 ), ma anche quella della manifestazione di Dio a Mosè nel roveto ardente, dove il fuoco arde ma non consuma (Es 3,1-6 ). Anche il Battista aveva associato lo Spirito Santo al fuoco (Lc 3,16 ).
  • Le "lingue" viste nell'atto di dividersi vanno poi a posarsi su ciascuno dei presenti. Il verbo "si posò" è formulato nel testo greco al singolare (ekáthisen), per fare meglio allusione allo Spirito; esso significa più esattamente "si stabilì". Con questa immagine il narratore vuole dire che lo Spirito santo è presenza divina, è come fuoco che purifica e che avvolge, e con la sua azione unica e singolare, prende possesso di ogni persona, si adagia per poi rimanere su ciascuno dei presenti, come lo Spirito "discese e si fermò" su Gesù al momento del suo battesimo (Gv 1,32-33 ).

La manifestazione dello Spirito Santo

Siamo giunti così al momento culminante dell'avvenimento. Nominando lo Spirito Santo due volte il narratore spiega ora apertamente quanto i segni pre­monitori avevano annunciato: "tutti" i presenti (cfr. v. 1) furono "ripieni di Spi­rito Santo". Avviene su tutti un'effusione interiore che li riempie fino a tra­boccare; Pietro infatti, nel successivo discorso dirà che Gesù, sali­to al cielo lo ha ricevuto dal Padre per "riversarlo" sui suoi discepoli (At 2,33 ). Nel tempo della promessa lo Spirito era stato donato ai profeti e ad al­cuni grandi uomini dell'Antico Testamento, poi a pochi eletti i cui nomi ven­gono ricordati dal narratore nel vangelo dell'infanzia:

Esso poi si era concentrato unicamente in pienezza sulla persona di Gesù (Lc 1,35; 3,22; 4,1.18 ). Ora questo dono rag­giunge "tutti": così il gruppo dei discepoli viene definitivamente costituito e intimamente trasformato.

Successivamente molte altre persone verranno desi­gnate nel libro degli Atti come "riempite" di Spirito Santo:

Lo Spirito resterà da ora in poi sempre all'o­pera nella Chiesa come il protagonista principale.

Il parlare in lingue

Vengono poi descritti gli effetti prodotti dall'effusione dello Spirito: il gruppo dei discepoli comincia a "parlare in altre lingue" (v. 4b).

Come comprendere questo fenomeno straordinario? Si tratta forse del dono della glossolalia, che consisterebbe in un parlare estatico, misterioso, con suoni che non corrispondono a nessun idioma dell'epoca ma estremamente comu­nicativo grazie all'emozione di chi lo parlava? Questo "parlare in lingue" è abbastanza frequente nella Chiesa primitiva, come ci testimoniano il libro de­gli Atti stesso (10,46; 19,6) e le lettere paoline (cfr 1Cor 12-14 ); nel nostro te­sto il sospetto di ubriachezza (2,13), smentito da Pietro nel suo seguente discorso (2,15), potrebbe far pensare che si tratti di questo fenomeno. Oppure il narratore intende descrivere un dono di profezia per cui il gruppo dei di­scepoli parla realmente in altre lingue e con un linguaggio, per ciascuno dei presenti, comprensibile e intelligibile.

Se leggiamo attentamente il v. 4 troviamo elementi per operare una scelta: il testo dice chiaramente che il gruppo dei discepoli incomincia a "parlare" (laleîn) in "altre" (hetérais) lingue (v. 4a). L'aggettivo "altre" (hetérais) è molto importante, perché indica che gli apostoli si mettono a parlare in lingue diverse dalla propria. Il narratore, poi, sottolinea come questo dono sia frut­to della irruzione dello Spirito: "Come lo Spirito dava loro il potere di espri­mersi (apophthéngomai)" (v. 4b). Il verbo "esprimersi", che introduce anche l'inizio del discorso di Pietro che segue questo avvenimen­to, fa sempre riferimento, in Luca, ad un parlare solenne, ispirato e com­prensibile (cfr. At 2,14; 26,25 ). Si può quindi affermare, a partire da questi dati, che il prodigio della Pentecoste consista nel dono che gli apostoli ricevono di "parlare" con le lingue stesse degli uditori: essi proclamerebbe una "parola" che, proprio perché tutti capiscono, ha una valenza universale.

Bisogna notare però che non è ancora noto il contenuto di tale messaggio.

La reazione degli abitanti di Gerusalemme

Dei fatti narrati sono testimoni "giudei osservanti" che abitavano la città di Gerusalemme e che provenivano "da ogni nazione che è sotto il cielo" (v. 5).

La qualifica di "giudei osservanti" si riferisce a circoncisi per nascita o per religione[6]; verosimilmente si erano stabiliti a Gerusalemme per vivere all'ombra del Tempio.

L'espressione "uomini osservanti" (àvdres eùlabeîs), cara all'e­vangelista Luca, rende l'idea della loro religiosità fatta essenzialmente di timore di Dio e di osservanza scrupolosa e amorevole della Legge di Mosè[7]. Essi, pur provenendo da nazioni pagane ("tut­te le nazioni che sono sotto il cielo"), hanno sempre mantenuto la loro iden­tità giudaica ed appartengono a pieno titolo al popolo d'Israele.

Il "fragore" della discesa dello Spirito che ha "riem­pito tutta la casa" (v. 2) dove abitava il gruppo apostolico, viene percepito an­che all'esterno: la "moltitudine" dei giudei si raduna, eccitata e confusa. Il narratore riferisce le loro reazioni e sottolinea con insistenza la loro sor­presa per i discorsi degli apostoli. I termini che parlano di stupore e di meraviglia si accavallano l'uno all'altro:

  • la moltitudine è pre­sentata al v. 6 come "stupefatta", in piena confusione (sunechùthe) perché "ciascuno li udiva parlare la propria lingua";
  • al v. 7 si ripete che essi era­no "stupiti" e "meravigliati";
  • ancora, al v. 12, dopo l'enumerazione dei po­poli rappresentati nell'uditorio, si afferma che "tutti erano stupiti e perplessi".

La meraviglia si traduce in escla­mazioni: si formulano una serie di domande che riguardano il prodigio del parlare in lingue:

  • viene sottolineata dapprima la stranezza del fenomeno, per il fatto che il gruppo apostolico è formato da Galilei (v. 7);
  • si domandano poi come mai i presen­ti li sentano parlare nella lingua del loro paese di provenienza (v. 8);
  • successiva­mente le loro parole si precisano ulteriormente in relazione al contenuto di quanto dicono: "Li udiamo parlare nelle no­stre lingue delle grandi opere di Dio" (v. 11).

Il narra­tore sottolinea che lo Spirito rende capaci i discepoli di parlare nel­le lingue delle diverse nazioni alle quali appartenevano gli Ebrei pii che ascoltavano.

Il contenuto del parlare in lingue

Lo stupore dei presenti non riguarda solo il fenomeno del parlare in lingue straniere, ma anche e soprattutto, l'annuncio sorprendente che viene loro ri­volto. Il gruppo apostolico, parlando nella lingua stessa degli uditori, proclama con forza e con parole persuasive, intelligibili e comprensibili a tutti "le gran­di opere di Dio" (tà megaleîa toû Theoû, v. 11). Il contenuto della predicazione apostolica è ora formulato apertamente e condensato in questa ricca espressione, in cui Dio, il Padre di Gesù, è al centro della lode[8] (cfr. anche Rm 15,9 ).

Si tratta di un parlare estatico, pieno di gioia, che assomiglia alla proclamazione di un cantico che tutti compren­dono: lo Spirito, riempiendo i loro cuo­ri, li fa traboccare di ammirazione e di riconoscenza verso Dio, li tra­volge e li fa parlare!

Pietro, nel successivo discorso profetico che lo Spirito gli farà proclamare (2,14-36) espliciterà il senso delle "grandi opere di Dio" di cui i presenti sono testimoni.

La lista dei popoli

La lista dei popoli e delle regioni elencate (vv. 9-11), pur non essendo esaustiva di tutto il mondo allora conosciuto, è stata inserita dal narratore con un chiaro significato universalistico: tali popoli rappresentano la pienezza d'Israele, ora simbo­licamente radunato, in accordo con le profezie dell'Antico Testamento (cfr. Ez 36,24.28.33 ). Questa promessa, che sembrava già essersi realizzata quando Israele giunse al Sinai (cfr. Dt 1,10; 10,22 ) ha invece ora il suo vero compimento, perché tutta questa moltitudine, proveniente "da tutte le nazioni che sono sotto il cielo", è rappresentativa di tutti i popoli pagani, ai quali gli apostoli porteranno la loro testimonianza.

La lista dei popoli intende affermare che non solo lì c'è l'inte­ro Israele, primo destinatario del prodigio dell'effusione del­lo Spirito Santo, ma anche che esso farà da legame tra Gerusalemme e il resto del mondo. Nella moltitudine radunatasi a Pentecoste si intravede tutta l'umanità.

Le reazioni negative

La narrazione dell'evento di Pentecoste termina riportando anche rea­zioni opposte, di chiusura e di perplessità, e il parlare in lingue viene letto come espressione di ubriachezza (v. 2,13b). Tale reazione esprime quell'esperienza di rifiuto e di derisione che la Chie­sa subirà anche più avanti al proclamare la notizia straordinaria del crocifisso risorto (At 17,32; 26,24 ).

Per arrivare da queste prime reazioni alla con­versione sono necessari però, due ulteriori passi:

  • l'accedere al signi­ficato profondo dell'evento;
  • l'aderirvi con una risposta personale.

Sarà proprio la parola annunciata da Pietro nel prosieguo del capitolo a condurre a questa meta.

Nella Liturgia

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Pentecoste (solennità)

La Chiesa celebra ogni anno la solennità di Pentecoste, cinquanta giorni dopo la Pasqua.

Con questa solennità si chiude il Tempo di Pasqua e inizia la seconda parte del Tempo Ordinario.

Note
  1. 1,0 1,1 Paul de Surgy (1971) 905.
  2. Paul de Surgy (1971) 906-907.
  3. Rita Pellegrini (1998)
  4. 4,0 4,1 Jacques Dupont (1971) 827.
  5. in greco: "unanime", homothumadòn: stesso termine che appare in At 1,14 .
  6. Non sono invece circoncisi i proseliti del v. 11.
  7. L'espressione della loro devozione o pietà ricorda quella di Simeone (Lc 2,25 ), di Anania (At 22,12 ) e dei seppellitori di Stefano (At 8,2 ).
  8. In maniera simile, la stessa cosa avveniva nei cantici proclamati da alcuni personaggi dei vangeli dell'infan­zia: Zaccaria nel Benedictus (Lc 1,67 ), e Maria nel Magnificat (Lc 1,46.49 ).
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni
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Il contenuto di questa voce è stato firmato il giorno 25 maggio 2012 da don Paolo Benvenuto, baccelliere in Teologia.

Il firmatario ne garantisce la correttezza, la scientificità, l'equilibrio delle sue parti.