Beato Michele Agostino Pro

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Beato Michele Agostino Pro, S.J.
Presbitero
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battezzato
Beato
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Il beato Miguel Pro
Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 35 anni
Nascita Guadalupe
13 gennaio 1892
Morte Città del Messico
23 novembre 1927
Sepoltura
Appartenenza
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Ordinato diacono
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Ordinazione presbiterale 21 agosto 1925
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° vescovo di Roma
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Extra Anni di pontificato


Cardinali creazioni
Proclamazioni
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Eventi

Iter verso la canonizzazione

Venerato da Chiesa cattolica
Venerabile il [[]]
Beatificazione 25 settembre 1988, da Giovanni Paolo II
Canonizzazione [[]]
Ricorrenza 23 novembre
Altre ricorrenze
Santuario principale Città del Messico
Attributi
Devozioni particolari {{{devozioni}}}
Patrono di
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Incoronazione
Investitura
Predecessore
Erede
Successore
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Onorificenze
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Altri titoli
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Coniuge

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Consorte

Consorte di

Figli
Religione {{{religione}}}
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Collegamenti esterni
Scheda su santiebeati.it
Invito all'ascolto
Firma autografa
[[File:{{{FirmaAutografa}}}|250px]]
Tutti-i-santi.jpgNel Martirologio Romano, 23 novembre, n. 14:
« Nel villaggio di Guadalupe nel territorio di Zacatecas in Messico, beato Michele Agostino Pro, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che, in tempo di persecuzione contro la Chiesa, condannato a morte senza processo come complice di un delitto, subì il martirio che aveva ardentemente desiderato. »
(Santo di venerazione particolare o locale)

Beato Michele Agostino Pro (Guadalupe, 13 gennaio 1892; † Città del Messico, 23 novembre 1927) è stato un presbitero messicano.

Il beato martire qualche istante prima della fucilazione

Nascita e vocazione

Miguel Agostino Pro crebbe in una famiglia numerosa, con sei fratelli e sei sorelle. Ispirato da due delle sue sorelle, che intrapresero la vita religiosa, Miguel, all'età di vent'anni, pregò Dio per riconoscere quello che il Signore voleva dalla sua vita. Proprio per il suo grande amor di Dio e il desiderio di seguire la sua volontà, Miguel fece l'ingresso nella Compagnia di Gesù presso la Hacienda El Llano; così offrì la sua vita al servizio di Dio.

Sotto il terrore del regime Messicano ai tempi del governo di Calles e Obergon, sorsero anni di persecuzione politica e religiosa. In questo periodo, la famiglia Pro soffrì una profonde tribolazioni, di natura economica e personale. Nel frattempo Miguel e gli altri novizi dell'ordine dei Gesuiti erano seriamente minacciati dalla persecuzione, perché i sacerdoti e i religiosi erano tra gli obiettivi del regime del terrore messicano. Dopo una visita nelle case religiose, il superiore ordinò a Miguel e agli altri novizi di fuggire dal Messico.

Nel turbine della persecuzione

Le peregrinazioni di Miguel lo portarono in diversi paesi, U.S.A., Grenada e Belgio: qui fu ordinato presbitero il 21 agosto 1925. Quantunque la sua famiglia non potesse essere fisicamente presente alla cerimoni di ordinazione, Padre Pro era spiritualmente vicino a loro, benedicendo le loro fotografie personali una a una.

Sebbene egli cercasse di nascondere a coloro che lo circondavano il suo travaglio interno e fisico, Padre Pro soffrì una grande pena per la preoccupazione costante che egli sentiva per la sua famiglia: il disagio fisico era causato da disturbi allo stomaco.

Quelli che gli erano vicini potevano notare che ogni qual volta egli si sentiva male -fisicamente o emotivamente- si sforzava di sembrare più allegro. La salute fisica di P. Pro andò peggiorando, nonostante diverse operazioni. Sperando di aiutarlo a salvaguardare la sua salute, i suoi superiori acconsentirono al suo desiderio di ritornare a casa, in Messico, per essere più vicino alla sua famiglia. I suoi superiori non si erano ben resi conto della forza della persecuzione che la Chiesa doveva fronteggiare in Messico.

Nel 1926, Padre Pro ritornò in Messico, al culmine del terrore politico militare, in un periodo in cui la Chiesa cattolica si trovava a fronteggiare una grande opposizione, a motivo degli emendamenti costituzionali e della legislazione che limitava severamente il culto pubblico.

E così cominciò l'avventura del Padre Pro per Dio, sfuggendo alla polizia in ogni possibile modo, esercitando il suo ministero in soccorso delle necessità fisiche e spirituali della gente, dei poveri, dei ricchi, dei lavoratori, degli uomini di affari e persino dei comunisti e dei socialisti (che erano spesso apertamente ostili ai sacerdoti e alla Chiesa).

Viaggiando in bicicletta, travestendosi ora da meccanico, ora da servo e anche da acculturato uomo di mondo, era in grado di assolvere il suo dovere per la sua gente, come amministrare i sacramenti a attendere ai bisogni delle persone. Nello spirito dell'apostolo Paolo egli si fece, alla lettera, tutto a tutti per guadagnarli a Cristo. Egli guadagnò anime a Cristo con la preghiera, col buon umore e fornendo aiuti materiali e spirituali.

Mentre i soldati e i poliziotti avevano i loro fucili e le loro pistole, Padre Pro aveva la più potente di tutte le armi: si appoggiava al Crocifisso: "Qui sta la mia arma", diceva, "insieme a essa non ho paura di nessuno"

Il martirio

Nel novembre 1927, Padre Pro, insieme a suo fratello Umberto, divenne il capro espiatorio per un attentato al corrotto futuro presidente. Le autorità governative trovarono il modo di collegare i fratelli Pro al crimine, per mezzo di un auto usata che era appartenuta a uno dei fratelli.

Sebbene le autorità fossero ben consapevoli del fatto che i due fratelli erano innocenti, furono entrambi condannati per essere presbiteri cattolici. Poiché i presbiteri cattolici erano considerati i nemici del regime corrotto, il governo ebbe una motivazione in più per coinvolgere Miguel e suo fratello; erano un capro espiatorio perfetto. Senza il dovuto processo e senza alcun dibattimento, i fratelli vennero condannati a morte.

La mattina del 23 novembre 1927, Padre Pro fu condotto dalla sua cella al luogo dell'esecuzione. La polizia non si curò minimamente di un uomo che si trovava oltre il muro, a tiro d'orecchio e che gridava che aveva in mano un'ingiunzione che avrebbe liberato i fratelli.

Le grida furono ignorate e Padre Pro fu condotto a morte. E mentre veniva condotto all'esecuzione, uno dei poliziotti responsabili della sua cattura gli chiese il suo perdono, che il Padre Pro benevolmente gli concesse.

Pochi minuti prima di essere fucilato, Padre Pro chiese, come ultimo desiderio, di poter pregare.

Si inginocchiò sulla dura terra, vicino al muro crivellato di proiettili, dove egli avrebbe subito la pena capitale. Sottomettendosi alla divina volontà, accettò la sua sorte, si alzò in piedi, distesa le braccia a croce preparandosi a morire.

Dopo aver perdonato gli esecutori della condanna, quando componenti del plotone alzarono i loro fucili, Padre Pro gridò, con voce chiara e forte, Viva Cristo Re!

Voci correlate