Augustinum Hipponensem
Augustinum Hipponensem Lettera apostolica di Giovanni Paolo II | |
Data |
28 agosto 1986 (VIII di pontificato) |
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Traduzione del titolo | Agostino d'Ippona |
Argomenti trattati | XVI centenario della conversione e del battesimo di Sant'Agostino d'Ippona |
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Augustinum Hipponensem è il titolo di una lettera apostolica di Giovanni Paolo II, pubblicata il 28 agosto 1986, nel XVI centenario della conversione e del battesimo di Sant'Agostino d'Ippona.
Stima dei Concili e Pontefici passati e presenti verso Agostino: Agostino di Ippona, da quando appena un anno dopo la morte, fu annoverato da Celestino I, tra i "maestri migliori della Chiesa", ha continuato ad essere presente, nella vita della Chiesa e nella mente e nella cultura di tutto l'Occidente. Motivo del documento pontificio: la felice circostanza del XVI centenario della sua conversione e del suo battesimo.
La conversione
Conosciamo il cammino della sua conversione dalle sue stesse opere, quelle cioè che egli scrisse nella solitudine di Cassiciaco prima del battesimo e soprattutto dalle celebri Confessioni, un'opera che è insieme autobiografia, filosofia, teologia, mistica e poesia, in cui uomini sitibondi di verità e consapevoli dei propri limiti hanno ritrovato e ritrovano se stessi.
Conversione di un grande pensatore... Si sa che questa conversione ebbe un cammino del tutto singolare, perché non si trattò di una conquista della fede cattolica, ma di una riconquista. Egli l'aveva perduta, convinto, nel perderla, di non abbandonare Cristo, bensì solo la Chiesa.
Infatti era stato educato cristianamente da sua madre, la pia e santa Monica. In forza di quest'educazione Agostino restò sempre non solo un credente in Dio, nella provvidenza e nella vita futura, ma anche un credente in Cristo, il cui nome "aveva bevuto", com'egli dice, "con il latte materno". Tornato alla fede della Chiesa cattolica, egli dirà di essere tornato "alla religione che mi era stata istillata da bambino e fatta entrare fin nelle midolla". Chi vuol capire la sua evoluzione interiore e un aspetto, forse il più profondo, della sua personalità e del suo pensiero, deve partire da questa constatazione.
Conversione da tre errori: Razionalismo. Il primo errore consisteva dunque in un certo spirito razionalista per cui si persuase "di dover seguire non coloro che comandano di credere, ma coloro che insegnano la verità". Con questo spirito lesse le Sacre Scritture e si sentì respinto dai misteri che esse contengono, misteri che occorre accettare con umile fede. Dal materialismo, scetticismo. Fu allora che s'imbatté nei manichei, li ascoltò, li seguì. Ragione principale: la promessa "di mettere da parte la terribile autorità e di condurre a Dio e liberare dagli errori i propri discepoli con la pura e semplice ragione".
Superamento delle difficoltà: da questo pericoloso atteggiamento lo sollevò lo stesso amore per la verità che albergava sempre nel suo animo. Si convinse che non è possibile che alla mente umana sia chiusa la via della verità; se non la trova, è perché ignora e disprezza il metodo per cercarla. Comprese che la fede per essere sicura richiede un'autorità divina, che questa autorità non è altro che quella di Cristo, sommo Maestro - di questo Agostino non aveva mai dubitato -, che l'autorità di Cristo si ritrova nelle Sacre Scritture30, garantite dall'autorità della Chiesa cattolica.
La questione del male: con l'aiuto dei filosofi platonici si liberò dalla concezione materialistica dell'essere che aveva assorbito dal manicheismo.
Attraverso Cristo Agostino ritorna alla fede cattolica. Nelle lettere di Paolo scoperse Cristo Maestro, come sempre lo aveva venerato, ma anche Cristo Redentore, Verbo incarnato, unico Mediatore tra Dio e gli uomini. Allora gli apparve in tutto il suo splendore "il volto della filosofia": era la filosofia di Paolo che ha per centro Cristo, "potenza e sapienza di Dio" (1Cor 1,24 ), e che ha altri centri: la fede, l'umiltà, la grazia; quella "filosofia" che è insieme sapienza e grazia, per cui diventa possibile non solo conoscere la patria ma anche raggiungerla.
Abbattimento degli ostacoli contro l'ideale monastico
Senonché il cammino non era ancora concluso. Nell'animo di Agostino rinasceva un antico proposito, quello di consacrarsi totalmente alla sapienza una volta che l'avesse trovata, di abbandonare cioè, per possederla, ogni terrena speranza. A prendere questa decisione, che corrispondeva alle sue aspirazioni più profonde ma contrastava con le abitudini più radicate, lo stimolava l'esempio di Antonio e dei monaci che si andavano diffondendo anche nella Chiesa d'Occidente di cui venne fortuitamente a conoscenza.
Progresso dopo la conversione
Tornato a Milano, s'iscrisse tra i catecumeni, e nella notte del Sabato Santo, 23-24 aprile del 387, fu battezzato dal Vescovo Sant'Ambrogio: Ambrogio dalla cui predicazione aveva tanto imparato. Dopo il battesimo l'unico desiderio di Agostino fu quello di trovare un luogo adatto dove poter vivere insieme con i suoi amici secondo il "santo proposito" di servire il Signore. Lo trovò in Africa, a Tagaste, suo paese natale, dove giunse dopo la morte della madre ad Ostia Tiberina e la permanenza di alcuni mesi a Roma per studiare il movimento monastico. Giunto a Tagaste, "rinunciò ai suoi beni e, insieme con quelli che erano uniti a lui, viveva per Dio nei digiuni, nelle preghiere, nelle buone opere, meditando giorno e notte la legge del Signore".
Diventò, dopo cinque anni, vescovo di Ippona, trasformò l'episcopio in monastero: il monasterium clericorum. L'ideale concepito al momento della conversione non lo lasciò cadere mai, neppure da sacerdote e da vescovo. Scrisse anche una regola ad servos Dei, che tanta parte ebbe ed ha nella storia della vita religiosa della Chiesa occidentale.
Il dottore
Costruttore della filosofia cristiana: l'orientamento della ricerca, che l'amore incessante nutriva, ebbe due coordinate: l'approfondimento della fede cattolica e la sua difesa contro coloro che la negavano, come i manichei e i pagani, o ne davano interpretazioni errate, come i donatisti, i pelagiani, gli ariani.
Ragione e fede
Relazioni tra la ragione e la fede. Lo sforzo intellettuale e pastorale di Agostino fu quello di mostrare senza ombra di dubbio, che "le due forze che ci portano a conoscere", devono cooperare insieme. Egli ascoltò la fede, ma non esaltò meno la ragione, dando a ciascuna il suo primato, o di tempo o d'importanza. Disse a tutti il crede ut intellegas, ma ripeté anche l'intellege ut credas. Fede e cultura. Il discorso sugli occhi della fede sfocia in quello della credibilità, di cui Agostino parla spesso adducendone i motivi, quasi a confermare la consapevolezza con cui era tornato egli stesso alla fede cattolica.
Dio e l'uomo
La grande passione di Agostino: conoscere Dio. L'altro grande binomio che Agostino approfondì senza posa è Dio e l'uomo. Liberatosi, come ho detto sopra, dal materialismo che gl'impediva di avere un'esatta nozione di Dio - e quindi la vera nozione dell'uomo -, fissò in questo binomio i grandi temi della sua ricerca e li studiò sempre insieme: l'uomo pensando a Dio, Dio pensando all'uomo, che ne è l'immagine.
Ma dove il genio di Agostino si esercitò maggiormente fu nello studiare la presenza di Dio nell'uomo, presenza che è insieme profonda e misteriosa. Egli trova Dio, "l'interno-eterno", remotissimo e presentissimo: perché remoto l'uomo lo cerca, perché presente lo conosce e lo trova. Dio è presente come "sostanza creatrice del mondo" come verità illuminatrice, come amore che attrae più intimo di quanto vi è nell'uomo di più intimo e più alto di quanto vi è di più alto.
La grandezza e la miseria dell'uomo si scoprono nella interiorità. Da questo rapporto costituzionale dell'uomo con Dio dipende l'insistente richiamo agostiniano all'interiorità. "Torna in te stesso; nell'uomo interiore abita la verità; e se troverai che la tua natura è mutabile, trascendi te stesso" per trovare Dio, fonte della luce che illumina la mente. Insieme alla verità c'è nell'uomo interiore la misteriosa capacità d'amare, la quale, come un peso, - è questa la celebre metafora agostiniana - lo porta al di fuori di sé, verso gli altri e soprattutto verso l'Altro, cioè Dio. Il peso dell'amore lo rende costituzionalmente sociale, al punto che "nessuno", come scrive Agostino, "è tanto sociale per natura quanto l'uomo".
Cristo e la Chiesa
La Trinità: Egli ha parlato a lungo ed egregiamente nella grande opera sulla Trinità e nei discorsi sul mistero Trinitario tracciando la strada alla teologia posteriore. Ha insistito insieme sull'uguaglianza e sulla distinzione delle Persone divine illustrandole con la dottrina delle relazioni: Cristo Dio uguale al Padre. Ma parlando della Trinità tiene sempre lo sguardo fisso nel Cristo rivelatore del Padre, e nell'opera della salvezza. Da quando, poco prima della conversione, comprese i termini del mistero del Verbo incarnato, non cessò mai di approfondirlo riassumendo il suo pensiero in formule tanto piene ed efficaci da preannunziare quella di Calcedonia.
Cristo Dio-uomo, unico Mediatore e Redentore: Cristo, uomo-Dio, è l'unico Mediatore tra Dio giusto e immortale e gli uomini mortali e peccatori, perché è mortale e giusto insieme; è pertanto la via universale della libertà e della salvezza. La mediazione di Cristo si compie nella redenzione, che non consiste solo nell'esempio di giustizia, ma prima di tutto nel sacrificio di riconciliazione che fu verissimo, liberissimo, perfettissimo. La redenzione di Cristo ha come carattere essenziale l'universalità, la quale dimostra l'universalità del peccato.
Cristo totale, capo e corpo. Poiché unico mediatore e redentore degli uomini, Cristo è capo della Chiesa. Cristo e la Chiesa sono una sola persona mistica, il Cristo totale. Altra verità fondamentale è quella dello Spirito Santo anima del corpo mistico - "ciò che è l'anima per il corpo, questo stesso è lo Spirito Santo per il corpo di Cristo che è la Chiesa" -, dello Spirito Santo principio della comunione che unisce i fedeli tra loro e alla Trinità.
Agostino svolse in molte forme una nozione sulla quale si è soffermato con particolare compiacenza anche il recente Concilio: la Chiesa comunione. Ne parla in tre modi diversi e convergenti: la comunione dei sacramenti o realtà istituzionale fondata da Cristo sul fondamento degli Apostoli, dimostrando che ha per centro la "Sede di Pietro", "nella quale fu sempre in vigore il primato della Cattedra apostolica"; lacomunione dei santi o realtà spirituale che unisce tutti i giusti da Abele fino alla consumazione dei secoli; la comunione dei beati o realtà escatologica che raccoglie tutti coloro che hanno raggiunto la salvezza, cioè la Chiesa "senza macchia e senza ruga" (Ef 5,27 ).
Altro tema caro all'ecclesiologia agostiniana fu quello della Chiesa madre e maestra.
Libertà e grazia
Come conciliare libertà e grazia. Egli sostenne sempre che la libertà è un caposaldo dell'antropologia cristiana. "Il libero arbitrio non viene tolto, perché viene aiutato, ma viene aiutato perché non viene tolto". È celebre del resto il principio agostiniano: "Chi ti ha creato senza di te, non ti giustifica senza di te. Dunque, ha creato chi non sapeva, non giustifica chi non vuole".
Necessità della grazia: d'altra parte Agostino insiste sulla necessità della grazia, che è insieme necessità della preghiera. A chi diceva che Dio non comanda l'impossibile e perciò la grazia non è necessaria, risponde che sì, è vero, "Dio non comanda l'impossibile, ma comandando ti ammonisce di fare ciò che puoi e di chiedere ciò che non puoi", e aiuta l'uomo perché possa, Egli che "non abbandona nessuno se non è abbandonato".
Il grande bene della libertà: sulla grazia che fortifica la volontà insiste nel dire che essa opera per mezzo dell'amore e pertanto rende invitta la volontà contro il male senza togliere la possibilità di non volere. Non meno insistente è l'insegnamento di Agostino sulla libertà dal tempo, libertà che Cristo, Verbo eterno, è venuto a portarci entrando nel mondo con l'incarnazione:
Amore sociale, giustizia e pace: La libertà cristiana viene vista e studiata nella Chiesa, la Città di Dio, che ne mostra gli effetti e, sostenuta dalla grazia divina, li partecipa, per quanto dipende da lei, a tutti gli uomini. E fondata infatti sull'amore "sociale" che abbraccia tutti gli uomini e vuole unirli nella giustizia e nella pace; al contrario della città degli iniqui che divide e pone l'uno contro l'altro perché fondata sull'amore "privato".
La carità e le ascensioni dello spirito
Egli fu un uomo di preghiera, anzi, si direbbe, un uomo fatto di preghiera - basti ricordare le celebri Confessioni scritte sotto forma di una lettera a Dio -, e ridisse a tutti con incredibile perseveranza la necessità della preghiera. La carità. Se le beatitudini evangeliche costituiscono il clima supernaturale in cui il cristiano deve vivere, i doni dello Spirito Santo danno il tocco soprannaturale della grazia che rende possibile quel clima. Se si aggiungono le sue esperienze all'acume teologico e psicologico di Agostino e alla sua rara capacità di scrittore, si comprende perché abbia descritto con tanta precisione le ascensioni mistiche, tanto che qualcuno ha potuto chiamarlo il principe dei mistici. Contemplazione e azione. Nonostante l'amore predominante per la contemplazione, Agostino accettò la sarcina dell'episcopato e insegnò agli altri a fare altrettanto rispondendo così, con umiltà, alla chiamata della Chiesa madre, ma insegnò anche con l'esempio e gli scritti come conservare tra le occupazioni dell'attività pastorale il gusto della preghiera e della contemplazione.
Il pastore
Il vescovo-servo. Non sarà inopportuno dedicare un ricordo all'azione pastorale di questo vescovo che nessuno ricuserà di annoverare tra i più grandi pastori della Chiesa. Anche quest'azione ebbe origine dalla conversione, perché da essa nacque il proposito di servire solo Dio. I campi di tale azione furono tre, che si andavano allargando come tre cerchi concentrici: la Chiesa locale d'Ippona, non grande ma inquieta e bisognosa; la Chiesa africana, miseramente divisa tra cattolici e donatisti; la Chiesa universale, combattuta dal paganesimo e dal manicheismo e attraversata da movimenti ereticali.
Agostino agli uomini di oggi
Agostino maestro: insegna a chi cerca la verità. Insegna a non disperare di trovarla.
Ai teologi, che meritatamente faticano per approfondire il contenuto della fede, egli lascia l'immenso patrimonio del suo pensiero, nel complesso sempre valido, e particolarmente il metodo teologico cui restò incrollabilmente fedele. Sappiamo che questo metodo comportava l'adesione piena all'autorità della fede, che, una nella sua origine - l'autorità di Cristo -, si manifesta attraverso la Scrittura, la Tradizione, la Chiesa; l'ardente desiderio di capire la propria fede - "ama molto di capire" dice agli altri ed applica a se stesso_; il senso profondo del mistero - "è migliore la fedele ignoranza", esclama, "che la temeraria scienza" -; la convinta sicurezza che la dottrina cristiana viene da Dio ed ha pertanto una sua originalità che non solo dev'essere conservata integralmente - è questa la "verginità" della fede di cui si parlava -, ma deve servire anche come misura per giudicare filosofie ad essa conformi o difformi.
Ai pensatori, agli scienziati, ai governanti. Per continuare ancora un poco sugli insegnamenti agostiniani agli uomini d'oggi, egli ricorda ai pensatori il duplice oggetto d'indagine che deve occupare la mente umana: Dio e l'uomo. Agli uomini, poi, che hanno in mano le sorti dei popoli raccomanda di amare soprattutto la pace e di promuoverla non con la lotta ma con i metodi di pace, perché, scrive sapientemente, "è titolo più grande di gloria uccidere la guerra con la parola che gli uomini con la spada, e procurare o mantenere la pace con la pace, non con la guerra".
Ai giovani. Egli ricorda ad essi il suo grande trinomio: verità, amore, libertà; tre beni supremi che stanno insieme; e li invita ad amare la bellezza, egli che ne fu un grande innamorato. Non solo la bellezza dei corpi che potrebbe far dimenticare quella dello spirito, né solo quella dell'arte, ma la bellezza interiore della virtù e soprattutto la bellezza eterna di Dio, da cui la bellezza dei corpi, dell'arte e della virtù discende; di Dio che è "la bellezza di ogni bellezza", "fondamento, principio e ordinatore del bene e della bellezza di tutti gli esseri che sono buoni e belli". Agostino, ricordando gli anni precedenti la sua conversione, si rammarica amaramente di aver amato tardi questa "bellezza tanto antica e tanto nuova", e vuole che i giovani non lo seguano in questo, ma che, amandola sempre e soprattutto, conservino perpetuamente in essa lo splendore interiore della loro giovinezza.
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