Pelagio
Pelagio Eretico | |
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Fondatore del pelagianesimo | |
Età alla morte | 66 anni |
Nascita | Britannia 354 |
Morte | Palestina 420 |
Pelagio (Britannia, 354; † Palestina, 420) è stato un eretico britannico di lingua latina.
Biografia
Nome latinizzato di Morgan, "marino", fu un monaco britannico o irlandese nato intorno al 354. Era, secondo descrizioni di san Girolamo e di Marius Mercator, grande e corpulento, con ampie spalle, fronte prominente, collo taurino e andatura da tartaruga. Giunto a Roma intorno all'anno 400, vi trovò grande accoglienza grazie al suo zelo di predicatore e alla sua devozione. A causa della sua adesione all'insegnamento di Teodoro di Mopsuestia, che non ammetteva la trasmissione del peccato originale fu sospettato di eresia.
Strinse amicizia con l'avvocato Celestio, con il quale si rifugiò, in seguito al sacco di Roma del 410, dapprima ad Ippona, nel Nordafrica, e poi a Cartagine.Qui cominciò a predicare le sue dottrine con enorme successo, conquistando nuovi compagni come Giuliano da Eclano che diffusero il suo pensiero anche in oriente e in Palestina. A poco a poco elaborò la dottrina detta appunto Pelagianesimo.
Era un uomo di grande talento, oratore, scrittore ed esegeta molto apprezzato, ma soprattutto un moralista severo e intransigente, predicava infatti:
- il distacco dalle ricchezze,
- la povertà e la castità.
I punti chiave del suo insegnamento erano i seguenti:
- negazione del peccato originale. Secondo l'opinione di Pelagio la caduta di Adamo ed Eva non aveva avuto conseguenze personali sui loro discendenti. Per costoro erano stati soltanto un cattivo esempio, senza la trasmissione della colpa;
- tutti gli uomini nascono innocenti e possono macchiarsi soltanto di colpe personali;
- Cristo con il suo sacrificio non ha cancellato nessun peccato ma ha dato semplicemente un buon esempio all'umanità;
- i bambini conseguono la beatitudine eterna anche se muoiono senza battesimo;
- per salvarsi non occorre nessuna Grazia speciale ma soltanto buona volontà e opere buone;
- la Grazia di Dio non ci viene data gratuitamente, ma secondo i nostri meriti;
Successivamente, Pelagio si trasferì in Palestina, dove scrisse vari testi e lettere, in gran parte pervenuti in frammenti, attraverso citazioni di Agostino.
Nel 415, san Girolamo e Paolo Orosio, discepolo di sant'Agostino, chiesero la sua condanna nel sinodo di Gerusalemme, ma il vescovo Giovanni, favorevole al Pelagianesimo, e la stessa difesa di Pelagio, fecero sì che il sinodo non prendesse alcuna decisione.
Lo stesso risultato si ebbe nel sinodo di Diospolis, convocato in seguito alla denuncia dei vescovi francesi Ero di Arles e Lazzaro di Aix. L'anno seguente tuttavia furono convocati due sinodi, a Cartagine e a Milevi in Numidia, che condannarono il Pelagianesimo e gli atti dei concili, insieme con una lettera di Agostino, furono inviati a Papa Innocenzo I (401-417) che in un sinodo a Roma nel 417 condannò di nuovo il Pelagianesimo.
Dopo la morte di Innocenzo I, il successore Zosimo (417-418) venne in un primo tempo convinto da Celestio dell'ortodossia del Pelagianesimo, successivamente, nel 418, convocò un sinodo a Cartagine, nel quale i 200 vescovi presenti condannarono nuovamente il Pelagianesimo stabilendo nove dogmi:
- la morte non deriva da Adamo per necessità fisica ma attraverso il peccato;
- i bambini appena nati devono essere battezzati a causa del peccato originale;
- la grazia giustificante serve non solo a evitare i peccati passati ma anche a evitare quelli futuri;
- la grazia di Cristo non solo permette di conoscere i comandamenti di Dio ma dà anche forza alla volontà di eseguirli;
- senza la grazia di Dio non solo è difficile ma assolutamente impossibile realizzare opere buone;
- non solo per umiltà ma con tutta verità dobbiamo confessarci peccatori;
- i santi riferiscono il dettato di Nostro Signore, "perdona le nostre offese", non solo agli altri ma anche a loro stessi;
- i santi pronunciano la stessa supplica non solo per umiltà ma con tutta verità.
- i bambini che muoiono senza battesimo non vanno in un luogo intermedio perché la mancanza del battesimo esclude tanto dal Regno dei Cieli come dalla vita eterna.
Il nono canone fu poi escluso dal novero degli articoli di fede della Chiesa.
Anche l'imperatore Flavio Onorio (395-423) emanò nel 418 un ordine di espulsione dal territorio per i pelagiani e per coloro che non approvassero l'Epistola tractoria di condanna inviata da papa Zosimo a tutti i vescovi: tra gli altri, furono esiliati Celestio e Giuliano di Eclano.
Il loro principale avversario, sul piano teologico, fu Sant'Agostino che fu stimolato proprio dalla lotta a Pelagio nel formulare la sua dottrina sulla necessità ed efficacia della Grazia. Pelagio fu poi ancora condannato nel 431 nel Concilio ecumenico di Efeso. In oriente i pelagiani cercarono di sfruttare a loro favore il pensiero di alcuni Padri greci e la dottrina di Nestorio ma vennero anche lì scomunicati.
Pelagio morì in Palestina o forse ad Alessandria d'Egitto, intorno all'anno 427.
Opere
Per approfondire, vedi la voce Pelagianesimo |
- De libero arbitrio
- De natura; De Trinitate
- Epistulae ad Augustinum
- Epistula ad viduam
- Epistula ad Paulinum Nolanum
- Epistula ad Demetriadem
- Epistula ad Constantium
- Epistula ad Innocentium, exhibens libellum fidei
- Expositiones XIII epistolarum Pauli
- Liber Testimoniorum seu Eclogárum
La Lettera a Demetriade
Uomo rigoroso fino all'ascetismo, secondo la testimonianza dei suoi stessi avversari, la sua concezione, di impronta classica, può essere compendiata dal seguente passo:
« | Pur avendolo creato debole e inerme esteriormente, Dio creò l’uomo forte interiormente, facendogli dono della ragione e della saggezza, e non volle che fosse un cieco esecutore della sua volontà, ma che fosse libero nel compiere il bene o il male. Se ci pensi bene, ti apparirà evidente come, proprio per questo, la condizione dell’uomo sia più alta e dignitosa, dove sembra e si crede invece più misera. Nell’essere capace di distinguere la duplice via del bene e del male, nella libertà di scegliere l’una o l’altra sta il suo vanto di essere razionale. Non vi sarebbe alcun merito nel perseverare nel bene, se egli non avesse anche la possibilità di compiere il male. Per cui è un bene che possiamo commettere anche il male; perché ciò rende più bella la scelta di fare il bene. Sembra che molti vogliano rimproverare il Signore per la sua opera, dicendo che avrebbe dovuto creare l’uomo incapace di fare il male: non sapendo emendare la loro vita, costoro vogliono emendare la natura! Invece la fondamentale bontà di questa natura è stata impressa in tutti, senza eccezioni, tanto che anche fra i pagani, che non conoscono il culto di Dio, essa affiora e non di rado si mostra palesemente. Di quanti filosofi, infatti, abbiamo sentito dire o visto con i nostri occhi che sono vissuti casti e astinenti, modesti, benevoli, sprezzanti degli onori del mondo e dei piaceri, amanti della giustizia? Di dove vennero loro queste virtù, se non dalla natura stessa? Fa’ dunque che nessuno ti superi nella vita buona e virtuosa: tutto questo è in tuo potere e spetta a te sola, poiché non ti può venire dal di fuori, ma germina e sorge dal tuo cuore » | |
(Lettera a Demetriade)
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