Umiliati
Gli Umiliati fu un movimento religioso che fiorì in Lombardia e nel nord Italia durante lo sviluppo economico del XII - XIII secolo, in pieno Medioevo. Fu uno dei molti movimenti pauperistici, sorti in quel periodo, che propugnavano il ritorno ad una spiritualità più austera, una vita frugale, in contrasto con i costumi rilassati e la ricchezza diffusa, spesso ostentata anche dal clero stesso.
Gli Umiliati si suddividevano in tre gruppi:
- il primo era costituito dai chierici. Praticavano il celibato e vivevano in una casa comune, come in una tipica comunità monastica.
- il secondo gruppo erano i laici, uomini e donne organizzati in gruppi di vita comunitaria, che non prendevano formalmente i voti, potevano sposarsi e vivevano in comune alcuni momenti della giornata, come, ad esempio, i pasti.
- il terzo gruppo erano i laici che praticavano una forma limitata di povertà volontaria.
Tutti e tre i gruppi si impegnavano a dare ai poveri quello che eccedeva il normale fabbisogno. Le persone che aderirono al movimento erano ricchi cittadini, nobili, religiosi ed altre persone dei ceti più abbienti, che scelsero l'austerità di vita, la sobrietà e la frugalità come stile personale. Il movimento degli Umiliati fu, infatti, una reazione al materialismo, al privilegio ed alla ricchezza senza precedenti che si era diffusa nelle città con lo sviluppo economico dell'Italia del Nord.
Il primo gruppo degli Umiliati divenne un ordine religioso (Ordo Humiliatorum, sigla O. Hum.) con regola approvata dal papa Innocenzo III nel 1201: tra gli esponenti più illustri dell'ordine si ricordano Luca Manzoli di Firenze[1], che fu vescovo di Fiesole e venne creato cardinale sotto papa Gregorio XII, e beato Giacomo Pasquali di Siena, che arrivò fino ai più alti gradi dell'ordine e venne nominato cardinale da papa Giovanni XXII[2] e morì poco prima che la notizia giungesse da Avignone[3].
Essi si occupavano principalmente della lavorazione della lana, fondarono fiorenti manifatture tessili, accumulando ingenti guadagni, con i quali finanziavano attività bancarie: ad esempio nel 1248, a garanzia di un prestito concesso al capitolo del duomo di Monza, il convento monzese di Sant'Agata ricevette in pegno la Corona Ferrea e altri beni del tesoro del Duomo. La corona fu riscattata soltanto nel 1319.
Gli Umiliati tentarono di stabilire un nuovo stile di vita per tutti, proponendo modelli di vita quotidiana molto più restrittivi nelle città del nord Italia dove si diffusero; infatti promossero e diedero il via ad una serie di leggi che avevano lo scopo di proibire diverse spese di lusso e voluttuarie, in particolare per l'abbigliamento, le leggi suntuarie, che vennero adottate in tutte le città-stato italiane a partire dal 1300.
La loro più importante casa fu l'Abbazia dei Santi Pietro e Paolo in Viboldone, alla immediata periferia di Milano[4], ma la loro presenza si estendeva a tutto il nord italia, in particolare nel lodigiano[5].
Nel XVI secolo, con la Controriforma, i movimenti di questo tipo, che potevano facilmente scivolare su posizioni eretiche o di opposizione di principio ai privilegi della Chiesa, vennero scoraggiati. Gli Umiliati in particolare erano sospettati di calvinismo: essi entrarono quindi in contrasto sempre più acceso con l'arcivescovo di Milano, san Carlo Borromeo, fino a che un membro dell'ordine, Gerolamo Donato detto il Farina, tentò addirittura di assassinarlo con un colpo di archibugio alle spalle. Il colpo mancò il bersaglio (data la fama di santità che già circondava il Borromeo, il fatto fu considerato un segno miracoloso della protezione divina nei suoi confronti), ma l'attentato provocò una dura repressione e l'ordine fu soppresso il 7 febbraio 1571 con una bolla di papa Pio V.
Le comunità umiliate femminili, invece, per lo più sottoposte alla regola benedettina, furono spesso il nucleo da cui si svilupparono, soprattutto nel XV secolo, veri e propri monasteri di clausura. Esse furono soppresse solo nel XVIII e nel XIX secolo.
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