Utente:Davide Bolis/Sororità
Il termine sororità (dal latino sororitas) è un sostantivo femminile corrispondente al sostantivo maschile fraternità. Non è molto comune nella lingua italiana e non è presente nei dizionari scolastici, ma anche nell'Opera in ventiquattro volumi del Grande Dizionario della Lingua Italiana (GDLI) di Salvatore Battaglia.
Cenni storici
Nell'archivio dell'Accademia della Crusca[1] esiste una lettera dattiloscritta del 26 febbraio 1955 del professore Vittorio Ceroni[2], indirizzata allo storico della lingua Bruno Migliorini[3], in cui chiede chiarimenti sul termine sorellanza[4].
La risposta del 9 marzo 1955 specifica che il termine sorellanza è utilizzato quasi sempre scherzosamente, anche se oggi non è più così. Ceroni nella sua richiesta accenna anche a consororità e Migliorini ne approfitta per soffermarsi sulla parola sororità, termine usato raramente nelle lingue anglosassoni (sorority), ma che non trova illegittimo in quanto già il latino medievale aveva sororitas. Dei termini citati nella lettera da Migliorini oggi solo uno fa parte del linguaggio comune, ossia sorellanza.
Nei collegamenti esterni alleghiamo la corrispondenza citata tratta dal sito ufficiale dell'Accademia della Crusca.
La parola sorellanza entra nel linguaggio comune nel 1970 quando la scrittrice Kate Millett[5] la propose per ottenere un’unione sociale tra le donne al di là delle differenze di classe, religione o gruppi etnici. Con lo slogan Women of the world, unite!, la Millett conia il termine sisterhood, ossia sorellanza per incoraggiare le donne come gruppo per generare un cambiamento sociale di mentalità.
In questi ultimi quarant'anni, a preparare il cambio di mentalità o l'accostamento dei termini fraternità/sororità, sottolineando "sororità" quale sostantivo femminile di fraternità, sono stati, in particolare, gli studi di alcune donne, laiche e religiose, tra cui la teologa Cettina Militello[6] o la sociologa religiosa Enrica Rosanna F.M.A.[7]. Ne hanno fatto oggetto di ricerca, di studio, di narrazione dell'esperienza. Anche se il concetto si ritrova già a partire dal mondo classico e la parola sororità compare come primo approccio nel 1955, entra però nel linguaggio comune solo agli inizi degli anni Ottanta. La sua scelta potrebbe essere giustificata in quanto Papa Francesco l'ha adoperata il 31 maggio 2020 nel Messaggio per il 50º anniversario della promulgazione del "Rito della Consacrazione delle Vergini. Alcune donne hanno considerato la "sororità" nella prospettiva della fede per creare un ambiente di sororità anche con i fratelli.
Di sororità ne ha parlato nel 1977, Elisabeth Moltmann-Wendel[8] in Freiheit, Gleichheit, Schwesterlichkeit. Zur Emanzipation der Frau in Kirche und Gesellschaft (Libertà, uguaglianza, sorellanza. Sull'emancipazione della donna nella Chiesa e nella società), pubblicato nel 1979 con il titolo Libertà uguaglianza, sororità – Per l’emancipazione della donna. Hans Küng[9] nel libro La donna nel cristianesimo, pubblicato a Brescia nel 2005 e in Cristianesimo. Essenza e storia a Milano nel 1994. Cettina Militello in Fraternità e sororità. Sfida per la Chiesa e la liturgia pubblicato ad Assisi nel 2021.
Visione evangelica
I personaggi biblici di Marta e Maria, di Febe, manifestano una sororità incarnata nel quotidiano.
Marta e Maria di Betania
Nel Nuovo Testamento, Marta e Maria di Betania anche se sorelle di sangue, sono legate tra loro da un vincolo di amicizia e di amore verso Gesù. Molti autori affermano che Marta e Maria esprimono in un'unica persona le due dimensioni della vita interiore: la preghiera e l'azione. Queste due sorelle, o quest'unica persona, creano un'atmosfera di sororità e di relazione nei confronti di Gesù:
« | Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Allora, si fece avanti e disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta » | |
Il brano biblico fa riferimento a gesti che creano un ambiente di sororità. Il termine nome: quando incontriamo una persona la prima azione comunicativa è di chiedere il nome. Nell'esprimerlo c'è già in embrione la dialettica della relazione. In tal senso, dire il proprio nome apre un approccio di prossimità e di rispetto. Nella cultura ebraica esprimeva l'essenza stessa della persona. L'evangelista Luca pone in primo piano il riconoscimento dell'identità di Marta e in seconda battuta quello di Maria.
A questo riconoscimento segue una seconda azione comunicativa/relazionale espressa dal gesto di accoglienza "lo accolse". Si tratta di un termine che deriva dal latino ad-cum-legere ossia "raccogliere insieme verso". Siamo davanti a un secondo elemento di "sororità" progettuale perché "raccogliere insieme verso" esprime un movimento interiore di riconoscimento della persona come valore, come bene, come appartenente a un gruppo o per nascita o per ideali. Ne consegue che accogliere significa "esistere-tra-gli-altri". Il percorso di questa pericope è relazionale tra Maria, Marta, Lazzaro e Gesù.
Dopo il riconoscimento e l'accoglienza, ci si ferma. Segue un'azione passiva. Maria si siede e usa lo spazio ai piedi di Gesù. Occupa uno spazio in cui poter essere, in cui poter lanciare dei segnali non verbali. Si tratta di un gesto per comunicare con agiatezza e nello stesso tempo per esprimere un atteggiamento di attenzione alla Parola di Gesù che per lei è il suo servizio di accoglienza della Parola. Anche lei viene introdotta nel brano con il nome e con il sostantivo sorella. In quest'ottica entrambe esprimono la loro sorellanza anche se con priorità personali diverse.
Dal Servizio alla Parola di Maria, attraverso l'ascolto, emerge un quarto elemento costitutivo della sororità: ascoltare deriva dal verbo "auscultare", cioè sentire con delicatezza e cura, cercare la verità dell'altra, dato che l'ascolto è il principio dinamico del dialogo. In tal senso l'ascolto favorisce un processo di ampliamento della coscienza perché ascoltare significa accogliere un nuovo punto di vista.
Marta poi con coraggio si fa avanti. Nella libertà dell'amicizia, pone con decisione a Gesù delle domande di per sé conflittuali e nello stesso tempo costruttive, perché non escludono i suoi sentimenti, ma consente a chi l'ascolta la possibilità di chiarire e a ella stessa di gestire e risolvere il conflitto. Un elemento di disagio tra le due sorelle è determinato dalla posizione delle due: una seduta e l'altra in piedi. Non sono alla pari, non possono guardarsi negli occhi e questo non permette loro di accogliersi, anzi Marta scivola nel giudizio. Marta sta vivendo un conflitto, però si sente libera di rivelare la sua verità profonda, di alzare la sua lamentela. Gesù, che finalmente parla, si rivolge a Marta pronunciando il suo nome due volte come per restituirle unità interiore. Da questi piccoli dettagli emergono cinque passi comunicativi per creare un ambiente fatto di gesti che declinano la sororità di donne che non si escludono a vicenda e anche se differenti stabiliscono dei legami tra loro capaci di aprire lo spazio comune all'altro.
Il brano di Marta e Maria apre la prospettiva del neologismo sororifrater ossia la relazione triangolare tra sorelle e fratelli di sangue (Marta, Maria, Lazzaro) e la relazione quadrangolare tra sorelle e fratelli nella fede (Marta, Maria, Lazzaro, Gesù), in cui la persona di Gesù è il centro della relazione reciproca. In questa prospettiva l'avverbio "invece" del versetto 40 non esprime opposizione o distanza, ma arricchimento o potenziamento di uno status.
Febe
Completa i fondamentali della sororità la situazione di Febe, donna diaconessa della Chiesa nascente di Cencrea, quartiere portuale a est di Corinto:
« | Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è diaconessa della chiesa di Cencre, accoglietela nel Signore, come si addice ai santi e assistetela in qualunque cosa possa avere bisogno di voi; anch'essa infatti ha protetto molti e anche me stesso. » | |
L'apostolo Paolo scrive alla comunità cristiana di Roma per preparare la sua visita. Presenta i punti salienti del Vangelo cioè il rapporto del credente con Dio, la relazione di fede, la giustificazione per la fede.
A conclusione della Lettera chiama Febe nostra sorella. Siamo nella dimensione della condivisione della fede. Si tratta di quei legami che derivano dalla sequela e dal concetto di comunione tra i membri delle comunità cristiane sparse nelle varie parti del mondo.
Nell'intera pericope, un terzo delle persone citate sono donne e Febe è la prima della lista. I versetti sono la chiusura dell'Epistola e Paolo scrive raccomandazioni ed esortazioni. Al contempo, esprime la fiducia che ripone in questa donna, diaconessa della comunità di Cencrea. La sceglie per consegnare e spiegare ai Romani la Lettera, quindi per spiegare il Vangelo. La sceglie come latrice della stessa Epistola in cui è menzionata.
Nel presentarla alla comunità cristiana Paolo sottolinea, attraverso la similitudine "come si addice ai santi", la vocazione di Febe alla "santità" che per mezzo del Battesimo vive la comunione nella Chiesa. Descrive con tre caratteristiche il cammino di configurazione a Cristo: da «sorella», da «diacono», da "protettrice" del benessere fisico e spirituale delle persone, tra cui lo stesso Paolo.
Febe è «sorella» perché da battezzata è entrata nella famiglia di Dio, legame che la rende sorella dei suoi fratelli, santificati nel battesimo. Proprio il Sacramento del Battesimo le permette di vivere "il dono della sororità» nella sinfonia della Chiesa, come dice Papa Francesco. Febe vive un ministero, quello di diacono, che includeva la carità verso i poveri, la predicazione e l'evangelizzazione. Emerge il dinamismo di una Chiesa che favorisce e narra la gemmazione della fede, mettendo anche a rischio la propria vita.
Dall'Epistola si delineano i tratti di una donna che vive la propria sororità nella disponibilità al servizio e all'evangelizzazione/diffusione della Parola con un impegno totalizzante, caratterizzato dall'accoglienza e dalla cura delle persone.
I tratti peculiari emersi da queste figure sono i fondamentali, che potrebbero iniziare a circoscrivere, senza ambiguità, un cammino di sororità e di sororifrater.
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