Diego Fabbri
Diego Fabbri Laico | |
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Diego Fabbri | |
Età alla morte | 69 anni |
Nascita | Forlì 2 luglio 1911 |
Morte | Riccione 14 agosto 1980 |
Appartenenza | Diocesi di Forlì-Cesena |
Diego Fabbri (Forlì, 2 luglio 1911; † Riccione, 14 agosto 1980) è stato un giornalista e drammaturgo italiano, d'ispirazione cristiana, in particolare cattolica.
Biografia
Frequentò, a Forlì, l'oratorio di don Giuseppe Prati, parroco molto amato dai concittadini, che lo chiamavano familiarmente "Don Pippo".
Don Pippo, oltre a fargli incontrare l'esperienza cristiana, trasmise a Diego Fabbri la passione per il teatro, tanto è vero che le sue prime composizioni, scritte tra il 1931 e il 1935, furono destinate al teatro della parrocchia di San Luigi di Forlì.
Il suo primo lavoro, in particolare, I fiori del dolore (1931), fu dedicato espressamente: «A don Pippo, che per primo mi insegnò come fecondare di dolore le aiuole dei fiori».
Nel 1936 si laureò in Economia e commercio all'Università di Bologna.
Nel 1939 si trasferì a Roma, dove proseguì la sua carriera artistica.
Nella capitale gli impegni furono molti:
- Nel 1945 fu cofondatore, insieme a Ugo Betti, Sem Benelli, Massimo Bontempelli ed altri autori teatrali, del Sindacato Nazionale Autori Drammatici (SNAD), con l'intento di salvaguardare il lavoro dei drammaturghi e degli scrittori teatrali.
- Fu Segretario del Centro cinematografico cattolico, di cui tenne anche la presidenza fino al 1950;
- Svolse la professione di giornalista: dal 1948 fu condirettore della Fiera letteraria (allora diretta dal poeta Vincenzo Cardarelli), quindi ne fu il direttore fino al 1967. Diresse inoltre Il dramma (dal 1977);
- Collaborò alla sceneggiatura di oltre 40 film, alcuni di grandi registi come Vittorio De Sica, Pietro Germi, Alessandro Blasetti, Roberto Rossellini, Luigi Zampa e Michelangelo Antonioni.
- Per la radio e la televisione curò l'adattamento di drammi e romanzi, dando vita a fortunati sceneggiati, diretti da registi famosi, come Sandro Bolchi.
Ma la sua vera vocazione era per il teatro. Nel corso della sua carriera scrisse quasi cinquanta drammi, rappresentati, tra l'altro, in prestigiosi teatri come il Quirino, l'Eliseo ed il Teatro delle Arti.
Nel 1946 scrisse Inquisizione, che nel 1950 venne rappresentato con successo a Milano e che l'autore portò alla ribalta anche a Parigi, dove si trasferì nel 1952 per un breve periodo di tempo.
Nel 1955 al Piccolo Teatro di Milano rappresentò Processo a Gesù, considerato uno dei suoi capolavori, per la regia di Orazio Costa, che in seguito dirigerà la messa in scena di altri suoi lavori. Scrive Andrea Bisicchia: "Nel marzo del 1955, Processo a Gesù realizzò il più grande successo del Piccolo Teatro, collezionando esauriti e record d’incassi tanto che, quasi contemporaneamente, il testo fu rappresentato in quasi tutti i maggiori teatri tedeschi, a Vienna, Madrid, Buenos Aires, Londra, Montevideo, in Brasile, negli Stati Uniti, in Svezia. Tra il 1955 e il 1960, il cattolico Diego Fabbri divenne improvvisamente l’autore teatrale più famoso del mondo"[1].
Cattolico praticante, espresse grande rammarico quando Processo venne denunciato al Sant'Uffizio per «offesa alla religione e istigazione all'odio sociale»[2].
Nel 1959 sceneggiò, insieme a Indro Montanelli, Roberto Rossellini e Sergio Amidei il lungometraggio Il generale Della Rovere, per il quale ottenne la nomination all'Oscar alla migliore sceneggiatura originale nel 1962.
Nel 1960 assunse la gestione e la direzione artistica del Teatro della Cometa di Roma, dove allestì parte dei suoi drammi. Nel 1970 venne eletto presidente dell'Ente Teatrale Italiano.
Morì a Riccione il 14 agosto 1980.
A Diego Fabbri è intitolato il teatro comunale di Forlì.
Su iniziativa di Gino Mattarelli, Giulio Montanari, Paolo Tabanelli, nasce, nel 1984, per onorare il grande drammaturgo, il Comitato promotore “Incontri Internazionali Diego Fabbri”, di cui Gino Mattarelli è nominato primo Presidente.
Poetica
Nel 1965 pubblicò un articolo[3] in cui enunciò la sua concezione di arte, che era agli antipodi della concezione marxista di "arte politica" e criticava il processo, già in atto, per il quale gli intellettuali erano diventati degli strumenti in mano alle forze politiche:
« | Con una massiccia operazione di politica culturale, è stato imposto il teatro marxista di Brecht, ai danni di quello, di tanto più grande, di Pirandello, ostracizzato sbrigativamente come "individualismo borghese". (..) Un piano di persuasione attraverso Brecht e il brechtismo si è svolto incontrastato in Italia attraverso una serie ininterrotta di spettacoli reclamizzati in modo imponente, artisticamente ineccepibili, scenicamente suggestivi e intimidatori, grazie all'aiuto concreto e, almeno dopo qualche tempo, consapevole dello Stato che pur marxista non era e, almeno a parole, non voleva essere. (..) Le voci spiritualmente più importanti, personali e ascoltate dal pubblico erano state gradualmente messe in silenzio o relegate ai margini della vita teatrale ufficiale. » |
Con tutto ciò, Fabbri però si distingue anche, e nettamente, da Pirandello, non condividendone il relativismo e la filosofia.
Fabbri non aveva difficoltà a riconoscere all'arte una valenza sociale, ma non le attribuiva anche una sottomissione alla politica. Fabbri si ricollegava alla tradizione europea dell'interiorità, risalente a Platone ed Aristotele, ma vivificata dalla fede cattolica, per cui l'uomo è irriducibile al politico:
« | L'arte è per sua natura sociale. Si scrive, si dipinge, si scolpisce per gli altri, pur esprimendo l'essenza più profonda di sé. Però, proprio perché sento l'arte come un fatto sociale, auspico che l'artista sia "apolitico" nel senso di sentirsi svincolato dai singoli partiti, di sentirsi invece posto al servizio dell'uomo, che è, sì, anche un animale politico, ma non soltanto politico. Direi che l'eccellenza dell'uomo risiede proprio in ciò che di meno politico è in lui, cioè in quel tanto di assoluto, in quella fiammella di eterno che si sente dentro. Credo che l'artista debba operare per svegliare e dilatare questa scintilla di assoluto che è in tutti, e che ci fa veramente uomini. » | |
Opere teatrali
Secondo Gianfranco Morra[4], la produzione di Fabbri può essere suddivisa in quattro tipologie:
- Drammi morali: Inquisizione, Rancore, Delirio, Figli d'arte, Ritratto d'ignoto.
- Drammi religiosi: Processo a Gesù, Veglia d'armi, Il confidente, L'avvenimento.
- Drammi della coscienza: La libreria del sole, Processo di famiglia, Delirio.
- Commedie: La bugiarda, Lo scoiattolo, Lascio alle mie donne, Non è per scherzo che ti ho amato.
Un elenco parziale comprende:
- 1950 - Inquisizione
- 1951 - Il seduttore
- 1953/54 - Processo di famiglia
- 1955 - Processo a Gesù
- 1956 - La bugiarda e Veglia d'armi
- 1964 - Vita di Michelangelo (sceneggiatura)
- 1974 - Il vizio assurdo (sul suicidio di Cesare Pavese)
- 1980 - Al Dio ignoto (l'ultima opera, messa in scena poche settimane prima della morte).
Per la televisione
- sceneggiatura con Romildo Crivelli: Le inchieste del commissario Maigret, sceneggiato televisivo, 1964-1972
- sceneggiatura: I fratelli Karamàzov, sceneggiato televisivo, 1969
- sceneggiatura: Il sospetto, sceneggiato televisivo, 1972
Saggi
- Cristo tradito (1949);
- Ambiguità cristiana (1954).
Onorificenze
Cavaliere di gran croce dell'ordine al merito della Repubblica Italiana | |
— Roma, 27 dicembre 1973 |
Nel 1977 l'Accademia dei Lincei ha conferito a Diego Fabbri il Premio Feltrinelli per il teatro.
Note | |
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Collegamenti esterni | |
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