Gesù Cristo morto nel sepolcro (Hans Holbein il Giovane)
Hans Holbein il Giovane, Gesù Cristo morto nel sepolcro (1521), olio su tavola | |
Pesca miracolosa | |
Opera d'arte | |
Stato | |
Cantone | Canton Basilea Città |
Comune | |
Diocesi | Basilea |
Ubicazione specifica | Kunstmuseum |
Uso liturgico | nessuno |
Comune di provenienza | Basilea |
Luogo di provenienza | Collezione privata di Basilius Amerbach |
Oggetto | dipinto |
Soggetto | Gesù Cristo morto nel sepolcro |
Datazione | 1521 |
Autore |
Hans Holbein il Giovane |
Materia e tecnica | olio su tavola |
Misure | h. 30,5 cm; l. 200 cm |
Iscrizioni | MDXXI / H.H. |
Note Opera datata e firmata | |
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Gesù Cristo morto nel sepolcro è un dipinto, eseguito nel 1521, ad olio su tavola, dal pittore tedesco Hans Holbein il Giovane (1497 ca. - 1543), proveniente dalla collezione privata di Basilius Amerbach (1533 - 1591) ed ora conservato presso il Kunstmuseum di Basilea (Svizzera).
Descrizione
Soggetto
Nel dipinto, all'interno di una tomba di pietra, angusta e stretta, compare:
- Gesù Cristo deposto nel sepolcro, disteso sul sudario bianco. Il corpo è figurato, a grandezza naturale, in prospettiva, con il viso, le mani e i piedi, come la ferita del costato, mostrati in un primo stadio di putrefazione; è un cadavere enfiato con le macchie ipostatiche nere, scheletrico, emaciato, segnato dalle percosse del martirio; il naso affilato ed annerito con le narici aperte, la bocca con le labbra secche, schiusa a segnare l'ultimo estremo atto dell'agonia; gli occhi senza vita (se ne vede uno solo che esprime tutto lo strazio dell'attimo finale ) con il bulbo bianco è afflosciato, la pupilla inanimata è sollevata, la palpebra gonfia.
Note stilistiche, iconografiche ed iconologiche
- La luce radente proveniente dalla destra del sepolcro evidenzia le fattezze del corpo smagrito che ancora porta i segni della sofferenza: è questa una visione tanto realistica quanto impietosa della morte, che per contrasto fa risaltare la potenza della Resurrezione; da questo cencio umano Cristo tre giorni dopo la sua morte tornerà la vita.
- La rappresentazione realistica sottolinea l'incarnazione di Cristo, mentre l'illuminazione soprannaturale, che ne pervade la figura, indica la sua imminente risurrezione.
- Nel dipinto - caso unico nella storia dell'arte - sono omesse tutte le figure che normalmente accompagnano la sepoltura di Cristo, che nella versione più tradizionale sono: tre uomini (san Giovanni apostolo, Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo) e quattro donne (Maria Vergine, la Maddalena, Maria di Cleofa e Salome).
- La raffigurazione cruda e realistica di Gesù morto è ispirata alla drammatica Crocifissione del Polittico di Sant'Antonio (1512 - 1516), dipinto dal pittore tedesco Matthias Grünewald (1480 ca. - 1528), che l'artista aveva avuto modo di vedere insieme al padre Hans Holbein il Vecchio (1460 ca. – 1524), a Issenheim, una città dove questi aveva ha ricevuto importanti commissioni.
Iscrizioni
Nel dipinto figura due iscrizioni latine, in lettere capitali:
- sulla parete destra sopra i piedi di Cristo, riporta la data di esecuzione dell'opera ed il monogramma del pittore:
« | MDXXI / H.H. » |
- sul bordo superiore, intervallato da Cinque angeli con strumenti della passione, è inserito il titulus crucis:
(LA) | (IT) | ||||
« | IESUS NAZARENUS REX IUDAEORUM » | « | Gesù il Nazareno, Re dei Giudei » |
Notizie storico-critiche
Non si conosce la destinazione originaria dell'opera: secondo alcuni studiosi questa costituiva la predella di una pala d'altare, probabilmente destinata alla cappella funeraria della famiglia Amerbach, situata nel chiostro piccolo della Certosa di Basilea.
La prima notizia certa sul dipinto l'abbiamo da un inventario, datato 1585-1587, della collezione privata di Basilius Amerbach (1533 - 1591) conservata nella sua casa di Basilea, che lo cita come "un morto dipinto da H. Holbein vf su tavola con colori ad olio", dove poi è stata aggiunta una nota marginale, nella quale si legge: "Cum titulo Iesus Nazarenus rex J(udaeorum)."
Nel 1661, il dipinto venne acquistato dalla città e dall'Università di Basilea. Dopo alcuni trasferimenti è entrato a far parte della collezione permanentemente esposta nel Kunstmuseum di Basilea.
Fortuna dell'opera
Nella letteratura
Lo scrittore russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1821 – 1881) aveva visto questa opera nel 1867 ad una mostra a Basilea e ne era rimasto fortemente impressionato. Nel romanzo L'idiota (1869), uno dei suoi capolavori, il dipinto viene più volte citato dai personaggi ed, inoltre, fa dire al protagonista, il principe Myskin alla vista di una copia della tavola:[1]
« | Quel quadro potrebbe anche far perdere la fede a qualcuno. » |
Nella teologia
Nell'enciclica Lumen fidei, papa Francesco cita questo dipinto come spunto di riflessione per contemplare la morte di Gesù Cristo e così capire il dono di amore nel mistero della passione.[2] Il pontefice, infatti così, scrive:
« | Il dipinto rappresenta, in modo molto crudo, gli effetti distruttivi della morte sul corpo di Cristo. E tuttavia, è proprio nella contemplazione della morte di Gesù che la fede si rafforza e riceve una luce sfolgorante, quando essa si rivela come fede nel suo amore incrollabile per noi, che è capace di entrare nella morte per salvarci. In questo amore, che non si è sottratto alla morte per manifestare quanto mi ama, è possibile credere; la sua totalità vince ogni sospetto e ci permette di affidarci pienamente a Cristo. » |
Curiosità
Secondo una tradizione leggendaria, Holbein utilizzò come modello per il dipinto un corpo ripescato nel Reno.
Note | |
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Bibliografia | |
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