Lumen Fidei

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Alla trilogia di Benedetto XVI sulle virtù teologali mancava un pilastro. La Provvidenza ha voluto che il pilastro mancante fosse un dono del Papa emerito al suo successore e nello stesso tempo un simbolo d'unità, poiché assumendo e portando a compimento l'opera intrapresa dal suo predecessore, Papa Francesco rende testimonianza con lui dell'unità della fede.
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(card. Marc Ouellet, Conferenza stampa di presentazione del documento, 5 luglio 2013, online)
Lumen Fidei
Lettera enciclica di Francesco
I di questo papa
StemmaPapaFrancesco 18-03-2013.jpg
Data 29 giugno 2013
(I di pontificato)
Traduzione del titolo La luce della fede
Argomenti trattati sulla fede
Enciclica successiva Laudato Si'

(IT) Testo integrale sul sito della Santa Sede.
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La luce della fede: con quest'espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù, il quale, nel Vangelo di Giovanni, così si presenta: "Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre" (Gv 12,46 ). [..] Quando manca la luce, tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla meta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione
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(Lumen Fidei, 1, 3)

Lumen Fidei (latino, "La luce della fede") è la prima enciclica di papa Francesco, scritta "a quattro mani" con papa Benedetto XVI:

« Egli aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi. »
(Lumen Fidei, n. 7[1])

Datata 29 giugno, fu resa pubblica il 5 luglio 2013; la conferenza stampa di presentazione fu tenuta dal card. Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione dei Vescovi, dall'arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e dall'arcivescovo Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.

Genesi

Papa Benedetto XVI, dopo la pubblicazione delle precedenti encicliche sulla carità (Deus Caritas Est, 2006) e sulla speranza (Spe Salvi, 2007), aveva l'intenzione di pubblicare un'enciclica sulla fede, completando il trittico sulle virtù teologali. La promulgazione era attesa a conclusione dell'Anno della Fede (2012-2013), ma la rinuncia di papa Benedetto (11 febbraio 2013) ne sospese la pubblicazione.

Il testo preparato da Benedetto, ancora incompleto, fu assunto e integrato da papa Francesco.

Contenuto

Schema
Introduzione (1-7)
  • Una luce illusoria? (2-3)
  • Una luce da riscoprire (4-7)
Capitolo primo
Abbiamo creduto all'amore (cfr. 1Gv 4,16) (8-22)
Capitolo secondo
Se non crederete, non comprenderete (cfr. Is 7,9) (23-36)
Capitolo terzo
Vi trasmetto quello che ho ricevuto (cfr. 1 Cor 15,3) (37-49)
Capitolo quarto
Dio prepara per loro una città (cfr. Eb 11,16) (50-57)
Conclusione
Beata colei che ha creduto (Lc 1,45) (58-60)

L'enciclica è composta di quattro capitoli, preceduti da un'introduzione e seguiti da una conclusione.

Introduzione (nn. 1-7)

Vengono illustrate le motivazioni che stanno alla base del documento:

  • recuperare il carattere di luce proprio della fede (n. 4): questa è capace di illuminare tutta l'esistenza dell'uomo, di aiutarlo a distinguere il bene dal male, in particolare in un'epoca come quella moderna in cui il credere si oppone al cercare e la fede è vista come un'illusione, un salto nel vuoto che impedisce la libertà dell'uomo;
  • rinvigorire la percezione dell'ampiezza degli orizzonti che la fede apre per confessarla in unità e integrità (n. 5), e ciò proprio nell'Anno della fede, a cinquant'anni dal Concilio Vaticano II, che fu un "Concilio sulla fede" (n. 6); la fede, infatti, non è un presupposto scontato, ma un dono di Dio che va nutrito e rafforzato.

"Chi crede, vede" (n. 1), perché la luce della fede viene da Dio ed è capace di illuminare tutta l'esistenza dell'uomo: procede dal passato, dalla memoria della vita di Gesù, ma viene anche dal futuro perché ci schiude grandi orizzonti (n. 4).

Cap. I - Abbiamo creduto all'amore (nn. 8-22)
Cristo, centro della fede

« La fede cristiana è centrata in Cristo, è confessione che Gesù è il Signore e che Dio lo ha risuscitato dai morti (cfr. Rm 10,9 ). Tutte le linee dell'Antico Testamento si raccolgono in Cristo, Egli diventa il "" definitivo a tutte le promesse, fondamento del nostro "Amen" finale a Dio (cfr. 2Cor 1,20 ). La storia di Gesù è la manifestazione piena dell'affidabilità di Dio. »
(Lumen Fidei, n. 15)

Il titolo fa riferimento al passo di 1Gv 4,16 .

Facendo riferimento alla figura biblica di Abramo, la fede viene spiegata come "ascolto" della Parola di Dio, "chiamata" ad uscire dal proprio io isolato per aprirsi ad una vita nuova, e "promessa" del futuro, che rende possibile la continuità del nostro cammino nel tempo, legandosi così strettamente alla speranza. La fede è connotata anche dalla "paternità", perché il Dio che ci chiama non è un Dio estraneo, ma è Dio Padre, la sorgente di bontà che è all'origine di tutto e che sostiene tutto. "La fede è la risposta a una Parola che interpella personalmente, a un Tu che ci chiama per nome (n. 8).

Guardando alla storia d'Israele, "l'opposto della fede appare qui come idolatria" (n. 13), che disperde l'uomo nella molteplicità dei suoi desideri e lo "disintegra nei mille istanti della sua storia", negandogli di attendere il tempo della promessa. Al contrario, la fede è affidamento all'amore misericordioso di Dio, che sempre accoglie e perdona, che raddrizza "le storture della nostra storia"; è disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio, "è un dono gratuito di Dio che chiede l'umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi a Lui per vedere il luminoso cammino dell'incontro fra Dio e gli uomini, la storia della salvezza" (n. 14). E qui sta il "paradosso" della fede: il continuo volgersi al Signore rende stabile l'uomo, allontanandolo dagli idoli.

Il documento si sofferma poi sulla figura di Gesù, mediatore che ci apre ad una verità più grande di noi, manifestazione di quell'amore di Dio che è il fondamento della fede: "Nella contemplazione della morte di Gesù, infatti, la fede si rafforza" (n. 16), perché Egli vi rivela il suo amore incrollabile per l'uomo. In quanto risorto, inoltre, Cristo è "testimone affidabile", "degno di fede" (cfr. Ap 1,5 ; Eb 2,17 ), attraverso il quale Dio opera veramente nella storia e ne determina il destino finale (n. 17).

Ma c'è "un aspetto decisivo" della fede in Gesù: "la partecipazione al suo modo di vedere" (n. 18). La fede, infatti, non solo guarda a Gesù, ma guarda anche dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi. Usando un'analogia, il documento spiega che come nella vita quotidiana ci affidiamo a "persone che conoscono le cose meglio di noi" - l'architetto, il farmacista, l'avvocato - così per la fede necessitiamo di qualcuno che sia affidabile ed esperto "nelle cose di Dio": in questo senso Gesù è "colui che ci spiega Dio" (cfr. Gv 1,18 ). Per questo, crediamo a Gesù quando accettiamo la sua Parola, e crediamo in Gesù quando Lo accogliamo nella nostra vita e ci affidiamo a Lui. La sua incarnazione, infatti, fa sì che la fede non ci separi dalla realtà, ma ci aiuti a coglierne il significato più profondo.

Grazie alla fede l'uomo si salva (n. 19), perché si apre a un Amore che lo precede e lo trasforma dall'interno (n. 20). E questa è l'azione propria dello Spirito Santo: "Il cristiano può avere gli occhi di Gesù, i suoi sentimenti, la sua disposizione filiale, perché viene reso partecipe del suo Amore, che è lo Spirito" (n. 21). Fuori dalla presenza dello Spirito, è impossibile confessare il Signore. Perciò "l'esistenza credente diventa esistenza ecclesiale" (n. 22), perché la fede si confessa all'interno del corpo della Chiesa, come "comunione concreta dei credenti". I cristiani sono "uno" senza perdere la loro individualità, e nel servizio agli altri ognuno guadagna il proprio essere. Perciò "la fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un'opinione soggettiva", ma nasce dall'ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio.

Cap. II - Se non crederete, non comprenderete (nn. 23-36)

Le parole del titolo riprendono Is 7,9 nella versione greca dei LXX. Il Papa fa cogliere lo stretto legame tra fede e verità, la verità affidabile di Dio, la sua presenza fedele nella storia (n. 23).

"La fede senza verità non salva. [..] Resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri desideri di felicità" (n. 24). Ed oggi, data "la crisi di verità in cui viviamo" (n. 25), è più che mai necessario richiamare questo legame, perché la cultura contemporanea tende ad accettare solo la verità della tecnologia, ciò che l'uomo riesce a costruire e misurare con la scienza e che è "vero perché funziona", oppure le verità del singolo valide solo per l'individuo e non a servizio del bene comune. Oggi si guarda con sospetto alla "verità grande, la verità che spiega l'insieme della vita personale e sociale", perché la si associa erroneamente alle verità pretese dai totalitarismi del XX secolo. Ciò comporta però il "grande oblio del nostro mondo contemporaneo" che, a vantaggio del relativismo e temendo il fanatismo, dimentica la domanda sulla verità, sull'origine di tutto, la domanda su Dio.

Viene sottolineato poi il legame tra fede e amore, inteso non come "un sentimento che va e viene" (n. 27), ma come il grande amore di Dio che ci trasforma interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà (n. 26). "Amore e verità non si possono separare" (n. 27), perché solo l'amore vero supera la prova del tempo e diventa fonte di conoscenza. E poiché la conoscenza della fede nasce dall'amore fedele di Dio, "verità e fedeltà vanno insieme" (n. 28).

La verità che ci dischiude la fede è una verità incentrata sull'incontro con Cristo incarnato, il quale, venendo tra noi, ci ha toccato e donato la sua grazia, trasformando il nostro cuore (n. 31).

Il documento apre poi un'ampia riflessione sul "dialogo tra fede e ragione", sulla verità nel mondo di oggi, in cui essa viene spesso ridotta ad "autenticità soggettiva" (n. 34), perché la verità comune fa paura, viene identificata con l'imposizione intransigente dei totalitarismi. Invece, se la verità è quella dell'amore di Dio, allora non si impone con la violenza, non schiaccia il singolo. Per questo, la fede non è intransigente, il credente non è arrogante. Al contrario, la verità rende umili e porta alla convivenza ed al rispetto dell'altro. Ne deriva che la fede porta al dialogo in tutti i campi:

La fede viene infine messa in relazione con la teologia: essa è impossibile senza la fede, poiché Dio non ne è un semplice "oggetto", ma è "Soggetto che si fa conoscere" (n. 36). La teologia è partecipazione alla conoscenza che Dio ha di se stesso; ne consegue che essa deve porsi al servizio della fede dei cristiani, e che il Magistero della Chiesa non è un limite alla libertà teologica, bensì un suo elemento costitutivo: esso infatti assicura il contatto con la fonte originaria, con la Parola di Cristo.

Cap. III - Vi trasmetto quello che ho ricevuto (nn. 37-49)

L'espressione del titolo è tratta da 1Cor 15,3 . Tutto il terzo capitolo è incentrato sull'importanza dell'evangelizzazione: chi si è aperto all'amore di Dio non può tenere per sé questo dono (n. 37). La luce di Gesù brilla sul volto dei cristiani e così si diffonde, si trasmette nella forma del contatto, come una fiamma che si accende all'altra, e passa di generazione in generazione, attraverso la catena ininterrotta dei testimoni della fede (n. 38). Ciò comporta il legame tra fede e memoria perché l'amore di Dio mantiene uniti tutti i tempi e ci rende contemporanei a Gesù.

È "impossibile credere da soli" (n. 39), perché la fede non è "un'opzione individuale", ma apre l'io al "noi"; la fede poi avviene sempre "all'interno della comunione della Chiesa". Per questo, "chi crede non è mai solo": perché scopre che gli spazi del suo io si allargano e generano nuove relazioni che arricchiscono la vita.

C'è "un mezzo speciale" con cui la fede può trasmettersi: sono i Sacramenti, in cui si comunica "una memoria incarnata" (n. 40). Vengono passati in rassegna i Sacramenti in relazione alla fede:

  • il Battesimo - sia quello dei bambini sia quello degli adulti, preparato dal catecumenato - ci ricorda che la fede non è opera dell'individuo isolato, come fosse un atto che si può compiere da soli: essa deve essere ricevuta, in comunione ecclesiale (n. 40). "Nessuno battezza se stesso" (n. 41); nel caso dei bambini che vengono battezzati, poi, essi non possono confessare la fede da soli, ma devono essere sostenuti dai genitori e dai padrini: ne deriva quindi "l'importanza della sinergia tra la Chiesa e la famiglia nella trasmissione della fede" (n. 43);
  • l'Eucaristia è il "nutrimento prezioso della fede", l'"atto di memoria, attualizzazione del mistero"; essa "conduce dal mondo visibile verso l'invisibile", insegnandoci a vedere la profondità del reale (n. 44);

In connessione con tali sacramenti viene ricordata poi la confessione della fede, il Credo, in cui il credente non solo confessa la fede, ma si vede coinvolto nella verità che confessa.

La preghiera viene presentata come essenziale alla fede (n. 46): attraverso il Padre Nostro il cristiano incomincia a vedere con gli occhi di Cristo (n. 46). La fede è poi in connessione con il Decalogo, inteso non come "un insieme di precetti negativi", ma come "insieme di indicazioni concrete" per entrare in dialogo con Dio, "lasciandosi abbracciare dalla sua misericordia", "cammino della gratitudine" verso la pienezza della comunione con Dio.

Si sottolinea infine che la fede è una, perché uno è "il Dio conosciuto e confessato", perché si rivolge all'unico Signore, ci dona "l'unità di visione", ed "è condivisa da tutta la Chiesa, che è un solo corpo e un solo spirito" (n. 47). Dato, dunque, che la fede è una sola, allora deve essere confessata in tutta la sua purezza e integrità: "l'unità della fede è l'unità della Chiesa" (n. 48); togliere qualcosa alla fede è togliere qualcosa alla verità della comunione. Inoltre, poiché "l'unità della fede è quella di un organismo vivente", essa può assimilare in sé tutto ciò che trova, dimostrando di essere universale, cattolica, capace di illuminare e portare alla sua migliore espressione tutto il cosmo e tutta la storia. Tale unità è garantita dalla successione apostolica (n. 49).

Cap. IV - Dio prepara per loro una città (nn. 50-57)

Il quarto capitolo inizia richiamando Eb 11,16 , e poi spiega il legame tra la fede e il bene comune: la fede porta alla formazione di un "luogo in cui l'uomo può abitare insieme agli altri" (n. 50). La fede, che nasce dall'amore di Dio, rende saldi i vincoli fra gli uomini e si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace (n. 51). Ecco perché essa non allontana dal mondo e non è estranea all'impegno concreto dell'uomo contemporaneo. Anzi: senza l'amore affidabile di Dio, l'unità tra gli uomini sarebbe fondata solo sull'utilità, sull'interesse o sulla paura. La fede, invece, coglie il fondamento ultimo dei rapporti umani, il loro destino definitivo in Dio, e li pone a servizio del bene comune. La fede "è un bene per tutti, un bene comune"; non serve a costruire unicamente l'aldilà, ma aiuta a edificare le nostre società, così che camminino verso un futuro di speranza.

L'Enciclica si sofferma, poi, sugli ambiti illuminati dalla fede:

  • la famiglia fondata sul matrimonio, inteso come unione stabile tra uomo e donna: essa nasce dal riconoscimento e dall'accettazione della bontà della differenza sessuale e, fondata sull'amore in Cristo, promette "un amore che sia per sempre", e riconosce l'amore creatore che porta a generare figli (n. 52);
  • i giovani: il documento cita le Giornate Mondiali della Gioventù, in cui i giovani mostrano "la gioia della fede" e l'impegno a viverla in modo saldo e generoso; "i giovani hanno il desiderio di una vita grande"; "l'incontro con Cristo dona una speranza solida che non delude; la fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita" (n. 53);
  • tutti i rapporti sociali: rendendoci figli di Dio, la fede dona un nuovo significato alla fraternità universale tra gli uomini, che non è mera uguaglianza, bensì esperienza della paternità di Dio, la comprensione della dignità unica della singola persona (n. 54);
  • la natura: la fede ci aiuta a rispettarla, a "trovare modelli di sviluppo che non si basino solo sull'utilità o sul profitto, ma che considerino il creato come un dono" (n. 55);
  • l'organizzazione della società: la fede ci insegna ad individuare forme giuste di governo, in cui l'autorità viene da Dio ed è a servizio del bene comune; ci offre la possibilità del perdono che porta a superare i conflitti; "quando la fede viene meno, c'è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno", e se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, perderemo la fiducia tra noi e saremo uniti solo dalla paura; per questo non bisogna vergognarsi di confessare pubblicamente Dio, in quanto la fede illumina il vivere sociale (n. 55);
  • la sofferenza e la morte: il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare affidamento alle mani di Dio che mai ci abbandona, e così essere "tappa di crescita della fede"; all'uomo che soffre Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua presenza che accompagna, che apre un varco di luce nelle tenebre (n. 56); in questo senso, la fede è congiunta alla speranza: "non facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino" (n. 57).
Conclusione - Beata colei che ha creduto (nn. 58-60)

Con il versetto tratto da Lc 1,45 il documento invita a guardare a Maria, "icona perfetta" della fede (n. 58). In quanto Madre di Gesù, Maria ha concepito "fede e gioia".

« Nella Madre di Gesù, infatti, la fede si è mostrata piena di frutto, e quando la nostra vita spirituale dà frutto, ci riempiamo di gioia, che è il segno più chiaro della grandezza della fede. » (n. 58)

A Lei il papa innalza la sua preghiera affinché aiuti la fede dell'uomo, gli ricordi che chi crede non è mai solo e gli insegni a guardare con gli occhi di Gesù​ (n. 60).

Note
  1. Prima della pubblicazione del documento lo stesso papa Francesco, in un dialogo informale con i membri del tredicesimo Consiglio ordinario della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi il 13 giugno 2013, ne aveva parlato come di una "enciclica 'a quattro mani', dicono" (L'Osservatore Romano, 14 giugno 2013, p. 1).
Fonti
Voci correlate
Collegamenti esterni