Gesù Cristo redentore (Andrea Mantegna)
Andrea Mantegna, Gesù Cristo redentore (1493), tempera su tela | |
Gesù Cristo redentore | |
Opera d'arte | |
Stato | |
Regione | Emilia Romagna |
Regione ecclesiastica | Emilia |
Provincia | Reggio Emilia |
Comune | |
Diocesi | Reggio Emilia-Guastalla |
Ubicazione specifica | Pinacoteca Civica |
Uso liturgico | nessuno |
Comune di provenienza | Correggio |
Luogo di provenienza | Congregazione di Carità |
Oggetto | dipinto |
Soggetto | Gesù Cristo redentore |
Datazione | 1493 |
Ambito culturale | ambito veneto |
Autore | |
Materia e tecnica | tempera su tela |
Misure | h. 55 cm; l. 43 cm |
Iscrizioni | MOMORDITE VOS MET IPSOS ANTE EFIGEM VULTUS MEI; EGO SUM: NOLITE TIMERE; (Mantin)IA P(inxit) C(haritate) S(ua) D(omino) D(icavit) MCCCCLXXXX(III) D(ie) V JA(nuarii) |
Note Opera firmata e datata | |
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Il Gesù Cristo redentore è un dipinto, eseguito nel 1493, a tempera su tela, da Andrea Mantegna (1431 ca. - 1506), proveniente dalla Congregazione di Carità di Correggio ed attualmente conservato presso la Pinacoteca Civica della medesima città emiliana.
Descrizione
Soggetto
Nel dipinto, entro una cornice rossa, si staglia su uno sfondo scuro,:
- Gesù Cristo redentore, a mezzo busto, con i boccoli scuri e gli occhi dal taglio a mandorla (tipici dell'ultimo Mantenga), indossa una veste rossa scollata decorata da arabeschi dorati. Egli presenta un'espressione austera e malinconica, perfettamente umana, ma anche divina esplicitata grazie al dorato bagliore dell'aureola, che incorniciando la sua testa, emana raggi formanti un motivo cruciforme.
Note stilistiche, iconografiche e iconologiche
- Alla rappresentazione fortemente emotiva dell'Uomo dei dolori, l'artista sostituisce un'immagine solo apparentemente iconica per l'assenza di elementi legati alla crocifissione (stimmate e corona di spine) e l'impostazione frontale della figura tagliata all'altezza del petto. Questa scelta iconografica appare opportunamente riconducibile al carattere devozionale privato del dipinto. I significati relativi alla Redenzione vengono, infatti, esplicitati attraverso sottili rimandi quali l'espressione meditabonda e malinconica per l'annuncio della morte e le due iscrizioni, chiaramente rivolte allo spettatore (fedele).
- La composizione dell'opera per alcuni elementi (ad esempio le vesti dei dolenti, il volto di Cristo e il fondo scuro) è assimilabile ad un altro dipinto dell'artista:
- Compianto su Gesù Cristo morto (1483 ca.), conservato alla Pinacoteca di Brera di Milano.
- Lo storico dell'arte, Filippo Todini, ravvisa nel dipinto affinità con la pittura del cognato Giovanni Bellini (1427/1430–1516) e di Vittore Carpaccio (1465 ca.–1525/1526), sottolineando il "delicato chiaroscuro, libero da qualsiasi netto contorno". Inoltre, lo studioso Ronald Lightbown identifica nella pittura fiamminga i lontani modelli iconografici, poi trapiantati nella pittura veneta, di Gesù Cristo redentore, e scrive che:
« | Mantegna riveste il modello fiammingo del proprio solenne classicismo, dando rilievo alla struttura del collo e articolando quella del torace secondo le modalità della scultura antica. » |
Iscrizioni
Nel dipinto figurano tre iscrizioni, in lettere d'oro capitali, nelle quali si legge:
- sulla cornice a sinistra:[1]
(LA) | (IT) | ||||
« | MOMORDITE VOS MET IPSOS ANTE EFIGEM VULTUS MEI » | « | Straziatevi anche voi davanti all'immagine del mio volto. » |
- sul libro (oggi in gran parte abrasa):
(LA) | (IT) | ||||
« | EGO SUM: NOLITE TIMERE » | « | Sono io, non temete. » |
- sulla cornice in basso a sinistra, la firma del pittore e la data di esecuzione dell'opera:
(LA) | (IT) | ||||
« | (Mantin)IA P(inxit) C(haritate) S(ua) D(omino) D(icavit) MCCCCLXXXX(III) D(ie) V JA(nuarii) » | « | Dipinto da Mantenga per carità e donato come offerta il 5 gennaio 1493. » |
Notizie storico-critiche
L'opera fu eseguita da Andrea Mantegna come dono probabilmente offerto dall'artista ad un alto prelato o ad una fondazione ecclesiastica.
Secondo un'ipotesi, formulata da alcuni studiosi, il dipinto potrebbe aver fatto parte della collezione dei conti di Correggio, andata poi dispersa con la rovina economica del principe Siro (1590–1645). L'opera, nella seconda metà del XVII secolo, sarebbe finita nelle mani dei fratelli Contarelli, amministratori di una parte dei beni del principe. Infatti, nell'Inventario dei beni di Francesco Contarelli figlio di Angelo, fatto ad istanza dei tutore (1697) compare come:
« | Quadretto piccolo con cornici coll'effige del Salvatore. » |
Il lungo uso devozionale dovette senz'altro danneggiare il dipinto e farne perdere la coscienza della notevole qualità artistica, tanto che esso non si trova neppure menzionato nel minuzioso inventario dei beni di Caterina Contarelli, morta senza eredi nel 1851. Finito in mezzo ad "oggetti fuori d'uso" che la Congregazione di Carità, erede della Contarelli, vendette nel 1914 a due rigattieri di Correggio, il solo dipinto fu poi venduto da questi ultimi, per 10 lire, a Carlo Foresti di Carpi, che lo offrì al marchese e collezionista d'arte modenese Matteo Campori (1856–1933) per 250 lire. Affidato da quest'ultimo al restauratore Moroni di Milano, il dipinto fu riconosciuto come opera di Andrea Mantegna dal critico d'arte Gustavo Frizzoni (1840-1919) in un suo articolo su "L'Arte" del 1916. Il contenzioso fra vecchi e nuovi proprietari, che seguì a tale eccezionale attribuzione, fu vinto dalla Congregazione di Carità di Correggio che, con sentenza del Tribunale di Modena, datata 30 gennaio e 3 febbraio 1917, fu riconosciuta come proprietaria legittima ed ottenne la riconsegna del capolavoro mantegnesco. Fino al 1997 rimase proprietà delle Opere Pie Riunite di Correggio per poi essere acquistata dal Comune di Correggio.
Note | |
Bibliografia | |
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