Titulus crucis
Il titulus crucis è l'iscrizione che fu affissa alla croce di Gesù, sopra la sua testa, quando egli fu crocifisso, per indicare la motivazione della condanna (Mt 27,37 ; Gv 19,19 ). L'esibizione della motivazione della condanna, infatti, era prescritta dal diritto romano.
Il nome indica oggi anche una reliquia, conservata a Roma e costituita da una tavola di legno di noce: la Tradizione afferma che sarebbe il cartiglio originario affisso sopra la croce.
Le rappresentazioni artistiche della crocifissione raffigurano la scritta del cartiglio come costituita dalle sole quattro lettere INRI, iniziali dell'espressione latina Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum, che traduce il testo greco del vangelo di Giovanni. Similmente, sui crocifissi delle Chiese Ortodosse l'iscrizione è INBI, corrispondente al greco Ἰησοῦς ὁ Ναζωραῖος ὁ Bασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων.
Il titulus crucis nell'antichità
La tavoletta su cui era scritta la causa della condanna è testimoniata nelle Vite dei Cesari di Svetonio: lo storico romano parla di uno schiavo colpevole, preceduto da una tavoletta indicativa della ragione della pena, condotto a un pubblico banchetto e circondato dai commensali; quindi narra di un padre di famiglia della Tracia condannato nell'arena ai cani con il titolo Un fautore del partito dei gladiatori traci ha parlato in modo empio.
Dione Cassio riferisce di uno schiavo condotto attraverso il foro "con un'iscrizione che notificava il motivo del suo essere portato alla morte, e dopo essi lo crocifissero".
Tertulliano afferma: "Quando nella tavoletta voi leggete questo capo di accusa cristiano..."; al quale fa eco Eusebio di Cesarea: "Preceduto da una tavoletta nella quale era scritto in lingua latina: Costui è Attalo cristiano, fu condotto in giro per l'anfiteatro".[1]
Il titulus di Gesù
Il testo
Il cartiglio apposto sulla croce riportava il motivo della condanna a morte comminatagli da Pilato durante il processo, riferita alla pretesa regalità di Gesù (Mt 27,11-14 ; Mc 15,2-5 ; Lc 23,2-5 ; Gv 18,28-38 ) e corrispondente al reato di lesa maestà verso l'imperatore romano. Giovanni aggiunge che il motivo della condanna era scritto in ebraico, latino e greco (Gv 19,20 ). Giovanni narra anche che i capi dei Giudei, al leggere il cartiglio, chiesero a Ponzio Pilato la correzione dello stesso, dal momento che, secondo loro, Gesù non era il re dei giudei, ma che si era proclamato tale. La lapidaria risposta di Pilato fu negativa ed è diventata proverbiale: "Ciò che ho scritto ho scritto" (Gv 19,21-22 ).
Il testo del titolo come riportato dai quattro vangeli appare discordante nelle parole, sebbene il concetto sia il medesimo.
Mc 15,26 | Lc 23,38 | Mt 27,37 | Gv 19,19-20 | |
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Testo greco | ὁ βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων ho basileùs tôn Ioudaíon |
ὁ βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων οὗτος ho basileùs tôn Ioudaíon hoûtos |
οὗτός ἐστιν Ἰησοῦς ὁ βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων hoûtós estin Iesoûs ho basileùs tôn Ioudaíon |
Ἰησοῦς ὁ Ναζωραῖος ὁ βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων Iesoûs ho Nazoraîos ho basileùs tôn Ioudaíon |
Traduzione | Il re dei Giudei | Il re dei Giudei questo (è) | Questo è Gesù il re dei Giudei | Gesù il Nazareno, il re dei Giudei |
La traduzione artistica cristiana ha adottato la versione di Giovanni, sulla base del presupposto che questo evangelista era l'unico presente alla crocifissione (Gv 19,26-27 ) e poteva parlare con cognizione di causa.
Un erudito ebreo, Schalom Ben-Chorin[2], ha avanzato l'ipotesi che la scritta ebraica fosse simile a quella riportata da Giovanni: "Yeshua Hanozri W(u)melech Hajehudim", cioè letteralmente: "Gesù il Nazareno e Re dei Giudei". In tal caso le iniziali delle quattro parole corrisponderebbero esattamente con il tetragramma biblico, il nome impronunciabile di YHWH, motivando con maggior forza le proteste degli ebrei[3].
Testimonianze antiche
La conservazione come reliquia del titulus apposto sulla croce è testimoniata per la prima volta nel IV-V secolo dall'Itinerario di Egeria, che racconta il proprio pellegrinaggio a Gerusalemme nell'anno 383. Racconta Egeria:
(LA) | (IT) | ||||
« | (..) et affertur loculus argenteus deauratus, in quo est lignum sanctum crucis, aperitur et profertur, ponitur in mensa tam lignum crucis quam titulus. » | « | (..) e viene portata una cassetta argentea dorata, nella quale c'è il santo legno della croce, viene aperta e tirato fuori, viene posto sulla tavola sia il legno della croce che il titolo. » | ||
(Itinerarium Egeriae 37,1 )
|
Successivamente il titulus fu descritto nel 570 da Antonino di Piacenza, un pellegrino che vide le reliquie della Passione a Gerusalemme, e menziona il titulus, nel quale vede l'iscrizione: Hic est rex Iudaeorum ("questi è il re dei Giudei"), cioè il testo di Matteo[4].
Il rinvenimento di Roma del 1400
Tra il 1484 e il 1493 il cardinal Pedro González de Mendoza sottopose la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme al restauro del coro, del soffitto (oggi perduto), e dell'affresco dell'abside. Durante questi lavori, come si legge nel Diario di Stefano Infessura alla data del 10 febbraio 1492, quando gli operai ebbero raggiunto la sommità dell'arco trionfale, dove si trovavano le colonnine, vi rinvennero una nicchia, contenente una scatola di piombo: sopra, in una tabella di terracotta appariva scritto TITULUS CRUCIS. Nella scatola si trovò una tavoletta "lunga un palmo", corrosa da un lato e con incise e dipinte in rosso alcune lettere rovesciate e da destra a sinistra, in tre righe scritte, dal basso in alto, in latino, greco ed ebraico, che, integrate, si traducono con: "Gesù il Nazareno, re dei Giudei". La scritta dice più precisamente I. NAZARINVS RE[X IVDAEORVM] (latino), e IS NAZARENUS B[ASILEUS TVN IOUDAIVN] (greco).
La sistemazione di questa reliquia al colmo dell'arco trionfale della basilica si deve molto probabilmente a papa Lucio II (1144), che fece costruire il transetto, di cui l'arco trionfale fa parte. Sulla scatola furono trovati tre suoi bolli in ceralacca, dell'epoca in cui era cardinale titolare della chiesa. Meno probabile è l'ipotesi che egli abbia rinvenuto la reliquia già lì, e l'abbia solamente richiusa dopo averla sigillata. Tutto fa pensare che la reliquia fosse già presente nella chiesa ab antiquo, probabilmente custodita, assieme alle altre reliquie della Croce[5], nella cappella di Sant'Elena. L'attuale collocazione delle reliquie è moderna: la cappella che le ospita fu inaugurata nel 1930 e portata a termine nel 1952.
La tradizione della traslazione a Roma
La tradizione antica è espressa dal De vita Constantini di Eusebio di Cesarea (V secolo), e narra del viaggio di Sant'Elena in Terra Santa, dove rinvenne la croce, confusa con quelle dei ladroni, e, accanto, il titulus, staccato, che portò con sé a Roma, per donarlo alla chiesa Hierusalem.
La questione della verifica di questa tradizione, e quindi anche la questione dell'autenticità della reliquia, non hanno ancora avuto, almeno dal punto di vista della ricerca scientifica, risultati definitivi. La titolatura della chiesa e i motivi che portarono alla sua fondazione fa sì che sia difficile pensare ad una falsificazione.
L'analisi delle fonti, invece, soprattutto di quelle documentarie, non permette di arrivare ad una ricostruzione certa delle vicende del titulus, in particolare (ma non solo) per quel che riguarda il periodo alto-medioevale.
Si apre perciò la questione se è verosimile che il cartiglio della croce sia stato conservato e se la reliquia romana possa essere l'originale o almeno una copia fedele.
Le analisi recenti
Alla questione sull'attendibilità della tradizione riguardante Sant'Elena ha cercato di rispondere nella sua tesi di dottorato e in una pubblicazione di poco antecedente Maria Luisa Rigato, una biblista attiva alla Pontificia Università Gregoriana. La Rigato suppone che il cartiglio sia stato staccato dalla croce e deposto inizialmente nella tomba assieme al corpo di Gesù[6]. La sepoltura,infatti, caratterizzata secondo i Vangeli dall'utilizzo di una tomba di ampie dimensioni, dal trattamento della salma con unguenti preziosi e dall'avvolgimento in un sudario, avrebbe tutte la caratteristiche di una sepoltura regale. L'aggiunta del cartiglio, il cui testo appariva ai seguaci di Gesù inconsapevolmente profetico della regalità di Gesù (cfr. Gv 18,33-37 ), sembrerebbe ben accordarsi con le intenzioni di Giuseppe d'Arimatea e di Nicodemo.
Per rispondere alla seconda questione, quella sull'autenticità della reliquia, a partire dal 1995 hanno avuto accesso al titulus alcuni studiosi, fra cui appunto per prima Maria Luisa Rigato, che ha stimolato e collaborato alle indagini scientifiche necessarie: rilievo fotografico, prelievo di campioni, ecc[7]. Il materiale raccolto è stato anche reso disponibile ad altri studiosi, fra cui Carsten Peter Thiede e Michael Hesemann[8].
I risultati
Il titulus di Santa Croce reca effettivamente una parte dell'iscrizione nelle tre lingue. Anche i testi in latino e greco sono scritti, da destra a sinistra, come l'ebraico; inoltre nel testo latino è scritto "Nazarinus" anziché "Nazarenus". Il testo, poi, non sembra corrispondere esattamente a nessuno di quelli dei quattro Vangeli. Queste anomalie sono considerate da alcuni indizi di autenticità: difficilmente un falsario le avrebbe introdotte.
Le fotografie dell'iscrizione sono state esaminate da diversi paleografi, contattati indipendentemente dai tre ricercatori sopra citati. In particolare le lettere sono risultate perfettamente compatibili con quelle del I secolo, confermando, quindi, la possibilità che la reliquia sia l'originale o almeno una copia fedele dell'originale. Maria Luisa Rigato ne deduce:[9]
« | Ritengo in base a tutti gli elementi raccolti che il Testo dell'iscrizione sulla Tavoletta-reliquia corrisponda al Titolo originale di Pilato » |
Nelle conclusioni la Rigato aggiunge:
« | L'iscrizione come tale ha tutti i crismi del Titolo originario di Pilato ed è perfettamente compatibile con i dati dei Vangeli, particolarmente con quello secondo Giovanni. » |
Resta infine il problema se la reliquia possa essere l'originale del Calvario. Per chiarire la questione la Santa Sede ha autorizzato il prelievo di campioni del legno, che sono stati datati utilizzando il Metodo del carbonio-14. I risultati, pubblicati nel 2002, hanno determinato che il legno risale all'intervallo tra gli anni 980 e 1150.[10]
Note | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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