Processo di Gesù

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Il processo di Gesù è descritto nei quattro vangeli:

Dopo la celebrazione dell'Ultima cena in compagnia degli apostoli, Gesù fu arrestato nell'orto del Getsemani, poco fuori Gerusalemme, con la complicità di Giuda Iscariota. In seguito fu interrogato dalle varie autorità politiche e religiose dell'epoca: Anna, Caifa, il Sinedrio, Pilato, Erode Antipa. Gli interrogatori da parte delle autorità ebraiche ne stabilirono la colpevolezza per bestemmia, per essersi equiparato a Dio. La condanna capitale fu confermata da Pilato per il reato di lesa maestà, essendosi riconosciuto "re dei Giudei". La pena fu la morte tramite crocifissione.

Sinossi evangelica

I quattro vangeli rappresentano le uniche fonti storiche relative agli avvenimenti del processo di Gesù. Si nota tra i vangeli una sostanziale concordanza negli eventi narrati ma anche notevoli differenze, in particolare relativamente alla cronologia.

Cronologia

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Data della morte di Gesù

Nel resoconto dei Vangeli vi è consenso circa il giorno settimanale della morte di Gesù, venerdì. Il consenso manca sull'indicazione del giorno annuale: mentre i sinottici suggeriscono (indirettamente) che sia il 15 nisan (Pasqua ebraica), Giovanni dice esplicitamente che si trattava del 14 nisan (vigilia della Pasqua ebraica).

Di fronte alla incongruenza cronologica sinottici/Giovanni sono pertanto ipotizzabili 3 casi:

  • È corretta la cronologia sinottica. L'ultima cena era la cena pasquale ebraica tenuto quell'anno il giovedì sera e il giorno successivo, 15 nisan, pasqua ebraica, morì Gesù. Le varie fasi del processo si svolsero in poco più di mezza giornata, tra la sera di giovedì 26 aprile e il pomeriggio di venerdì 27 aprile del 31 d.C. Giovanni sbaglia nel riportare la morte al 14 nisan e lo fa probabilmente con l'intento simbolico-teologico di accomunare il sacrificio di Gesù a quello degli agnelli immolati nel tempio al momento della sua morte. Questa opzione è in contrasto con la sacralità della pasqua nella quale gli Ebrei, come per tutte le feste, osservavano assoluto riposo.
  • È corretta la cronologia giovannea.[2] L'ultima cena non era la cena pasquale ebraica e Gesù morì il giorno successivo, 14 nisan, vigilia della pasqua. Anche in questo caso le varie fasi del processo si svolsero in poco più di mezza giornata, tra la sera di giovedì 6 aprile e il pomeriggio di venerdì 7 aprile del 30 d.C. (o meno probabilmente tra il 2 e il 3 aprile del 33). L'identificazione sinottica della cena col rito ebraico è una successiva elaborazione redazionale degli evangelisti che non rispecchia il reale andamento storico dei fatti.
  • È corretta sia l'identificazione sinottica ultima cena - rito ebraico sia la notizia giovannea della morte alla vigilia di Pasqua. Gesù seguì per la cena un calendario diverso da quello ufficiale ebraico (esseno? farisaico? scelta personale?), celebrandola prima della pasqua ufficiale ebraica (martedì sera?), ed morì qualche giorno dopo, il 14 nisan, vigilia della pasqua. Le varie fasi del processo furono distribuite lungo più giorni, probabilmente tra la sera di martedì 4 aprile e il pomeriggio di venerdì 7 aprile del 30 d.C. (o meno probabilmente tra il 31 marzo e il 3 aprile del 33). Nei resoconti evangelici gli eventi vengono presentati in una cronologia breve (dalla sera al pomeriggio successivo) per esigenze di semplificazione catechistica (vedi anche quanto avviene per la cronologia sinottica circa la durata del ministero pubblico che sembra durare un solo anno). I passi sinottici che fanno ipotizzare l'ultima cena a ridosso della pasqua ufficiale (Mc 14,1;14,12;Lc22,7 ) sono interpolazioni redazionali successive, oppure non si riferiscono pasqua ufficiale ma a quella essena.

Motivazioni

Le motivazioni che portarono le autorità religiose ebraiche a decidere la morte di Gesù furono molteplici:

  • durante il ministero di Gesù appare come una costante ricorrente l'attacco contro i farisei,[3] che rappresentavano le autorità religiose legate alle sinagoghe diffuse soprattutto nei territori periferici lontano dal tempio di Gerusalemme. Ne criticò apertamente e pubblicamente l'esteriorismo e il formalismo accusandoli di ipocrisia,[4] chiamandoli "ciechi e guide di ciechi" (Mt 15,14 ), "serpenti e razza di vipere" (Mt 23,33 ) e rivolgendo loro il celebre epiteto ingiurioso di "sepolcri imbiancati" (Mt 23,27 ).
  • anche i sadducei, cioè la classe sacerdotale aristocratica che gestiva il culto e gli affari economici del tempio di Gerusalemme, furono oggetto delle critiche di Gesù che li accomunò ai farisei (Mt 16,6;22,29 ). L'apice di questo scontro fu l'episodio della cosiddetta purificazione del tempio.
  • Gesù violò in alcune occasioni il precetto del riposo sabbatico (Mt 12,11-13 pp.; Gv 5,9;9,14-16 ), cioè l'astensione da attività lavorative in giorno di sabato, attirandosi critiche dei Giudei (Gv 5,16 ). Questa accusa però non compare esplicitamente nei racconti evangelici del processo.
  • durante la fase dell'interrogatorio presso Pilato compare una motivazione di tipo psicologico: le autorità ebraiche erano invidiose di Gesù (Mt 27,18;Mc15,10 ).
  • il Vangelo di Giovanni riporta una ulteriore motivazione (Gv 11,47-48 ): il movimento originato da Gesù avrebbe potuto portare allo sconvolgimento del delicato equilibrio che regolava i rapporti tra gli occupanti Romani e il popolo ebraico, nella fattispecie la classe aristocratica sadducea.
  • oltre a proclamarsi Messia, fatto non punibile per morte, in diversi loci evangelici Gesù si pone allo stesso livello di Dio (Mt 11,27 ; Gv 5,17;8,19;10,30;15,23 , e soprattutto Mt 26,64 ; Mc 14,62 ; Lc 22,69 ): è questo il motivo formale che permette al sinedrio di decretarne la morte per bestemmia.

Secondo i vangeli le autorità religiose avevano deciso l'eliminazione di Gesù pochi giorni prima della sua morte, e per Giovanni in particolare come conseguenza del miracolo della risurrezione di Lazzaro (Mt 26,1-5 ;Mc 14,1-2 ;Lc 22,1-2 ; Gv 11,45-53 ). Tuttavia già durante il precedente ministero pubblico sono ricordati tentativi in tal senso (Mc 3,6 ; Mt 12,14 ; Gv 7,30;7,44;10,39 ).

Protagonisti

  • "Sommi sacerdoti" Anna e Caifa. I vangeli adottano talvolta il plurale generico creando l'impressione che vi fossero due sommi sacerdoti. In realtà nell'ebraismo classico il sommo sacerdote era solo uno, in carica annuale eventualmente reiterabile, e all'epoca del processo di Gesù questi era Caifa (in carica dal 18 al 36). Anna era l'ex sommo sacerdote (dal 6 al 15), suocero di Caifa, e sebbene non più in carica esercitava comunque una forte influenza sul genero. Il sommo sacerdote rivestiva in teoria un incarico principalmente religioso, ma in quanto capo del sinedrio aveva una notevole influenza dal punto di vista sociale e politico.
  • Giuda Iscariota. Secondo i vangeli l'apostolo traditore prese l'iniziativa di recarsi dalle autorità religiose per consegnare loro Gesù (Mt 26,14-16 ; Mc 14,10-11 ; Lc 22,3-6 ). Non viene chiarito il motivo del gesto se non con interpretazioni teologiche: "Satana entrò in Giuda" (Lc 22,3 ), "il diavolo mise in cuore a Giuda di tradirlo" (Gv 13,2 ). L'interpretazione tradizionale, seppure del tutto ipotetica, è che Giuda fosse animato da sentimenti nazionalisti (Iscariota=Sicario=Zelota?) e che rimase deluso dalla predicazione di Gesù, il quale rifiutò le prerogative politiche che erano popolarmente attribuite al Messia.
  • Sinedrio.[5] Il sinedrio di Gerusalemme o Gran Sinedrio (erano presenti anche sinedri locali con giurisdizione limitata) era composto da 70 membri, 71 includendo il sommo sacerdote, provenienti principalmente dai gruppi dei Sadducei e dei Farisei. Aveva competenze legislative (poteva emanare leggi), giudiziarie (come supremo tribunale del paese) ed esecutive (disponeva di una propria forza armata). La sua attività non riguardava solo questioni religiose ma anche altri aspetti della vita sociale e politica, in fragile equilibrio con la potenza occupante romana. Ai tempi di Gesù il Sinedrio non aveva il diritto di ordinare condanne a morte, in quanto lo ius gladii (= diritto della spada) spettava al solo governatore romano.[6] La sede del Sinedrio di Gerusalemme è discussa: probabilmente si trovava presso il tempio, nella cosiddetta "sala delle pietre squadrate" (Lishkat ha-Gazith),[7] verosimilmente coincidente col xystòs (porticato, colonnato) citato da Giuseppe Flavio.[8] Sebbene il sommo sacerdote rappresentasse il principale riferimento del sinedrio, non sono attestati da fonti extravangeliche processi nella sua abitazione privata.
  • Ponzio Pilato. Fu il prefetto (= governatore) della provincia romana della Giudea tra il 26 e il 36 (o inizio 37). A lui competeva lo ius gladii, cioè la facoltà di eseguire le condanne a morte. Risiedeva abitualmente a Cesarea Marittima, capitale politica e militare della provincia. In determinate occasioni, come le festività ebraiche, si spostava a Gerusalemme per tenere sotto controllo eventuali tumulti di popolo. La sede del prefetto (pretorio) a Gerusalemme, non è nota con chiarezza. La tradizione cristiana la identifica con la fortezza Antonia, dalla quale si poteva dominare la spianata del tempio. Sulla personalità e l'operato di Pilato si conosce poco dalle fonti extravangeliche, ma le informazioni pervenuteci convergono nel tracciarne una figura particolarmente negativa: Pilato "era per natura inflessibile e, in aggiunta alla sua arroganza, duro", il suo operato era caratterizzato da "concussioni, violenze, rapine, brutalità, torture, esecuzioni senza processo, e una crudeltà spaventosa e senza limiti".[9]
  • Soldati romani. Secondo i vangeli i soldati romani di stanza a Gerusalemme furono gli esecutori materiali della morte per crocifissione di Gesù. Durante i frenetici eventi del processo inoltre flagellarono, coronarono di spine, insultarono e derisero Gesù. Sebbene dalle fonti storiche romane non appaia chiaramente quale fosse la legione presente a Gerusalemme attorno al 30 d.C., è probabile che si trattasse della X Legione, detta "Fretense", o di una guarnigione ausiliaria ad essa correlata (alcuni[10] hanno ipotizzato un'origine samaritana o siriana di questi ausiliari).
  • Alcuni ebrei. Una folla di alcuni (decine? centinaia?) Ebrei è responsabile indiretta della morte di Gesù in quanto fece pressione su Pilato per eseguirne la condanna a morte. Il governatore accolse la richiesta per paura di un tumulto. Nei Vangeli non compaiono motivazioni utili a spiegare tale comportamento contro Gesù: verosimilmente la folla si adeguò alle indicazioni delle autorità religiose. Nell'occidente cristiano dei secoli seguenti questa aggressività mostrata da alcuni Ebrei si ripercosse sull'intero popolo ebraico e fu la principale giustificazione razionale dell'antisemitismo, sintetizzata dall'accusa agli Ebrei di essere deicidi, cioè "uccisori di Dio".
  • Erode Antipa. Figlio di Erode il Grande, è stato sovrano dell'effimero regno di Galilea dal 4 a.C. al 39 d.C., regione della quale Gesù era originario e dove aveva svolto la maggior parte del suo ministero pubblico.

Fasi del processo

Probabili tappe del processo e della passione di Gesù (Sinedrio presso la casa di Caifa, Pretorio presso l'Antonia).
Probabili tappe del processo e della passione di Gesù (Sinedrio presso il tempio, Pretorio presso l'Antonia).

Come evidente dal confronto sinottico dei quattro vangeli, i diversi resoconti sulle fasi del processo, sebbene concordi sull'andamento generale (arresto, condanna ebraica, condanna romana, crocifissione), sono sostanzialmente discordanti.

Dai sostenitori dell'inerranza biblica e da quanti intendono riconciliare tali differenze, le discordanze sono interpretate supponendo che gli evangelisti riportino episodi complementari; per esempio se il solo Giovanni riporta l'interrogatorio preliminare con Anna taciuto dagli altri tre vangeli non significherebbe che questo non ci sia stato, ma semplicemente che il solo Giovanni riporti l'evento accaduto tralasciato dai sinottici, rimuovendo apparentemente la contraddizione.

Interrogatorio presso Anna

Il solo Vangelo di Giovanni riporta, come primo evento del processo, l'incontro tra Gesù e l'ex sommo sacerdote Anna (Gv 18,12-13;18,19-23 ). Il fatto che Giovanni appaia in questo caso come fonte privilegiata è compatibile con la sua tradizionale (ma non sicura) identificazione col "discepolo conosciuto dal sommo sacerdote" (Gv 18,15 ), che gli poteva permettere di conoscere eventi riservati e privi i testimoni tra i discepoli come questo interrogatorio.

La sede dell'incontro era verosimilmente il palazzo nobiliare nel quale dimorava anche Caifa, suo genero. La tradizione cristiana antica colloca il palazzo all'interno delle mura di Gerusalemme, nell'angolo sud-occidentale della città, poche decine di metri a nord dal luogo del cenacolo. L'identificazione del palazzo di Caifa con l'attuale chiesa del Gallicantu non trova consenso dalla maggior parte degli studiosi.[11]

Il motivo di questo interrogatorio preliminare, che non poteva avere valore giuridico in quanto Anna non ricopriva più la carica, non è chiaro. L'ex sommo sacerdote conservava una grande influenza presso il Sinedrio tanto da far nominare negli anni seguenti alla sua carica, oltre al genero, ben cinque figli. È probabile che dietro alla decisione di arrestare e uccidere Gesù vi fosse lui.[12] L'interrogatorio circa la missione e i discepoli di Gesù può essere visto come una soddisfazione personale dell'inquirente, oppure come una pragmatica preoccupazione di ordine pubblico circa eventuali reazioni da parte dei discepoli di Gesù al suo arresto.

Processo del Sinedrio

Il processo di fronte al Sinedrio, per come è riportato dai vangeli, crea non pochi problemi storico-esegetici.

Forma

Innanzitutto è problematico lo stesso confronto tra i resoconti evangelici. Il Vangelo di Giovanni omette del tutto questo incontro, sviluppando maggiormente il successivo incontro con Pilato. Secondo gli esegeti cristiani la mancanza deriva dal fatto che il quarto vangelo, redatto definitivamente verso la fine del I secolo dopo i tre vangeli sinottici, non sentiva la necessità di riportare l'evento già testimoniato dagli altri tre.

Invece il Vangelo di Marco e quello di Matteo, che si basa su Marco, riportano l'esistenza di due distinti incontri, il primo la sera (Mt 26,57-68 ; Mc 14,53-65 ) tenuto in casa del sommo sacerdote Caifa e il secondo la mattina seguente (Mt 27,1 ; Mc 15,1 ), il cui luogo non è specificato ma viene lasciato intendere che sia lo stesso. Infine il Vangelo di Luca riporta l'esistenza di un solo interrogatorio al mattino (Lc 22,66-71 ), tenuto "nel loro sinedrio", presumibilmente presso la sede ufficiale nella sala delle pietre squadrate entro il recinto del tempio.

Oltre a queste incoerenze interne, il resoconto del processo del Sinedrio è problematico per altri aspetti. Secondo la Mishnah (trattato Betza 5,2; trattato Sanhedrin 4,1) erano vietate le sedute del Sinedrio in un giorno di festa e nel suo giorno preparativo, la sentenza capitale doveva essere emessa di giorno, non di notte, e confermata in una seconda seduta, che poteva tenersi solo dopo che fossero passate almeno 24 ore dalla prima. Tutte indicazioni che non sarebbero state rispettate nel processo come è descritto dai vangeli. D'altro canto la Mishnah risale a circa il 200 d.C. ed è stata redatta in ambienti farisaici, ed è stato ipotizzato che questi divieti non possano essere applicati al processo di Gesù, di due secoli precedenti e gestito dalle autorità sadducee.

Dal punto di vista cronologico-formale pertanto possono essere ipotizzate alcune opzioni:

  • Non vi fu alcun processo di fronte al Sinedrio, né formale né informale (resoconto giovanneo). La decisione della condanna a morte di Gesù fu presa già prima dell'arresto dalle autorità religiose e ne fu chiesta l'attuazione a Pilato. Questa possibilità non gode di particolare diffusione tra gli esegeti perché in contrasto con gli altri tre vangeli, cronologicamente precedenti.
  • Vi fu un solo processo al mattino (Luca), probabilmente nella sede ufficiale del Sinedrio presso il tempio.
  • Vi furono un processo alla sera presso la casa di Caifa e un secondo processo al mattino seguente (Matteo e Marco), sempre presso Caifa o presso il tempio.
  • Vi fu un interrogatorio informale alla sera presso la casa di Caifa e un vero e proprio processo al mattino seguente, sempre presso Caifa o presso il tempio.
  • Adottando la cronologia lunga dell'ipotesi della cena essena (vedi data della morte di Gesù), dopo l'arresto al martedì sera vi fu un interrogatorio informale presso Caifa e successivamente due processi in due distinte giornate (mercoledì e giovedì), in accordo con i precetti circa i processi testimoniati dalla Mishnah. Sede dei due processi o la casa di Caifa o il tempio.

I vangeli non specificano dove Gesù abbia trascorso la notte (o le notti, adottando la cronologia lunga). Tradizionalmente viene indicata come cella per la detenzione una grotta che è stata ritrovata nel 1888 nel sito dell'attuale della chiesa di San Pietro in Gallicantu. Nella grotta sono presenti dall'antichità croci dipinte. Questa identificazione tuttavia non è condivisa dalla maggior parte degli studiosi.[13]

Nel caso che il processo si sia tenuto presso il tempio, non è chiaro se e dove le guardie del tempio a servizio del Sinedrio disponessero di una cella per la custodia cautelare, o se si appoggiassero sulla vicina fortezza Antonia presidiata dai romani. Data la sacralità del luogo è improbabile che i condannati fossero custoditi entro il recinto del tempio.

Contenuto

Durante il processo venne stabilita la condanna a morte di Gesù. Secondo i resoconti evangelici furono portate accuse da "falsi testimoni" contro Gesù. Il contenuto delle accuse non è definito, eccetto quella di aver dichiarato di distruggere il tempio e ricostruirlo in tre giorni (vedi Gv 2,19-22 , dove però l'evangelista modifica il logion con "distruggete" adattandolo alla passione): i tre sinottici non riportano l'episodio ma solo l'accusa, mentre Giovanni riporta l'episodio ma non l'accusa durante il processo. Comunque nessuna delle accuse si dimostrò decisiva per decretarne la morte.

Il culmine del processo è la "confessione" di Gesù, che viene riportata con lievi differenze dai tre sinottici:

Con la risposta Gesù si dichiara Messia e "Figlio di Dio", epiteto qui usato come attributo messianico. Questo però non costituisce un reato punibile con la morte:[14] gli Ebrei aspettavano (e aspettano) un messia umano, "Figlio di Dio". La bestemmia nella risposta sta invece nell'equipararsi ("sedere alla destra") di Gesù a Dio, che viene indicato con l'epiteto eufemistico "Potenza". La tradizione cristiana considera questo logion come fondato storicamente, sebbene rimaneggiato alla luce della cristologia elaborata successivamente.[15]

Critica

Assumendo come valida la testimonianza evangelica, ovviamente 'innocentista', in base alla stessa legge ebraica sono riscontrabili molteplici violazioni compiute dalle autorità religiose in merito al processo di Gesù: utilizzo di falsi testimoni (Es 20,16 ), falsificazione della giustizia (Es 23,1-2;23,6-7 ; Lev 19,15;19,35 ), aver incitato le autorità politiche a liberare l'assassino Barabba (Nm 35,31-34 ; Dt 19,11-13 ), aver chiesto di uccidere Gesù tramite crocifissione, pratica ritenuta sconveniente (Dt 21,22 ), il non aver accettato come re un ebreo ma bensì un straniero quale Cesare (Dt 17,14-15 ).

Assumendo come valide anche ai tempi di Gesù le indicazioni sopra riportate della Mishnah, di circa due secoli successiva, nel caso della cronologia breve (arresto giovedì sera e morte il pomeriggio successivo) al Sinedrio possono essere imputati anche difetti di forma (seduta notturna, sono mancate le due sedute in due giorni distinti), e assumendo la cronologia sinottica (morte il giorno di Pasqua) si aggiunge l'irregolarità del processo tenuto in un giorno festivo. Nel caso della cronologia lunga (arresto martedì sera) questi difetti non sussistono.

Tuttavia dal punto di vista della religiosità ebraica, assumendo come valida la confessione di Gesù equiparatosi a Dio, malgrado i vari elementi illegali il processo emise la sentenza appropriata: morte per bestemmia (Lev 24,15-16 ), da eseguirsi tramite lapidazione.

Processo presso Pilato

Cristo trascinato al pretorio per il giudizio di Ponzio Pilato, miniatura tratta dal Les Très Riches Heures du duc de Berry, folio 143r, dei fratelli Limbourg.

Motivazioni

Secondo i resoconti evangelici, una volta stabilita la colpevolezza di Gesù questo venne inviato al governatore romano Pilato. Il motivo di questo coinvolgimento del governatore romano è esplicitato in Gv 18,31 : il Sinedrio non aveva facoltà di eseguire condanne a morte in quanto il governatore romano si riservava tale diritto (il cosiddetto ius gladii, diritto di spada). Questo dato biblico sulla ripartizione delle competenze giuridiche in Palestina non trova diretta conferma dalle altre fonti extravangeliche ma appare coerente con quanto sappiamo della gestione del potere romano, in Giudea come anche nelle altre province.[16]

All'epoca di Gesù sono comunque attestate condanne a morte eseguite dalle autorità ebraiche: il tentativo di lapidazione dell'adultera (Gv 8,1-11 ); la lapidazione di Stefano (At 7,57-60 ); l'uccisione per spada di Giacomo di Zebedeo (At 12,2 ); la lapidazione di Giacomo "fratello del Signore" (Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, 20, 200-203). D'altro canto sono state proposte soluzioni che cercano di armonizzare queste 'eccezioni' con la mancanza di autorità in questioni capitali del Sinedrio di Gv 18,31 : la pericope dell'adultera è più propriamente una diatriba giuridica che non una esecuzione capitale; la lapidazione di Stefano è descritta come un linciaggio, non un processo sinedriale; l'esecuzione di Giacomo di Zebedeo è avvenuta tra il 41 e il 44 allorquando i Giudei riebbero per un breve periodo la piena sovranità sotto Erode Agrippa I; quella di Giacomo il minore invece avvenne nel 62, in occasione del vuoto di potere tra Festo e Albino.

Forma

Quanto al luogo, i vangeli concordano nel dire che Gesù fu condotto di fronte al governatore romano Pilato. Giovanni (Gv 18,28 ) definisce il luogo di questo incontro col titolo generico "pretorio". Anche Mt 27,27 e Mc 15,16 citano il pretorio, inteso come cortile: in questi casi si tratta più propriamente non del luogo del processo ma della flagellazione e dei maltrattamenti da parte dei soldati romani, ma viene lasciato intendere che il luogo sia lo stesso o nelle sue immediate vicinanze. Con "pretorio" si intendeva la residenza ufficiale del procuratore romano. Solitamente il governatore risiedeva a Cesarea Marittima, capitale della provincia di Giudea, ma in occasione delle feste poteva recarsi a Gerusalemme per controllare meglio eventuali tumulti. La sede del governatore, cioè il pretorio di Gerusalemme, non è nota con chiarezza e sono state proposte alcune ipotesi:[17]

  • la fortezza Antonia, posta a ridosso del lato settentrionale della spianata del tempio.[18] Nonostante non vi siano chiare indicazioni nelle fonti antiche che la roccaforte fungesse da palazzo politico, è tradizionalmente considerata il pretorio evangelico: se il governatore si recava a Gerusalemme per monitorare la sicurezza pubblica, il luogo più appropriato per farlo era proprio l'Antonia, dalla quale si poteva controllare l'intera spianata del tempio, unica 'piazza' della città. Scavi in epoca contemporanea hano portato alla luce un pavimento lastricato in pietra calcarea che è stato da molti identificato col lithostroton del pretorio citato in Gv 19,13 , ma risale probabilmente al foro orientale della colonia tardo-romana Aelia Capitolina, costruito dopo il 135 d.C. Anche il cosiddetto "arco dell'Ecce Homo", tradizionalmente considerato il 'balcone' dal quale Pilato mostrò Gesù flagellato alla folla, è probabilmente un arco di trionfo di epoca tardo-romana. Nonostante questi dati incerti la maggior parte degli studiosi opta per questa prima opzione: la sede del processo fu il cortile interno della fortezza, mentre Gesù sarebbe stato flagellato da qualche parte all'interno della struttura, verosimilmente senza pubblico.
  • il Palazzo degli Asmonei.[19] In tal caso non è chiaro dove sarebbe avvenuto il colloquio con Erode Antipa.
  • la cittadella, ex palazzo di Erode il Grande, sul lato interno occidentale delle mura della città. Non esiste però nessuna tradizione cristiana antica a riguardo.

Quanto alla cronologia e all'effettivo svolgimento dell'incontro Gesù-Pilato si notano ancora una volta discordanze tra i resoconti evangelici:

  • Matteo e Marco riportano l'interrogatorio in un'unica sessione. I protagonisti (Gesù, Pilato, "sommi sacerdoti", popolo) sembrano riuniti nel medesimo luogo.
  • Il solo Luca presenta, dopo primo interrogatorio, il rinvio di Gesù a Erode Antipa (vedi dopo). Dopo questo intermezzo Pilato convoca i sommi sacerdoti e il popolo (Lc 23,13 ): l'impressione è che gli Ebrei si fossero allontanati, quindi che si tratti di due sessioni cronologicamente distinte. In entrambe le sessioni i protagonisti sembrano riuniti nello stesso luogo.
  • Giovanni presenta l'interrogatorio in un'unica sessione ma divide la scena: gli Ebrei rimangono fuori dal pretorio (inteso come un edificio interno della fortezza Antonia?) per non contaminarsi, mentre Gesù viene condotto dentro. Pilato fa una sorta di spola tra gli Ebrei e Gesù e i colloqui con lui sono tutti privati. Solo alla fine, al momento dell' "Ecce homo" e nella scena conclusiva, fa condurre fuori Gesù nel Litostroto-Gabbata (il cortile interno della fortezza Antonia?) e tutti i protagonisti sono compresenti.

Se si ammette la storicità dell'intermezzo del rinvio a Erode, e se si ammette di conseguenza che il processo presso Pilato si sia svolto in due sessioni distinte, la scelta della cronologia lunga (arresto martedì, morte venerdì) appare più plausibile. Nel caso della cronologia corta (arresto giovedì sera, morte venerdì) le concitate ore del venerdì mattina devono contenere il processo presso il sinedrio, il primo interrogatorio di Pilato, il rinvio a Erode, la liberazione di Barabba, il secondo interrogatorio di Pilato.

Contenuto

Cristo condotto via dal Pretorio; dietro di lui i due malfattori condannati a morte, legati nudi, sono trascinati via, miniatura da Les Très Riches Heures du duc de Berry, manoscritto dei Fratelli Limbourg, Folio 146v.

Il solo Luca riporta esplicitamente le accuse che le autorità ebraiche mossero contro Gesù a Pilato, accuse tutte di ordine prettamente politico: sobillava il popolo, impediva di dare i tributi a Cesare (titolo generico per l'imperatore romano), affermava di essere il Cristo-Messia re (Lc 23,2-5 ). Secondo i vangeli queste accuse sono infondate: Gesù non ha mai sobillato il popolo, non ha impedito di dare i tributi a Cesare ("Date a Cesare quel che è di Cesare", Mt 22,21 ; Mc 12,17 ; Lc 20,25 ), non si è mai dichiarato re (Gv 6,15 ).

In un primo momento non viene esplicitamente riportata dai vangeli la principale accusa che ne causò la condanna a morte da parte del Sinedrio, la "bestemmia" di essersi equiparato a Dio: questa motivazione, di ordine prettamente religioso, non poteva interessare al governatore romano. Secondo Gv 19,7 questa viene riportata in un secondo momento: "si è fatto Figlio di Dio", dove l'epiteto è qui inteso non come semplice attributo del Messia, che non costituiva una bestemmia, ma come lo ha inteso la tradizione cristiana, cioè come uno stretto legame tra il Figlio e il Padre.

Secondo la testimonianza concorde dei quattro vangeli l'interrogatorio di Pilato si concentrò sulla terza accusa: "Tu sei il re dei Giudei?" "Tu lo dici" (Mt 27,11-14 ; Mc 15,2-5 ; Lc 23,2-5 ; Gv 18,28-38 ). Questa sola risposta riportata dai tre sinottici può suonare ambigua: "Non lo sono, sei tu che lo dici", oppure "Sì lo sono, lo dici tu stesso". Giovanni esplicita il senso affermativo: "Tu lo dici, io sono re", ma aggiunge la precisazione che chiarisce la natura teologica e non politica di questa regalità: "Il mio regno non è di questo mondo", che rappresenta una implicita discolpa di Gesù. A parte questa breve risposta i tre sinottici non riportano altre parole di Gesù, fatto che desta meraviglia in Pilato. Giovanni invece amplia il dialogo tra Gesù e Pilato. Secondo il diritto romano, l'affermazione della regalità di Gesù rappresentava un reato di lesa maestà e implicava la condanna a morte.

Secondo i quattro vangeli Pilato, nonostante l'ammissione della sua regalità 'teologica', non trovò colpa in Gesù e in un primo momento non lo condannò. Questa ricerca di neutralità è in Mt 27,19 rafforzata dall'intervento della moglie. Dapprima Pilato inviò Gesù a Erode Antipa (vedi dopo), quindi cercò di liberarlo con l'escamotage del cosiddetto "privilegio pasquale", che portò però alla liberazione di Barabba. Inoltre secondo Giovanni e soprattutto Lc 23,22 la flagellazione è collocata prima della condanna definitiva e viene proposta, nelle intenzioni di Pilato, come una alternativa alla condanna capitale. Matteo e Marco invece sintetizzano gli eventi e la collocano dopo la condanna a morte, come preliminare della crocifissione.

A fronte della pressione della folla che stava degenerando in un tumulto (Mt 27,24 ) Pilato acconsentì alla loro richiesta di far crocifiggere Gesù e fece il gesto divenuto poi proverbiale di lavarsi le mani.

La figura di Pilato che emerge dai Vangeli, cioè di un uomo giusto che tenta in vari modi di salvare Gesù dalla morte, contrasta con le informazioni che ci sono pervenute su di lui da fonti extra-vangeliche (vedi sopra), che lo descrivono come un uomo cinico, crudele e spietato, e che comminava con troppa faciltà le condanne a morte. Le ragioni della sua titubanza devono quindi essere state non legate a motivi umanitari, ma altre, di tipo politico, forse il timore di una eventuale sollevazione dei seguaci di Gesù, vista l'accoglienza trionfale che, secondo i Vangeli, questi ricevette al suo arrivo a Gerusalemme.

Rinvio a Erode Antipa

Il solo Luca riporta, all'interno dell'incontro tra Pilato e Gesù, il rinvio a Erode Antipa quando ha appurato che era galileo (Lc 23,6-12 ). La motivazione non è esplicitata: è probabile che Pilato, convinto della sua innocenza, cercasse una conferma in tal senso anche dal re della Galilea da contrapporre alle accuse delle autorità giudaiche.[20]

Erode Antipa risiedeva abitualmente a Tiberiade, capitale del suo effimero regno, ma come anche Pilato si trovava a Gerusalemme in occasione della Pasqua. La sede del palazzo degli Asmonei, dinastia alla quale Erode apparteneva, è ipotizzata con relativa certezza al centro della città, di poco a occidente del tempio.

All'incontro erano presenti anche i "sommi sacerdoti" che accusavano Gesù. Le accuse non sono riportate dal resoconto di Luca. Secondo l'evangelista il re, in accordo col carattere semplicistico e un po' fanciullesco che gli viene attribuito anche in occasione dell'episodio della morte di Giovanni Battista (Mt 14,6-11 ), sembra poco coinvolto dal processo e mostra interesse invece per le sue capacità di compiere miracoli. Gesù però non risponde nulla né compie alcun miracolo.

Disilluso dal colloquio Erode non espresse alcuna condanna, ma lui e i suoi soldati insultarono e schernirono Gesù, rivestendolo di una "splendida veste" (probabilmente per deriderlo come re) e rimandandolo a Pilato.

La colpevolezza del Sinedrio come motivo di anti-semitismo

Hieronymus Bosch, Salita al Calvario (1515 - 1516); Gand, Musée des Beaux-Artsdi. Da notare come mostruosamente siano raffigurati i Giudei

Il processo di Gesù di fronte al Sinedrio e la sua implicazione nei confronti della sua condanna furono pretesto per una grande ondata di antisemitismo che investì le comunità ebraiche per ben duemila anni di storia. Essendo un tempo ritenuti tutti gli ebrei, sia quelli dell’epoca di Gesù che quelli delle epoche successive, responsabili del cosiddetto "deicidio", essi vennero perseguitati violentemente durante il periodo dell’Inquisizione e rinchiusi in quartieri ghetto.

Benché la Bibbia lasci intendere che non solo i giudei, ma anche i romani siano responsabili della morte di Gesù, piccolo se non nullo fu l’odio dei cristiani nei confronti degli eredi dell’Impero romano.

Gesù stesso, nel vangelo di Giovanni, rivela a Pilato che coloro che l’hanno consegnato a lui hanno una colpa più grande. Il Nazareno non si riferisce però a tutta la comunità ebraica, ma bensì a Caifa ed Anna che avevano organizzato un processo per eliminarlo. Il Nuovo Testamento enfatizza la partecipazione del Sinedrio giudaico nella condanna di Gesù, ma non esenta dalle colpe i romani stessi. Lo stesso Pietro, negli Atti degli Apostoli (c. At 2 ) afferma che gli ebrei dovrebbero vergognarsi sì per tale crimine ma che la crocifissione venne eseguita per mano di "empi", "senza Dio" (i romani appunto).

Il Nuovo Testamento sottolinea il fatto che Pilato, dopo che Gesù venne consegnato a lui, voleva che il condannato venisse giudicato secondo la legge degli ebrei, ma che essi preferirono lasciare a lui la punizione poiché per loro non era possibile mettere a morte qualcuno sotto l’autorità romana (Gv 18,31 ). È da notare però come i giudei negli Atti degli Apostoli, benché fossero ancora sotto il dominio romano, non esitarono a lapidare Stefano e a uccidere Giacomo apostolo senza il consenso del procuratore.

La persecuzione degli ebrei fu un fenomeno storico piuttosto frequente, soprattutto nell’Europa cattolica del Medioevo. Tutto ciò era però contrario agli insegnamenti dello stesso Gesù che aveva ordinato ai suoi discepoli di amare i propri nemici (Mt 5,38-39 ) e aveva perdonato, in punto di morte, gli uomini che l’avevano crocifisso (Lc 9,51-56 ).

Solamente una piccola minoranza ebraica partecipò al processo presso il Sinedrio e al momento della condanna nella fortezza Antonia: non più di cento ebrei sarebbero infatti potuti entrare nel cortile del palazzo di Pilato. Inoltre, essendo avvenuto il processo di venerdì, la maggior parte degli ebrei era intenta a preparare la mensa pasquale, non essendo possibile lavorare durante il sabato, e non era dunque per loro possibile partecipare attivamente alla condanna.

Note
  1. Riadattamento riassuntivo di Angelico Poppi, Sinossi quadriforme dei quattro vangeli, 1992.
  2. Così Meier.
  3. Vedi p.es. Mt 5,20;9,13;12,7;12,39;15,3;15,14;23,13-35
  4. Per questa accusa di Gesù nel linguaggio corrente il termine "fariseo" è sinonimo di "ipocrita" (vedi dizionario De Mauro).
  5. Vedi Nuovo Dizionario enciclopedico illustrato della Bibbia, 1997, s.v. "Sinedrio".
  6. Dall'episodio dell'adultera di Gv 8,1-11 sembra comunque che le autorità giudaiche conservassero il diritto di applicare la pena capitale tramite lapidazione.
  7. Mishnah, trattato Middot 5,4.
  8. Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, 5,4,2.
  9. Filone, Legatio ad Gaium, par. 301-302, trad. inglese.
  10. Ricciotti, Vita di Gesù, par. 592.
  11. Vedi p.es. Yohanan Aharoni, Michael Avi-Yonah, Atlante della Bibbia, 1987, mappa 236.
  12. Ernest Renan, Vita di Gesù, 1863, p. 165; Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, par. 562.
  13. Guida di Terra Santa, Edizioni Custodia di Terra Santa, 1992, p. 100: "La cripta della chiesa (di San Pietro in Gallicantu) presentata come prigione di Cristo, contigua ad un corpo di guardia scavato nella roccia, sembrerebbe piuttosto un sepolcro giudaico che ha servito, posteriormente, come cava di pietra".
  14. Vedi Bibbia TOB, nota a Mc 14,64 .
  15. Vedi p.es. Rinaldo Fabris, Gesù di Nazareth, p. 292-3.
  16. Vedi anche Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, 2, 117, dove afferma che il primo procuratore romano inviato in Giudea, Copronio, aveve il potere di mettere a morte.
  17. Nuovo Dizionario Enciclopedico illustrato della Bibbia, 1997, s.v. "Pretorio".
  18. Così Yohanan Aharoni, Michael Avi-Yonah, Atlante della Bibbia, 1987, mappa 236; Guida di Terra Santa, 1992, pp. 70-76.
  19. Così il Nuovo Dizionario Enciclopedico illustrato della Bibbia, 1997, s.v. "Pretorio".
  20. Così Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, par. 583 pag. 664
Bibliografia
  • AA.VV. - Il processo contro Gesù (a cura di F.Amarelli e F. Lucrezi), Quaestiones II, Jovene, Napoli 1999.
  • G.Jossa, Il processo di Gesù, Paideia, Brescia 2002.
  • G.Jossa, La condanna del Messia.Problemi storici della ricerca su Gesù, Paideia, Brescia 2010.
  • J.Blinzler, Il processo di Gesù, Paideia, Brescia 1966 (nuova edizione 2001)
Voci correlate
Collegamenti esterni