Pastorale Officium
Pastorale Officium Bolla pontificia di Paolo III | |
Data |
29 maggio 1537 (III di pontificato) |
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Traduzione del titolo | L'ufficio pastorale |
Argomenti trattati | Sulla schiavitù |
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Pastorale Officium (L'ufficio pastorale) è una bolla di Papa Paolo III datata 29 maggio 1537, rivolta all'arcivescovo di Toledo Giovanni de Tavera.
Condanna, pena la scomunica, la riduzione in schiavitù da parte di cristiani («tanto nefasti misfatti di empi di tal fatta», talium impiorum tam nefarios ausus) degli amerindi, cristiani e non, da parte degli spagnoli, «poiché sono uomini e per questo capaci di fede e di salvezza» (cum homines, ideoque fidei et salutis capaces sint). Il documento segue e conferma un decreto regio di Carlo I[1] del 1530, il quale vietava la schiavitù degli indiani. Lo stesso Carlo aveva però revocato l’editto nel 1534 per le proteste dei coloni. Le pressioni di Carlo I indussero poi Paolo III a promulgare il decreto Non Indecens Videtur (19 giugno 1538), nel quale è ritirata la scomunica per gli schiavisti, ma non viene comunque legittimata la schiavitù.
Testo
Testo latino[2] | Traduzione italiana[3] |
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Cardinali Toletano etc. Dilecte fili noster, salutem et Apostolicam benedictionem. Pastorale officium erga oves nobis coelitus creditas, solerti studio exercentes, sicut earum perditione affligimur, ita promotione laetamur, et non solum illorum bona opera laudamus, sed, ut votivis perfruantur eventibus Apostolicae meditationis curas diffusius interponimus. Ad nostrum siquidem pervenit auditum, quod carissimus in Christo filius noster Carolus Romanorum Imperator semper Augustus, qui etiam Castellae et Legionis Rex existit, ad reprimendos eos qui cupiditate aestuantes, contra humanum genus inhumanum gerunt animum, publico edicto omnibus sibi subiectis prohibuit, ne quisquam occidentales aut meridionales Indos in servitutem redigere aut eos bonis suis privare praesumat. Nos igitur attendentes Indos ipsos, licet extra gremium Eccelesiae existant, non tamen sua libertate, aut rerum suarum dominio privates, vel privandos esse, et cum homines, ideoque fidei et salutis capaces sint, non servitute delendos, sed praedicationibus, et exemplis ad vitam invitandos fore, ac praeterea. Nos talium impiorum tam nefarios ausus reprimere, et ne iniuriis, et damnis exasperati, ad Christi Fidem amplectendam duriores efficiantur, providere cupientes, circumspectioni tuae, de cuius rectitudine, providentia, pietate, et experientia in his, et aliis specialem in Domino fiduciam obtinemus, per praesentes committimus et manda¬mus, quatenus per te vel alium seu alios praefatis Indis omnibus in praemissis efficacis defensionis praesidio assistens, universis et singulis cuiuscumque dignitatis, status, conditionis, gradus, et excellentiae existentibus sub excommunicationis latae senlentiae poena, si secus fecerint, ipso facto incurrenda, a qua non nisi a Nobis vel Romano Pontifice pro tempore existente, praeterquam in mortis articulo constituti et satisfactione praevia, absolvi nequeant, districtius inhibeas, ne praefatos Indos quomodolibet in servitutem redigere, aut eos bonis suis spoliare, quoquo modo praesumant, ac contra non parentes ad declarationem incursus excommunicationis huiusmodi ad ulteriora procedas, et alia in praemissis et circa ea necessaria seu quomodolibet opportuna statuas, ordines et disponas, prout prudentiae, probitati et religioni tuae videbitur expedire. Super quibus tibi plenam et liberam facultatem concedimus per praesentes, contrarium facientibus non obstantibus quibuscumque. Datum Romae apud S. Petrum sub annulo Piscatoris dei 29 Maii 1537, Pontificatus nostri anno tertio. |
Al cardinale di Toledo (Juan Pardo de Tavera)... Diletto figlio nostro, salute e benedizione apostolica. L’ufficio pastorale sulle pecore a noi concesso dal cielo, esercitiamo con solerte impegno, e siamo tanto afflitti per la loro perdita quanto gioiamo per il loro avanzamento, e non solo lodiamo le loro opere buone, ma aggiungiamo l’azione della cure apostoliche affinché ne usufruiscano più diffusamente. Giunse al nostro ascolto, che il carissimo nostro figlio in Cristo Carlo (I) imperatore dei Romani sempre augusto, che è anche re di Castiglia e Leon, per reprimere coloro che accesi di cupidigia, contro il genere umano rivolgono l’animo inumano, con un pubblico editto ha proibito a tutti i suoi sudditi, affinché non si presuma ridurre in servitù alcuno degli indiani occidentali o meridionali, e privarli dei loro beni. Noi dunque prestiamo attenzione a che gli stessi Indiani, anche se sono al di fuori del grembo della Chiesa, non siano privati o non stiano per essere privati della loro libertà o del dominio sulle loro cose, poiché sono uomini e per questo capaci di fede e di salvezza, non siano abbattuti con la servitù, ma siano invitati alla vita con la predicazione e l’esempio e cose simili. Noi desiderando reprimere tanto nefasti misfatti di empi di tal fatta, e affinché non siano provocati ingiurie e danni che causino una più difficile accoglienza della fede in Cristo, volenti esortare tua cautela, di cui abbiamo speciale fiducia circa la tua rettitudine, previdenza, pietà ed esperienza in queste cose, e altre cose nel Signore, con la presente ordiniamo e comandiamo affinché tu, o altro o altri, assistendo tutti i suddetti indiani con un’efficace aiuto di difesa, tutti e singoli di qualunque dignità, stato, condizione, grado ed eccellenza, incorrano ipso facto alla pena di scomunica latae sententiae se hanno fatto il contrario, dalla quale nessuno può assolvere se non noi o il romano pontefice in carica, eccetto che in punto di morte e con previa riparazione, affinché con la più grande severità tu impedisca che in nessun modo presumano di ridurre in servitù i suddetti Indiani o di spogliarli dei loro beni, e contro i disobbedienti a questa dichiarazione, incorsi in tale scomunica, tu proceda oltre, e altre cose contro i suddetti e circa le cose necessarie o in qualche modo opportune, stabilisci, ordina e disponi, secondo prudenza, e sia vista in opera la tua probità e religiosità. Circa costoro concediamo a te con la presente libera e piena facoltà, contro i facenti il contrario e chiunque osteggia (quanto detto). Dato a Roma presso san Pietro, con l’anello del pescatore, il 29 maggio 1537, anno terzo del nostro pontificato. |
Note | |
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Bibliografia | |
Voci correlate | |