Persona
Il termine Persona rimanda ad un concetto filosofico-teologico introdotto dal Cristianesimo.
Dire persona è parlare di un essere spirituale sussistente, inoggettivabile ed indefinibile, caratterizzato da unità psicofisica, che si realizza pienamente solo in una relazione d'amore con gli altri e di apertura al trascendente. La relazione con gli altri trova spesso difficile tradursi in concreti atti d'amore, il che fa sì che la persona sia anche sempre segnata dalla sofferenza: la persona ha bisogno di dare e ricevere amore e comunione, e soffre per l'indifferenza e l'incomprensione.
Storia
Nel pensiero antico
I filosofi greci ignorano il concetto di persona. Parlano certamente dell'uomo, ma non gli attribuiscono quel valore che gli riconosce invece il pensiero ebraico-cristiano, in quanto oggetto dell'amore di Dio (cfr. Sal 8 ).
In latino persona significa maschera, personaggio teatrale identificato dalle relazioni con altri personaggi. L'aspetto relazionale rimarrà importante in tutta la successiva riflessione sul concetto di persona.
Nel cristianesimo
Col Cristianesimo si supera il tendenziale fisiocentrismo greco: l'uomo acquista una sua speciale dignità, perché è creato a immagine e somiglianza di Dio e perché Dio stesso, per redimerlo dal peccato, si fa uomo:
« | Dio si è fatto uomo. Che cosa diventerà l'uomo, se per lui Dio si è fatto uomo? » | |
« | La persona è ciò che esiste di più perfetto in natura. » | |
Il concetto di persona si è precisato nell'ambito delle controversie teologiche sulla Trinità: i teologi dei primi secoli, riflettendo sui dati biblici, sono giunti a capire che in Dio c'è una sola essenza e tre Persone, in relazione tra loro. La nozione di persona si applica quindi in primo luogo a Dio e secondariamente, in maniera analogica, all'uomo.
Nella Patristica, Dio è persona perché Dio è relazione, è pluralità e differenza nell'unità. Infatti, Dio è amore, e l'essere autentico della persona è la relazione fondata sull'amore.
La definizione di persona più famosa è stata data da Boezio:
« | La persona è "sostanza individuale di natura razionale". » |
Tale definizione va compresa in ognuno dei suoi termini:
- Sostanza: indica ciò che è in sé, e non in altro (come l'accidente); non ammette gradi, o c'è o non c'è.
- Individuale: significa indivisa, unita in sé, distinta da altre.
- Natura: è intesa come principio dinamico, attività.
- Razionale: indica la capacità di stabilire rapporti (ratio), relazioni.
Persona, dunque, indica una sostanza dinamicamente capace di porsi in relazione, aperta a ciò che è altro da sé.
Sulla relazione insistono soprattutto Agostino e Tommaso d'Aquino. Il Dio cristiano non è una sostanza monolitica, un assoluto in sé conchiuso, ma è Uno e Trino, e comprende in sé la pluralità e la differenza ("il Padre non è il Figlio"), pur essendo ciascuna Persona pienezza di essere. Le tre Persone non sono essenze, ma relazioni sussistenti, non sono né identiche né opposte, ma comunicanti in una relazione circolare in cui ciascuna è in quanto ama.
Nell'età moderna
Nell'età moderna, la natura "razionale" è sì rimasta il tratto distintivo della sostanza persona, ma la "ragione" è intesa come relazione non più con ciò che è fuori di noi, ma con se stessi. Per i pensatori dell'età moderna, l'autocoscienza è il dato primario: si tratta, allora, di una coscienza chiusa. Per tale modo di pensare, io ho prima di tutto coscienza di me, poi di tutte le altre cose, che però io ritrovo solo come idee in me stesso (idealismo gnoseologico). La mia anima è uno specchio che riflette la realtà, ma io conosco la realtà solo attraverso tale specchio.
Un esempio di ciò è la monade di Leibniz. Ma anche Locke sostiene che la persona sia un essere intelligente, pensante, che può considerare se stesso, cioè la cosa pensante che egli è, in diversi tempi e luoghi.
Ciò è collegato con un forte senso di incomunicabilità, tipico dell'età moderna, e con la visione del mondo come teatro o sogno.
Quel che conta è il rapporto del soggetto con se stesso. Si impongono la autonomia ed autosufficienza della persona, non la relazione e l'interdipendenza. Un chiaro esempio di questo, sul piano letterario, è la figura di Robinson Crusoe, nata dalla creatività di Daniel Defoe.
Nell'età contemporanea
La relazione tra persona ed amore, già emersa in epoca patristica, ritorna nei pensatori d'epoca contemporanea:
- Secondo Emmanuel Mounier, l'amore non si aggiunge alla persona come un di più, come un lusso; senza l'amore, la persona non esiste.
- Secondo Max Scheler, l'amore, per la persona, è "l'abitazione del suo esistere", "la legge che regola la struttura del suo ambiente".
- Secondo Gabriel Marcel, l'amore è "la vita che cambia centro".
Amare significa uscire da sé, scoprire che, proprio poiché possiamo donarci, siamo liberi. Posso donare solo ciò di cui dispongo pienamente, per cui fino a che non mi dono non ho la prova di essere veramente libero. È veramente nostro solo ciò che condividiamo. Ci fa ricchi quello che doniamo.
Il Novecento recupera la nozione di persona come relazione con qualcosa che è fuori di sé (intenzionalità della coscienza). Interessante è il fatto che la filosofia preferisca accantonare l'idea di ragione, come espressione di questa relazione, proprio per marcare la differenza con l'età moderna, che ha identificato la ragione con l'autocoscienza.
Max Scheler (1874-1928), discepolo di Edmund Husserl, pone la persona al centro della sua etica: il libro Il formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori (1913-16), considerata la sua opera più importante, reca come sottotitolo Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico. Scheler sostiene che ciò che caratterizza la persona non è la ragione (intesa come autocoscienza o intelligenza operativa), ma lo spirito, che è trascendenza, intenzionalità:
« | All'essenza della persona pertiene il fatto di esistere e vivere unicamente nel processo di compimento di atti intenzionali. » |
La persona è inoggettivabile, si rivela negli atti che compie, ma non si esaurisce in quelli: un bacio rivela l'amore, ma non si identifica con l'amore. La persona non può mai essere veramente compresa a partire da quello che fa, ma da ciò verso cui tende[1].
Ogni atto è intenzionale, perché è aperto ai valori, essenze oggettive e assolute che esistono indipendentemente dalla persona, che la persona accoglie, ma di cui non è la fonte. Il movimento verso i valori è l'amore. I valori, che cogliamo non con la ragione, ma coll'intuizione sentimentale (cfr. Blaise Pascal), ci si presentano in un ordine gerarchico ben preciso: sensoriali (piacevole), vitali (salute), spirituali (bello, giusto, vero), religiosi (santo).
Quel che fa sì che l'uomo sia persona è la sua emancipazione esistenziale da ciò che è organico, la sua libertà di dire no alla vita, cioè anteporre ai valori vitali quelli spirituali o del sacro. L'uomo non ha mai considerato la vita come il più alto dei beni da conseguire, ma questo fatto non si spiega da un punto di vista biologico: se l'uomo non è riducibile ad una dimensione meramente biologica, non si può fondare l'etica su principi biologici. Quando ci si fonda sulla biologia, come nel nazismo, si finisce per cadere in una tanatologia: prevale cioè la scienza della morte su quella della vita.
Anche il rispetto buddista per ogni forma di vita, per ogni essere senziente, non si basa su di un principio biologico (non assolutizza i valori vitali, anzi considera l'attaccamento alla vita come negativo), ma è la conseguenza di un valore spirituale: la bontà.
Così, l'essenza dell'uomo è trascendere se stesso: la persona è teomorfa, è orientata a Dio.
« | Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te. » | |
(Sant'Agostino)
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« | L'uomo eccede infinitamente l'uomo. » | |
(Blaise Pascal)
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Secondo Kierkegaard, ogni cosa è della stessa qualità di ciò con cui viene misurata. Per l'uomo, ciò che qualitativamente è la sua misura, eticamente è la sua meta (La malattia mortale). L'uomo non è limitato, ma è tanto più valorizzato quanto la misura è più grande di lui:
« | Che accento infinito ricade sull'uomo quando riceve come misura Dio! » |
Secondo Scheler solo l'amore consente, alla persona indirizzata dall'amore al valore più alto, la comprensione totale dell'altro, anch'egli riconosciuto nella sua tensione al valore più alto:
« | L'amore moralmente valido non ama le proprietà, le doti, le attività di una persona, ma ama la persona per se stessa, continuerà ad amarla anche quando muteranno le proprietà e le attività. » |
Queste idee influenzano la filosofia cattolica del Novecento: ad esempio quella di Karol Wojtyla[2] o di Emmanuel Mounier.
Emmanuel Mounier (1905-1950) fonda nel 1932 la rivista Esprit, attorno alla quale nasce il movimento del personalismo comunitario, le cui linee programmatiche sono esposte nella raccolta Rivoluzione personalista e comunitaria (1935) e nel Manifesto al servizio del personalismo (1936).
Anche per Mounier, la persona è il centro invisibile di una presenza spirituale, inoggettivabile ed indefinibile, a cui tutto si riporta, corpo ed anima, pensiero ed azione. Ha tre dimensioni:
- incarnazione (essere in): la persona è corporea;
- vocazione (essere per): la persona nasce sempre da una chiamata (da parte della Trascendenza e verso la Trascendenza), da un appello, che presuppone una risposta libera, non da un comando, un'imposizione;
- comunione (essere con): la persona è sempre in relazione ad altre persone.
Dire persona significa dire comunità, ma mai in senso totalitario e assoluto, perché l'unico assoluto è Dio: il mondo è relativo, come ben sa chi ha un riferimento oltremondano; né individualismo né collettivismo.
Il riferimento religioso è ben presente anche in Jacques Maritain (1882-1973), amico di Mounier ed importante esponente del neotomismo, movimento che, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, segna la riscoperta dell'attualità del pensiero di Tommaso d'Aquino. La proposta di Maritain è quella di un "umanesimo integrale" che valorizzi ogni persona come centro di libertà e comunione, secondo l'intelligenza e l'amore, in una società democratica e giusta.
La persona ha una radice metafisica: ogni uomo è persona per essenza. Ma è anche il compito di una vita:
« | L'uomo deve guadagnarsi la sua personalità come la sua libertà e deve pagarla a caro prezzo. » | |
(Distinguere per unire)
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La persona, che non va mai persa sul piano metafisico, può subire molti scacchi e fallimenti su quello psicologico e morale, a causa delle sue meschinità, vanità, cattive abitudini e predisposizioni ereditarie, e del suo egoismo.
« | Colui che è persona, e sussiste tutto intero della sussistenza della sua anima, è anche indivisibile nella specie e polvere nel vento. » | |
(Ib.)
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Per questo, affinché la radice metafisica della persona si attui, l'uomo ha bisogno dei suoi simili. La società è necessaria al compimento della dignità umana, in primo luogo in virtù di quell'apertura alla conoscenza e all'amore che è caratteristica della persona in quanto essere relazionale, in secondo luogo in ragione dei suoi bisogni: tra tutti gli animali, il piccolo dell'uomo è il più bisognoso di cure, il meno autosufficiente.
Il rapporto con la società è, però, dialettico. Ne La persona e il bene comune, Maritain afferma:
« | L'uomo trova se stesso subordinandosi al gruppo; il gruppo raggiunge il suo fine solo servendo l'uomo e sapendo che l'uomo ha una vocazione che il gruppo non contiene. » |
L'uomo, come individuo biologico, è parte del tutto, si deve sottomettere al gruppo, ma, come persona, è un tutto nel tutto[3]. Il modello è la Trinità: "Tantum est Pater quanta tota Trinitas" (Tommaso). Non si può subordinare la persona al tutto: lo Stato può impormi l'uso delle cinture di sicurezza, ma non la meta dei miei viaggi. Il fine dello stato è il bene comune, che è diverso dalla somma dei beni privati (concezione liberale), ed è diverso dal bene di un tutto che sacrifica a sé le parti (concezione etica, preludio ai totalitarismi). Il bene comune esige il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona, deve favorire il massimo sviluppo possibile della persona: deve perciò riconoscere che la persona è ordinata ad un fine che trascende lo Stato: il Sommo Bene, cioè Dio.
Grazie a uomini come Giorgio La Pira (1904-1977), giurista deputato alla Costituente, sindaco di Firenze, questa posizione è arrivata anche nella nostra Costituzione (art. 3).
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
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