Testimonium Flavianum
Il termine Testimonium Flavianum indica un passo contenuto nelle Antichità giudaiche[1], scritte dallo storico ebreo Flavio Giuseppe, particolarmente rilevante per il dibattito sulla storicità di Gesù in quanto, assieme ad un altro passo più sintetico delle stesse Antichità giudaiche[2], costituisce uno tra i primi documenti storici di origine non cristiana a menzionare Gesù: l'opera fu infatti pubblicata nel 93-94 d.C. Il brano ci è pervenuto in due versioni: la versione greca e la versione araba. La presenza, nella versione greca, di espressioni favorevoli alla divinità e messianicità di Gesù, impossibili da attribuire ad un ebreo osservante come Flavio Giuseppe, hanno fatto sorgere un ampio dibattito tra gli studiosi sull'autenticità del brano. Dopo la scoperta, nel 1971, della versione araba, sostanzialmente priva degli elementi elogiativi presenti nella versione greca, la maggior parte degli studiosi è orientata a considerare il Testimonium Flavianum un brano presente nel testo originale delle Antichità giudaiche, pervenutoci, almeno nella versione greca, con alcune modifiche e interpolazioni, facilmente identificabili, introdotte da mano cristiana. Dette modifiche non inficiano in alcun modo l'importanza del Testimonium nel confermare l'esistenza storica di Gesù Cristo.
Antichità giudaiche e Testimonium flavianum (versione greca)
Per approfondire, vedi la voce Giuseppe Flavio |
Giuseppe Flavio fu uno scrittore e storico ebreo. Discendente dai nobili Asmonei e imparentato con la classe sacerdotale di Ioarib, fu avviato alla carriera politica, divenendo legato del Sinedrio, e successivamente governatore della Galilea e generale delle truppe che combatterono contro i Romani durante la prima guerra giudaica (66-74). Sconfitto dopo il lungo assedio di Iotapa e unico superstite, fu catturato e divenne collaborazionista del generale e successivamente imperatore Tito Flavio Vespasiano. Trasferitosi a Roma alla corte imperiale, scrisse due opere storiche in lingua greca, la Guerra giudaica (75), in cui racconta la rivolta ebraica e la sua soppressione da parte di Vespasiano, e le Antichità giudaiche (93-94 d.C), in cui narra la storia del suo popolo da Abramo ai suoi tempi.
Il primo brano delle Antichità giudaiche in cui viene menzionato Gesù, quello propriamente noto come testimonium flavianum, recita:
« | Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d'altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani. » | |
(Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XVIII.63-64)
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In un brano successivo, Giuseppe Flavio racconta della condanna a morte per lapidazione di Giacomo il Minore, avvenuta nel 62 in questi termini:
« | Anano [...] convocò il sinedrio a giudizio e vi condusse il fratello di Gesù, detto il Cristo, di nome Giacomo, e alcuni altri, accusandoli di trasgressione della legge e condannandoli alla lapidazione. » | |
( Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XX.200)
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Questo secondo brano è sempre stato considerato autentico dalla maggioranza dei studiosi. Il testo del Testimonium Flavianum sopra riportato costituisce la versione greca, ed è presente in tutti manoscritti greci e latini conosciuti delle Antichità giudaiche, a partire dal documento più antico in assoluto in nostro possesso, databile all'XI secolo d.C., il Codice Ambrosiano gr. 370, conservato a Milano presso la Biblioteca Ambrosiana, con la segnatura F 128 sup. Esso inoltre è già citato da Eusebio di Cesarea (265-340 d.C. circa) nel IV secolo, nella Dimostrazione Evangelica III, 3, 105-106, nella Storia Ecclesiastica I, 11 e nella Teofania.
La disputa sulla versione greca del "Testimonium Flavianum"
La versione greca del Testimonium Flavianum contiene alcune espressioni elogiative finalizzate a rimarcare la soprannaturalità di Gesù Cristo, le quali non possono essere attribuite alla penna originale di Giuseppe Flavio. Modifiche ed interpolazioni del testo originale, anche involontarie (per esempio mediante l'incorporazione di glosse nel testo) sono possibili, in quanto, per lo meno nei manoscritti recanti la versione greca, essa ci è pervenuta tramite copisti cristiani. In base alla valutazione dell'entità di queste modifiche nel complesso del brano, gli studiosi si sono divisi su tre posizioni:
- il Testimonium Flavianum è completamente autentico
- il Testimonium Flavianum è completamente falso
- il Testimonium Flavianum è presente nel testo originale delle Antichità giudaiche, ma ci è pervenuto inquinato da aggiunte e modifiche, il cui peso è da valutarsi.
Esaminiamo le argomentazioni favorevoli e contrarie a ciascuna delle tre ipotesi.
IPOTESI NUMERO 1
Argomentazioni a sostegno della completa autenticità del Testimonium Flavianum | Argomentazioni contrarie |
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Il Testimonium Flavianum è già citato in data molto antica, nelle opere di Eusebio di Cesarea (265-340 d.C.) | Autori cristiani più antichi di Eusebio, come Origene, pur conoscendo le opere di Giuseppe Flavio, non fanno mai riferimento al Testimonium Flavianum, il quale potrebbe esser stato aggiunto alle Antichità giudaiche in epoca remota, posteriore ad essi ma precedente ad Eusebio di Cesarea |
Tutti i manoscritti greci e latini pervenutici delle antichità giudaiche contengono il Testimonium Flavianum | Tutti manoscritti greci e latini pervenutici potrebbero derivare da una sola copia, manipolata in epoche remote con l'aggiunta del Testimonium |
Alcune frasi contenute nel Testimonium, come: "sempre che si debba definirlo uomo", "questi era il Cristo", " Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia di altre meraviglie riguardo a lui", non possono essere attribuite ad un ebreo come Giuseppe Flavio, bensì ad un cristiano | |
È possibile fornire traduzioni del Testimonium Flavianum differenti da quella comunemente accettata, nelle quali i termini elogiativi sono sostituiti da termini neutri o dispregiativi nei confronti di Gesù.[3] |
IPOTESI NUMERO 2
Argomentazioni a sostegno della totale falsità del Testimonium Flavianum | Argomentazioni contrarie |
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Alcune frasi contenute nel Testimonium, come: "sempre che si debba definirlo uomo", "questi era il Cristo", " Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui", non possono essere attribuite ad un ebreo come Giuseppe Flavio, bensì ad un cristiano | Le frasi potrebbero essere state aggiunte o modificate da un copista cristiano su un testo originale di Flavio Giuseppe, al fine di rimarcare gli aspetti soprannaturali di Gesù Cristo. Privato delle presunte interpolazioni, che anche nel testo greco appaiono come incisi in forma parentetica, il testo non perde significato logico o grammaticale, ma acquista scorrevolezza e non è dissimile dallo stile di Giuseppe Flavio |
Il Testimonium flavianum costituisce una discontinuità logica nella narrazione, nel contesto del libro XVIII delle Antichità Giudaiche. Esso infatti compare dopo il racconto di due sommosse tra i Giudei causate da decisioni impopolari prese dal governatore Pilato ed è seguito dalla frase: "In quel periodo un altro fatto doloroso provocò una rivolta dei Giudei (...)" (cfr. Ant. 18:65), la quale sembra ricollegarsi direttamente al secondo dei tumulti, nel quale morirono parecchie persone, piuttosto che alle vicende di Gesù Cristo | Il Testimonium Flavianum, narrando della morte in croce di un uomo saggio, condannato da Pilato, trova proprio qui la sua collocazione più consona, costituendo una delle angherie del governatore romano, al pari dei due fatti appena narrati. La traduzione corretta di Ant. 18:65 è: " In quel periodo un altro fatto terribile provocò turbamento tra i Giudei (...)", espressione che meglio può riferirsi alla morte in croce di Gesù, piuttosto che introdurre il racconto di una rivolta dei Giudei di cui poi non si trova traccia nel resto della narrazione |
Gli eventi di cui fu protagonista Pilato vengono riportati anche in Guerra giudaica, mentre non vi è alcun cenno a Gesù Cristo | In generale Antichità Giudaiche, scritta circa una ventina di anni dopo Guerra Giudaica, presenta maggiori dettagli relativi alle epoche storiche non riguardanti direttamente la guerra del 66-74 d.C.; anche i passi relativi a Giovanni il battista e a Giacomo il giusto, ritenuti autentici da tutti gli studiosi, mancano in Guerra giudaica |
Alcuni autori sostengono l'esistenza di antichi manoscritti delle Antichità Giudaiche privi del Testimonium flavianum (confronta L. Gordon Rylands, Did Jesus Ever Live?, Watts & Co., London, 1929, pag. 20.) | Questa affermazione è totalmente falsa: non esiste alcun riscontro oggettivo relativo a tali manoscritti. Tutte le copie greche e latine note di Antichità giudaiche contengono il Testimonium Flavianum |
La presenza nel Testimonium della frase "Fino ad oggi ed attualmente non è venuto meno il gruppo di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani" presuppone la presenza dell'inciso "Questi era il Cristo", altrimenti non esisterebbe alcun collegamento logico tra il nome Gesù ed il termine Cristiani. D'altra parte noi sappiamo che Giuseppe Flavio non riteneva che Gesù fosse il Cristo. A questo punto bisogna considerare anche la frase sui cristiani un'interpolazione ed il testo diventa talmente corrotto da non poterlo più considerare attendibile in alcun punto. | La frase potrebbe essere stata presente nel Testimonium originale espressa in forma dubitativa, tipo: "questi era detto il Cristo"[4], successivamente modificata. Alcuni studiosi si sono spinti anche oltre, ritenendo che la frase sui cristiani potesse esistere indipendentemente dalla presenza nel testo del termine Cristo, purché l'autore ritenesse che il collegamento fosse sufficientemente noto ai suoi lettori e che esplicitare ulteriormente la relazione costituisse un'inutile ridondanza.[5] |
Il Testimonium flavianum non viene mai citato nelle opere dei primi padri della Chiesa, quali Giustino Martire, Teofilo di Antiochia, Melito di Sardi, Ireneo di Lione, Clemente di Alessandria, Tertulliano, Ippolito, Origene, Metodio o Lattanzio. Il primo autore a citarlo è Eusebio di Cesarea nel IV secolo. Molti degli scrittori citati conoscevano bene le opere di Flavio Giuseppe; l'assenza di riferimenti al Testimonium prima di Eusebio ha fatto nascere il sospetto che fosse proprio quest'ultimo l'autore del brano o delle sue interpolazioni. | Nelle dispute tra pagani e cristiani del II e III secolo non era mai messa in discussione la storicità di Gesù, quanto la sua natura umana/divina e le sue proprietà. Se i primi cristiani avessero avuto a disposizione il Testimonium flavianum depurato delle interpolazioni più evidenti, esso sarebbe servito loro solo per attestare l'esistenza di Gesù, non certo le sue doti divine. Ai fini apologetici il Testimonium sarebbe risultato inutilizzabile, il che ne spiegherebbe la mancata citazione.[6] |
Il Testimonium è insolitamente corto per lo stile narrativo di Giuseppe, il quale di solito tende a prolungarsi maggiormente in particolari e dettagli, come nel caso dei brani relativi a Giovanni il Battista e Giacomo il giusto. Questo potrebbe far pensare ad un falsario imbarazzato, il quale cerchi di inserire il meno possibile, di quanto gli è necessario, in modo tale da non essere scoperto. | Dovendosi inventare di sana pianta un brano su Gesù Cristo, un autore cristiano avrebbe avuto al contrario la tentazione di dilungarsi maggiormente in particolari, proprio per non sminuirne l'importanza storica nei confronti di altri personaggi citati nelle medesime Antichità giudaiche. Inoltre avrebbe inserito presumibilmente il brano subito dopo quello di Giovanni il Battista, ricostruendo la continuità narrativa presente nei Vangeli. |
Steve Mason, in Josephus and the New Testament, Peabody, Hendrikson Publisher, 1992, osserva che in alcuni punti il Testimonium non è congruente con lo stile letterario di Giuseppe Flavio, in quanto vi vengono utilizzate alcune parole in un modo che non è caratteristico di Giuseppe. Per esempio, la parola che viene tradotta con ‘autore’ nella frase ‘era infatti autore di opere straordinarie’ nel testo greco è ποιητής, termine da cui deriva in italiano la parola ‘poeta’. Etimologicamente ‘poeta’ significa infatti ‘creatore’. Ma ai tempi di Giuseppe Flavio la parola ποιητής aveva il significato odierno di 'poeta' ed era usata piuttosto per riferirsi ai poeti in senso letterario: così infatti in altri punti la usa Giuseppe (nove volte) per parlare di poeti greci come Omero | È possibile che con tale locuzione Giuseppe Flavio non intendesse riferirsi ai miracoli di Gesù, quanto piuttosto alle sue parabole, riconoscendogli doti di straordinario narratore. |
Un'altra osservazione di Mason riguarda l'utilizzo del termine "tribù" nella frase finale del Testimonium: "(...) la tribù di quelli che da costui sono chiamati cristiani". Il termine greco adoperato, "ful" è utilizzato da Flavio Giuseppe in riferimento a gruppi etnici ben definiti, quali potevano essere i Giudei (Guerra Giudaica, 3.354; 7.327), i Tauri (Guerra Giudaica, 2.366) e i Parti (Guerra Giudaica, 2.379). È piuttosto strano che adoperi la stessa parola per indicare i cristiani come se si trattasse di un gruppo razziale diverso dagli ebrei. Mason fa inoltre notare che l'uso di definire i cristiani "una razza" è invece comune ad autori cristiani più recenti, a partire dal solito Eusebio di Cesarea, il quale, nel citare Tertulliano sulla lettera di Traiano a Plinio il Giovane (Storia Ecclesiastica, 3.33.2-3), utilizza la costruzione to cristianon fulon. | La risposta viene fornita dal Testimonium stesso, in cui si afferma che il seguito di Gesù era costituito sia da Giudei, sia da Greci: questa mescolanza etnica ammette l'utilizzo del termine "tribù" proprio per far risaltare la differenza razziale di questo gruppo dai due gruppi originari. È possibile che Flavio Giuseppe considerasse i cristiani una sorta di razza mista, distinta dagli ebrei a causa della presenza di componenti provenienti dal mondo ellenico-romano.
L'uso del termine "ful" (= "tribù") attribuito ai cristiani non ha precedenti anteriori a Eusebio, ma è anche vero che costruzioni molto simili sono presenti in autori ben più antichi: Giustino Martire (100-165 d.C. circa), nel trattato apologetico noto come Dialogo con Trifone, 119.4, e lo storico romano Svetonio (70-126 d.C.), in Vita Neronis XVI, 2. |
Lo studioso K.Olson ha notato una notevole affinità tra alcune espressioni tipiche di Eusebio di Cesarea ed il linguaggio adoperato nel Testimonium flavianum, al punto da rendere lecito il sospetto che sia proprio Eusebio l'autore del Testimonium. Per esempio, nel suo scritto Contro la difesa di Ierocle, Eusebio afferma che, dovendo ritenere vere le imprese soprannaturali compiute da Apollonio di Tiana, questi sarebbe da ritenere un mago o uno stregone, piuttosto che un "uomo saggio" (Contro Ierocle, 5) . La costruzione παραδόζων έργων ποιητής, che compare nel Testimonium flavianum, è relativamente comune negli scritti di Eusebio di Cesarea, ed adoperata per descrivere Gesù nella Dimostrazione Evangelica, 114-115, 123, 125 oltre che nella Storia Ecclesiastica, 1.2.23. (Confronta Bastia G. , "Storicità di Gesù Cristo dalle fonti extra cristiane - Giuseppe Flavio", 2008). | Conosciamo almeno due altre occasioni in cui Flavio Giuseppe utilizza l'espressione "uomo saggio": Antichità giudaiche 8.53 (in cui parla del re Salomone) e Antichità giudaiche 10:237 (in cui parla del profeta Daniele). Quindi tale costruzione risulta attestata per Giuseppe e, pur essendo strano che abbia potuto tributare a Gesù un tale titolo onorifico, riservato a re e profeti, l'ipotesi non può essere scartata a priori, non esistendo nei suoi scritti attacchi o pregiudiziali nei confronti dei cristiani.
La locuzione "opere paradossali" viene utilizzata da Flavio Giuseppe per indicare i miracoli compiuti dal profeta Elia in Antichità giudaiche 8,348 e 9,182, risultando quindi attestata in questo autore, ben prima che Eusebio di Cesarea. È inoltre possibile che Eusebio abbia volutamente utilizzato nei propri scritti espressioni che in buona fede riteneva che Giuseppe Flavio avesse tributato a Gesù, senza dover per forza ipotizzare falsificazioni da parte del primo. |
Anche l'espressione "uomini notabili tra noi" è stata contestata, in quanto Flavio Giuseppe, generalmente, tende a raccontare gli eventi come se egli non fosse un ebreo, bensì un osservatore neutrale, se non addirittura un romano. Parlando dei notabili ebrei utilizza quindi espressioni quali "uomini notabili di Gerusalemme", "uomini notabili della città" (confronta: Vita) | La regola di parlare degli ebrei quasi come se egli non fosse uno di loro non è sempre rispettata da Giuseppe. Per esempio in Antichità giudaiche 20.9.1 egli adopera l'espressione "... un fatto che non accadde mai ad alcuno dei nostri sommi sacerdoti", identificandosi pienamente come un appartenente alla religione ed al popolo ebraici. |
Per un falsario, sarebbe stato assai semplice creare un brano nel tipico stile di Giuseppe Flavio, da inserire ex novo nelle Antichità giudaiche. | In questo caso non si comprenderebbe quale assurdo motivo avrebbe spinto detto falsario a faticare tanto per ingannare i lettori, imitando lo stile di Giuseppe, per poi inserire interpolazioni così chiaramente non flaviane da essere immediatamente identificabili e rigettate. |
Il pensiero politico di Giuseppe Flavio, fariseo e filo-romano, doveva essere doppiamente ostile nei confronti dei cristiani, uniformandosi all'opinione degli storici romani a lui contemporanei, che consideravano il cristianesimo una barbara superstizione. Quindi o non scrisse nulla sui cristiani, non ritenendoli meritevoli di menzione, o ne scrisse in toni estremamente negativi, successivamente mitigati dai copisti | Giuseppe Flavio, nelle Antichità giudaiche, fornisce un ritratto essenzialmente positivo sia di Giovanni il Battista (nonostante questi sia stato fatto giustiziare dal tetrarca Erode Antipa, alleato di Tiberio), sia degli Esseni (nonostante la strenua e feroce resistenza opposta da questi contro i Romani). Una predicazione essenzialmente spirituale come quella di Gesù chiamato il Cristo non poteva comportare il serio pericolo di sommosse contro l'autorità romana, quindi non poteva essere considerata disdicevole dal collaborazionista Giuseppe. Nelle sue opere non compaiono mai condanne o invettive nei confronti dei cristiani (al contrario di quanto farà verso gli Zeloti, considerati i veri responsabili della rovina di Gerusalemme e del tempio |
G.J. Goldberg, in uno studio chiamato The coincidences of the Testimonium of Josephus and the Emmaus narrative in Luke, pubblicato in The Journal for the study of the Pseudoepigrapha, 13, 1995, pgg. 59-77, ha evidenziato che esiste un solo testo, in tutta la letteratura greca antica, che contenga le parole "Gesù", "uomo" ed "opere" nel medesimo ordine e abbastanza ravvicinate come le ritroviamo nel Testimonium Flavianum: si tratta di Lc 24,19, in cui la traduzione "profeta" deriva dal termine originale άνήρ προφήτης, che significa "uomo profeta" o "uomo profetico". Qualcuno ha suggerito quindi che l'intero Testimonium Flavianum sia opera di un copista cristiano che si è ispirato al brano evangelico dei discepoli di Emmaus | Goldberg stesso propone una conclusione differente. Secondo lo studioso, Flavio Giuseppe e l'evangelista Luca attinsero separatamente le loro informazioni da un documento molto più antico e autorevole, oggi andato perduto. Vista la data di stesura delle Antichità giudaiche, si può anche ipotizzare che Flavio Giuseppe abbia utilizzato direttamente il Vangelo di Luca come fonte per il Testimonium Flavianum. |
IPOTESI NUMERO 3
Argomentazioni a sostegno della parziale interpolazione del Testimonium Flavianum | Argomentazioni contrarie |
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Le presunte interpolazioni sono indipendenti dal testo e, anche nella versione originale in greco, si presentano come incisi o in forma parentetica, come se fossero state palesemente aggiunte in un secondo momento, rispetto alla stesura iniziale del brano. Privato delle interpolazioni, il brano non solo mantiene un ottimo senso grammaticale e logico, ma diventa persino più scorrevole. L'assenza del collegamento tra il termine "cristiani" e l'appellativo di "Cristo" riferito a Gesù, potrebbe essere giustificato in base alle osservazioni effettuate da Meier e riferite in precedenza. Depurato delle presunte aggiunte, il brano non è più in contrasto con le convinzioni religiose e politiche del suo autore, il quale mantiene verso Gesù un atteggiamento sostanzialmente benevolo, per il quale, del resto, non esistono confutazioni nel resto della sua produzione letteraria. | |
Fatta eccezione per le sezioni chiaramente interpolate, il vocabolario del Testimonium Flavianum è coerente con lo stile letterario di Giuseppe (confronta Thackeray: Josephus: the Man and the Historian, New York, 1929, pp. 136-149). La frase iniziale "ci fu verso quel tempo" è frequentemente adoperata da Giuseppe Flavio. Anche l'appellativo "uomo saggio" è utilizzato per definire grandi personaggi, come il profeta Daniele (Ant.giud. 10, 237) ed il re Salomone (Ant.giud. 8, 53). L'utilizzo del termine "tribù" per definire i cristiani richiama l'uso che Giuseppe ne fa per identificare gruppi etnici veri è propri, dal momento che alla nuova setta aderiscono sia Giudei, sia Greci. Se l'espressione "opere paradossali" si riferisce ai miracoli di Gesù, anziché alle parabole, essa rappresenta una forte discontinuità nei confronti del linguaggio usato nel Nuovo Testamento e dei primi cristiani. Nei Vangeli, per indicare i miracoli, vengono adoperate le parole dunamin (plurale: dunameis = miracoli), sêmeion (plurale sêmeiôn = segni), terata (= prodigi). La locuzione "opere paradossali" non viene mai usata. In compenso viene utilizzata da Flavio Giuseppe per indicare i miracoli compiuti dal profeta Elia in Antichità giudaiche 8,348 e 9,182, risultando quindi attestata in questo autore, ben prima che Eusebio di Cesarea ne facesse ampio uso nelle sue opere. | |
Un ipotetico falsario cristiano, autore del Testimonium nella sua interezza, non avrebbe inserito il brano in corrispondenza delle vicende di Ponzio Pilato, bensì subito dopo la narrazione relativa a Giovanni il Battista, per ricostruire la continuità narrativa dei Vangeli | |
Secondo alcuni autori, inventarsi dal nulla un brano come il Testimonium Flavianum, inserendolo in un'opera allora ben nota ai contemporanei, come le Antichità giudaiche, sarebbe stato un gesto ben più che temerario, poiché qualcuno, specie tra gli scrittori di parte avversaria, avrebbe potuto accorgersene e far passare al falsario, o a chi se ne serviva come argomento a favore, dei seri guai. | La possibilità teorica di creare falsi è sempre possibile, come provano la comparsa in epoca medievale di una versione ebraica falsa (detta di Yosef ben Gorion, ovvero Yosippon) e l'esistenza di una versione slava interpolata in più punti e in molte parti completamente inattendibile. C'è da dire che questi casi non hanno retto al vaglio della critica. |
Nel Testimonium Flavianum la condanna a morte di Gesù è imputata al solo Ponzio Pilato. Un falsario cristiano, sulla falsariga dei Vangeli e degli Atti degli apostoli, avrebbe enfatizzato il ruolo svolto dal sinedrio e dai sommi sacerdoti nell'arresto e nel processo. Nel Testimonium, invece, ai notabili ebrei è imputata esclusivamente la denuncia di Gesù, mentre la punizione è decisione esclusiva dell'autorità romana. | |
In due brani di Origene, e precisamente nel Commentario a Matteo (10.17) e in Contra Celsum (1. 47), l'autore cristiano, riferendosi a Flavio Giuseppe, afferma con chiarezza che questi non credeva che Gesù fosse il Cristo. Un'affermazione così perentoria, se da un lato conferma che l'inciso "Questi era il Cristo", inserito nel Testimonium Flavianum, è da rigettare come un falso, perlomeno se espresso in questa forma non dubitativa, dall'altro lato induce a ricercare nelle opere di Giuseppe un brano in cui questa assenza di fede in Gesù quale Messia sia ben esplicitata. Viene spontaneo cercare tale brano proprio dove sono presenti riferimenti a Gesù, quindi nello stesso Testimonium Flavianum, oppure in Antichità giudaiche 20.9.1. Per ora basti la considerazione che l'espressione "Giacomo, il fratello di Gesù detto il Cristo" di Ant.giud. 20.9.1 non è abbastanza probante del pensiero di Giuseppe, limitandosi a riferire l'appellativo di Gesù, senza entrare nel merito di quanto esso fosse calzante o meno. Resta quindi solo il Testimonium, nel quale l'ipotesi più realistica è quella che fosse presente in origine una frase contenente il termine "Cristo" (al quale rimandare il termine "cristiani" dell'ultima riga), unito a qualche considerazione di Giuseppe dal significato inequivocabile. Qualcosa del tipo: "questi era creduto il Cristo", oppure "questi era chiamato Cristo". | G. Bastia fa notare che, per dedurre che Flavio Giuseppe non credeva che Gesù fosse il Cristo, basta fare riferimento a Guerra giudaica 6.5.4, in cui lo stesso Giuseppe afferma che il Messia atteso dai profeti era Vespasiano.[7] |
Il secondo riferimento a Gesù Cristo in Antichità giudaiche (riportato in 20.9.1) è espresso in forma tale da presupporre l'esistenza di un riferimento precedente, quale potrebbe essere quello contenuto nel Testimonium Flavianum di Antichità giudaiche 18.3.3. Identificare Giacomo in base alla parentela con il fratello, piuttosto che con il padre, significa che il fratello doveva essere un personaggio ben noto. Se Giuseppe gli attribuisce tale importanza, è lecito attendersi che ne parli direttamente in qualche altro brano. Nello specifico, l'accenno di Antichità giudaiche 20.9.1 sembra rimandare direttamente a quanto narrato nel precedente Antichità giudaiche 18.3.3. | G. Bastia illustra un paio di esempi, riferiti al medesimo soggetto, in cui Flavio Giuseppe identifica un determinato personaggio (il procuratore della Giudea, Antonio Felice) mettendolo in relazione con un altro personaggio (il fratello, chiamato Pallante), il quale tuttavia non è mai menzionato in precedenza nel testo.[8] Si tratta di un caso estremo dovuto al fatto che Pallante era un personaggio molto noto all'epoca di Flavio Giuseppe. Se Giuseppe avesse considerato Gesù Cristo molto noto ai suoi contemporanei, avrebbe anche potuto riportare il solo accenno in Antichità giudaiche 20.9.1, senza dilungarsi in spiegazioni. Questo è certamente possibile, ma in questo caso non si spiegherebbe come mai un personaggio che visse ed operò nella Palestina del primo secolo d.C., talmente famoso da non aver bisogno di chiarimenti sulla propria identità, non abbia meritato di essere trattato in un capitolo appositamente dedicato, in un libro di storia locale come le Antichità giudaiche. |
La scoperta recente della versione araba del Testimonium Flavianum, nella quale il contenuto è analogo a quello della versione greca, ma mancano tutte le espressioni ritenute dubbie dagli studiosi, ha confermato l'ipotesi di un Testimonium presente nel testo originale delle antichità giudaiche, pervenutoci con limitate alterazioni di mano cristiana |
Versione araba
Nel 1971 il professor Shlomo Pinés dell'Università Ebraica di Gerusalemme pubblicò la traduzione di una diversa versione del testimonium, come citato in un manoscritto arabo del X secolo. Il brano compare ne Il libro del Titolo dello storico arabo cristiano, nonché vescovo melchita di Hierapolis Bambyce, Agapio, morto nel 941. Agapio riporta solo approssimativamente il titolo dell'opera di Giuseppe ed afferma chiaramente che il suo lavoro è basato su una più antica cronaca in siriaco di Teofilo di Edessa (morto nel 785), andata persa; ciò suggerisce che il testimonium di Agapio sia una parafrasi di quello presente nella cronaca perduta di Teofilo. La versione del testimonium di Agapio è:
« | Egli afferma nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: «In questo tempo viveva un uomo saggio che si chiamava Gesù, e la sua condotta era irreprensibile, ed era conosciuto come un uomo virtuoso. E molti fra i Giudei e le altre nazioni divennero suoi discepoli. Pilato lo condannò a essere crocifisso e morire. E quelli che erano divenuti suoi discepoli non abbandonarono la propria lealtà per lui. Essi raccontarono che egli era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione, e che egli era vivo. Di conseguenza essi credevano che egli fosse il Messia, di cui i Profeti avevano raccontato le meraviglie». » | |
(Traduzione di Shlomo Pines, citata da J.D. Crossan.)
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Il testo fornito da Pines deriva principalmente dalla citazione di questo brano di Agapio fatta dal successivo storico arabo-cristiano Al-Makin, che contiene materiale ulteriore rispetto al manoscritto Firenze che, unico, contiene la seconda metà dell'opera di Agapio. Pines afferma che questa potrebbe essere una registrazione più accurata di quanto scritto da Giuseppe, in quanto manca di quelle parti che spesso sono state considerate interpolazioni di copisti cristiani.
Il testo di Agapio è particolarmente importante in quanto non solo è privo di quelle affermazioni cristiane contestate dai critici nella versione greca (risultando quindi perfettamente compatibile con quello che doveva essere il pensiero di Giuseppe Flavio), ma anche di tutte le espressioni contestate dalla critica in quanto ritenute incompatibili con lo stile di Giuseppe. Compare anche chiaramente il collegamento tra l'appellativo Cristo e Gesù, pur non essendo riportata la frase finale che precisa la derivazione del termine cristiani (ma è semplicemente possibile che Agapio non l'abbia ricopiata).
L'apparizione di Gesù vivo tre giorni dopo la crocifissione e la conclusione che ne deriva, secondo la quale egli doveva essere il Cristo annunciato dai profeti, risultano in questo brano l'oggetto del racconto dei discepoli, e non l'opinione di Giuseppe. In pratica, in un colpo solo, vengono spazzate via tutte le obiezioni sollevate dalla critica in trecento anni di esegesi.. Dato che è impensabile che il vescovo Agapio abbia volutamente modificato in senso minimizzante il brano di Giuseppe nei confronti di Gesù, non possiamo che dedurne che egli disponesse di una versione del Testimonium più simile all’originale e ancora priva delle interpolazioni che Olson attribuisce ad Eusebio.
Charlesworth, dopo aver evidenziato che "le palesi interpolazioni cristiane sono manifestamente assenti nella versione araba." (Charlesworth, 1988), ammette la possibilità che lievi modifiche siano state introdotte da copisti cristiani anche nel testo di Agapio. Tuttavia l'esempio che porta, ovvero l'affermazione attribuita a Giuseppe che Gesù potesse essere il Messia, non è calzante, in quanto la traduzione sembrerebbe riferire tale affermazione alla predicazione dei discepoli di Gesù più che al pensiero di Giuseppe.
Per favorire il confronto tra la versione greca e la versione araba del Testimonium Flavianum, si consideri la seguente tabella sinottica:
VERSIONE GRECA[9] | VERSIONE ARABA[10] |
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Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, | Ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, |
sempre che si debba definirlo uomo: | |
era infatti autore di opere inaspettate, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, | |
che dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso (o: dotto), | |
ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti della grecità. | e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. |
Questi era il Cristo. | |
E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, | Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, |
coloro che da principio lo avevano amato non cessarono. | ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono al suo discepolato (o: dottrina) |
Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, | e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, |
ed era probabilmente il Cristo | |
avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui. | del quale i profeti hanno detto meraviglie. |
Fino ad oggi ed attualmente non è venuto meno il gruppo di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani. |
Il rischio di errori di traduzione compiuti nel passaggio dal greco di Giuseppe Flavio al siriaco e da questo all'arabo, e gli analoghi rischi insiti nel passaggio dall'arabo alla versione in inglese di Charlesworth o in italiano di Maier, sono sempre da tener presenti e comportano il mantenimento di una certa cautela. Fatta salva questa precisazione, si può concludere con una certa sicurezza affermando che il testo di Agapio, unitamente alle altre considerazioni della critica testuale già presentate, conferma la fondatezza della tesi che il Testimonium flavianum sia un passo autentico di Giuseppe Flavio, modificato solo parzialmente da un copista cristiano.
Dal confronto tra la versione greca, emendata dalle interpolazioni più evidenti, e la versione araba si possono trarre le seguenti conclusioni:
- Il Testimonium Flavianum era presente nel testo originale delle Antichità giudaiche, sebbene in una forma diversa da quelle che ci sono state trasmesse. La versione greca risulta inquinata da alcune modifiche/interpolazioni facilmente identificabili, opera di un copista cristiano che voleva evidenziare la divinità di Gesù Cristo. La versione araba è molto più vicina a quello che doveva essere il testo originale di Giuseppe Flavio.
- La presenza di riferimenti espliciti a Gesù Cristo in Antichità giudaiche è molto importante per lo studio del Gesù storico, in quanto dimostra che, secondo uno storico non cristiano vissuto molto vicino agli eventi narrati (Giuseppe Flavio visse dal 37 al 103 d.C. circa):
- Gesù Cristo non è un mito, né un personaggio di fantasia, ma una persona reale che visse all'epoca della prefettura di Ponzio Pilato, presumibilmente operando nei luoghi soggetti alla giurisdizione del magistrato romano.
- Gesù non era un sobillatore di disordini o un fuorilegge, ma piuttosto un uomo saggio la cui predicazione si rivolgeva a temi spirituali
- La predicazione di Gesù ebbe successo sia tra i Giudei, sia tra gli altri popoli (i Greci, ovvero i pagani ellenizzati)
- Fu condannato da Pilato alla morte per crocifissione
- Dopo la sua morte i suoi seguaci non si dispersero ma continuarono a professare la sua dottrina almeno fino al momento in cui Flavio Giuseppe scrive (93-94 d.C)
- I discepoli di Gesù prendono da lui il nome di cristiani
- Gesù aveva un fratello di nome Giacomo, fatto lapidare dal sommo sacerdote Anano (Antichità giudaiche XX, 200)
- Gesù era soprannominato "il Cristo"(Antichità giudaiche XX, 200)
La posizione degli studiosi di fronte al Testimonium flavianum
Di fronte al Testimonium la comunità degli studiosi risulta tuttora essersi divisa in tre fazioni:
Il Testimonium sarebbe completamente autentico
All'interno di questo gruppo troviamo due categorie di studiosi:
- Studiosi per i quali il Testimonium è una colonna portante dell'esistenza storica di Gesù e una conferma della sua personalità così come traspare dagli scritti neotestamentari. (F. K. Burkitt, A. von Harnack, C. G. Bretschneider, R. H. J. Schutt, giuseppe Ricciotti).
- Studiosi per i quali l'autenticità del Testimonium è giustificata dalla presenza di espressioni denigratorie verso Gesù, derivanti da una diversa traduzione rispetto a quelle comunemente accettate (Étienne Nodet, Serge Badet, Lucio Troiani)
Il Testimonium sarebbe da rigettare completamente
In questa posizione si trovano solitamente studiosi storico critici appartenenti alla corrente mitologica, i quali negano la storicità di Gesù Cristo e di gran parte del nuovo testamento. Altri studiosi, pur rigettando nella sua interezza il Testimonium Flavianum, non dubitano dell'attendibilità dell'altro passo di antichità giudaiche in cui viene citato Gesù.[11]
Il Testimonium sarebbe da accettare parzialmente
Secondo questa posizione, interpolatori cristiani avrebbero modificato alcune affermazioni in esso contenute.
Per alcuni gli interpolatori cristiani avrebbero migliorato un resoconto negativo di Gesù, togliendo o modificando delle frasi. Il tenore originale sarebbe stato della forma:
« | Ora, all'incirca nello stesso periodo, sorse una fonte di ulteriori disordini in un Gesù, un uomo saggio, che compì opere eclatanti e fu maestro di persone che accoglievano con piacere cose strane. Egli convinse a seguirlo molti Ebrei, e molti Gentili. Egli era il cosiddetto Cristo. Quando Pilato, sulla base delle informazioni fornitegli dai principali nostri uomini, lo condannò alla croce, coloro che si erano uniti a lui all'inizio non cessarono di provocare disordini. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da lui sono detti Cristiani. » | |
(R.E.van Voorst, Gesù nelle fonti extrabibliche, pagg. 113-114.)
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Altri sostengono che la narrazione originale sarebbe stata ampliata con concetti estranei al pensiero di Giuseppe, ritoccando un testo del tipo:
« | Allo stesso tempo circa, visse Gesù, un uomo saggio, poiché egli compì opere straordinarie, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli conquistò sia molti Giudei che molti Greci. Quando Pilato udì che era accusato dai principali nostri uomini, lo condannò alla croce, [ma] coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da lui sono detti Cristiani. » | |
(R.E.van Voorst, Gesù nelle fonti extrabibliche, pagg. 112.)
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Tra gli altri ricordiamo almeno T. Reinach, E. Bammel, O. Betz, J.P. Meier.
Quest'ultimo caso, grazie ai nuovi contributi portati dalla scoperta della versione araba, è quello che riscuote il maggior successo tra i critici moderni:
« | Alla luce di tutto ciò, i critici moderni sono ormai concordi nel ritenere il passo del Testimonium come sostanzialmente autentico nella sua testimonianza storica di Gesù, sebbene per molti esso possa aver subito prima del secolo IV delle interpolazioni cristiane. » | |
(A. Nicolotti, Testimonianze extracristiane sulla persona di Gesù di Nazareth e sulla chiesa primitiva.Giuseppe Flavio, 2001)
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Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |