Fonti storiche non cristiane su Gesù
Con fonti storiche non cristiane su Gesù si intendono alcuni passi di opere di autori non cristiani (greco-romani ed ebrei) che accennano a Gesù di Nazaret o alle origini del movimento cristiano.
Le informazioni contenute in queste fonti sono però limitate e sporadiche e non aggiungono nulla a quanto già riportato dai vangeli e dagli altri testi del NT, anche se sono utili a confermare la storicità delle fonti cristiane.
Testi di origine ebraica
Giuseppe Flavio (93)
Per approfondire, vedi la voce Testimonium Flavianum |
Lo storico giudeo-romano Giuseppe Flavio (c.37 - c.100), nella sua Antichità giudaiche, scritta nel 93 e dedicata alla storia del popolo ebraico dalle origini fino al 66, descrive Gesù in un passo comunemente noto come "Testimonium Flavianum":
« | Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d'altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani. » | |
(Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 18,63-64)
|
Sull'autenticità del passo di Giuseppe pervenutoci, che pare uscito dalla penna di un cristiano, il giudizio degli studiosi è variegato: oltre ad alcuni che lo ritengono interamente autentico e altri che lo considerano del tutto interpolato da copisti cristiani, la maggior parte degli storici tende a considerarlo, nella versione finale, come un ampliamento agiografico cristiano di un passo di Giuseppe inizialmente "neutro". A favore di questa terza opzione va notato che, in un passo del vescovo arabo cristiano Agapio di Mabbug (m. 941), viene citato il testimonium in una versione più breve e neutrale:
« | Egli [Giuseppe Flavio] afferma nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: «In questo tempo viveva un uomo saggio che si chiamava Gesù, e la sua condotta era irreprensibile, ed era conosciuto come un uomo virtuoso. E molti fra i Giudei e le altre nazioni divennero suoi discepoli. Pilato lo condannò a essere crocifisso e morire. E quelli che erano divenuti suoi discepoli non abbandonarono la propria lealtà per lui. Essi raccontarono che egli era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione, e che egli era vivo. Di conseguenza essi credevano che egli fosse il Messia, di cui i Profeti avevano raccontato le meraviglie». » | |
(Traduzione di Shlomo Pines, citata da J.D. Crossan.)
|
In Antichità giudaiche è presente anche un breve passaggio circa la morte di Giovanni Battista (18,116-119) e un accenno alla morte di Giacomo il Giusto, che Flavio Giuseppe qualifica come "fratello di Gesù chiamato il Cristo" (20,200).
Giustino (metà II secolo)
L'apologeta cristiano Giustino, nel Dialogo con Trifone[1], fa dire al giudeo Trifone, protagonista del dialogo, cosa questi pensassero di Gesù:
« | È sorta un'eresia senza Dio e senza Legge da un certo Gesù, impostore Galileo; dopo che noi lo avevamo crocifisso, i suoi discepoli lo trafugarono nottetempo dalla tomba ove lo si era sepolto dopo averlo calato dalla croce, ed ingannano gli uomini dicendo che sia risorto dai morti ed asceso al cielo. » | |
(Dialogo con Trifone, 108,2.)
|
L'accusa è la stessa riportata dal vangelo di Matteo (28,13), deve dunque risalire al I secolo.
Talmud
Il Talmud di Babilonia, testo ebraico redatto tra il II-V secolo e che raccoglie tradizioni orali più antiche, contiene alcuni riferimenti a un Yeshu (ישו) che va verosimilmente identificato con Gesù Cristo. Diversi commentatori medievali ebrei hanno sostenuto che Yeshu non sia un nome proprio ma l'acronimo dell'espressione ימח שמו וזכרו (yimmah shemo wezikro, "sia cancellato (il) nome di lui e (il) ricordo di lui"), riferibile a un generico nemico dell'ebraismo. La tradizione medievale cristiana, convinta del riferimento a Gesù, ha invece giudicato blasfemi i passi talmudici, e questo ha portato alla bolla di Papa Giulio III Contra hebreos retinentes libros in quibus aliquid contra fidem catholicam notetur vel scribatur ("Contro gli ebrei possessori di libri nei quali è annotato o scritto qualcosa contro la fede cattolica", 29 maggio 1554),[2] che prescriveva il rogo delle copie del Talmud. Questa condanna portò alla cancellazione dei riferimenti a Gesù da molti manoscritti talmudici.
Nel più ampio passo relativo a Gesù (Sanhedrin 43a)[3] viene descritta la corretta modalità di un processo sinedrita, e viene citato un detto del rabbino Abaye (m. 339), per il quale la notizia delle accuse deve essere divulgata per un breve tempo prima del processo in modo da garantire l'intervento di eventuali difensori dell'accusato. Viene proposto come esempio non corretto (poiché la notizia è stata divulgata molto tempo prima) il caso di Gesù (tra parentesi quadre le varianti manoscritte):
« | Alla vigilia della Pasqua (Gv 19,14.31 ) Yeshu (ישו) [il nazareno] fu appeso. Per quaranta giorni prima dell'esecuzione un araldo gridava (Gv 11,57 ): "Egli sta per essere lapidato (Gv 10,33 ) perché ha praticato la stregoneria (Mt 12,24 ) e ha condotto Israele (Lc 23,2 ) verso l'apostasia (Mc 14,64 ). Chiunque sappia qualcosa a sua discolpa venga e difenda il suo operato". Poiché nessuna testimonianza fu mai portata in suo favore, egli fu appeso alla vigilia della Pasqua [e del sabato]. » | |
(Talmud babilonese, trattato Sanhedrin, 43a)
|
Il passo talmudico riecheggia per diversi elementi la vicenda di Gesù, ma sembra che Abaye abbia distorto la questione dell'annuncio: secondo Gv 11,57 l'ordine sinedrita appare una sorta di mandato di cattura seguente a una condanna in contumacia, mentre l'esemplificazione del Talmud presuppone l'arresto di Gesù e la richiesta di testimonianze a suo favore.
Da altri brevi accenni del Talmud è possibile ricostruire questo ritratto di Yeshu-Gesù:
- era figlio adulterino di Pandera e di Maria, che era legalmente sposata con Stara/Stada;[4]
- era un folle e andò in Egitto imparando la magia;[5]
- fu allievo di Joshua ben Perahiah,[6] un rabbino del II secolo a.C.,[7] che però "lo rigettò con entrambe le mani";
- ebbe 5 discepoli: Matthai (Matteo), Nakai ("innocente"), Nezer ("germoglio"), Buni ("figlio di me") e Todah ("ringraziamento");[8] a questi va aggiunto Giacomo di Kefar-Sekaniah (יעקב כפר סכניא), forse una località della Galilea;[9]
- compì miracoli con la magia;[10]
- era "vicino al regno" (Gv 6,15 ; Mt 27,11-14 );[11]
- sviò Israele con la sua apostasia;[12]
- fu abbandonato e nessuno lo difese;[13]
- fu "appeso" (=crocifisso) alla vigilia della Pasqua;[14]
- viene invocato da un "eretico Giacomo" per compiere guarigioni;[15]
- nell'aldilà viene bollito in escrementi.[16]
Le Diciotto Benedizioni
In una delle redazioni pervenute delle "Diciotto Benedizioni", testo liturgico ebraico, compare un riferimento ai cristiani (o "nazareni"):
« | Che per gli apostati non vi sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il dominio dell'usurpazione, e periscano in un istante i Cristiani (nôserîm) e gli eretici (minim): siano cancellati dal libro della vita e non siano iscritti con i giusti. Benedetto sei tu, Signore, che schiacci gli arroganti » |
La preghiera, chiamata Birkat Ha Minim, risale alla fine del I secolo, ma non è chiaro quando sia esattamente stato inserito il riferimento ai cristiani, visto che le altre redazioni del testo menzionano solo "gli eretici"[17].
Testi di origine romana
Tiberio (ca. 35)
Tertulliano (150-220) fa cenno nell' Apologetico (del 197) al fatto che l'imperatore Tiberio (regno 14-37) avrebbe proposto al senato romano di riconoscere Gesù come dio (i romani spesso incorporavano nel loro pantheon le divinità dei popoli da loro sottomessi).
La proposta fu respinta il che, secondo Tertulliano, costituì la base giuridica per le successive persecuzioni dei cristiani, seguaci di un "culto illecito".
Non tutti gli storici sono concordi nel ritenere attendibile la notizia poiché secondo loro potrebbe essere stata o inventata dallo stesso Tertulliano o alterata successivamente. Secondo invece lo storico ebreo Edoardo Volterra, Tertulliano perché cristiano in anni di persecuzioni non aveva alcun interesse a inventare l'esistenza di un senatoconsulto che aveva dichiarato il cristianesimo una "superstitio illicita", dato che l'esistenza di quel senatoconsulto rendeva legali le persecuzioni contro i cristiani.
È possibile scorgere accenni indiretti a questo senatoconsulto in altre due fonti. Gli Atti di sant'Apollonio di Roma, apologeta e martire,[19] possono derivare da una trascrizione diretta degli atti dell'archivio imperiale, dunque coevi all'evento narrato (185), oppure possono essere un riadattamento letterario del processo composto nel II-III secolo.[20] Negli Atti il prefetto, interrogando Apollonio, cita un non meglio precisato decreto del senato che vieta il cristianesimo e che può essere identificato con quello proposto da Tiberio: "Non sai, o Apollonio, che c'è il decreto del senato per cui nessuno può chiamarsi cristiano? Apollonio rispose: Sì, ma non è possibile per il decreto umano del senato prevalere sul decreto di Dio" (23-24).
Macario di Magnesia nell' Apocriticus (fine IV-inizio V secolo) riprende e confuta le opinioni del neoplatonico Porfirio di Tiro (ca. 234–305). Questi aveva provocatoriamente osservato che Gesù risorto sarebbe dovuto apparire al senato romano, che si era pronunciato all'unanimità contro di lui,[21] e non ai destinatari delle apparizioni descritti nei vangeli, donne e umili.
Petronio nel Satyricon (ca. 64-65)
Il letterato romano Petronio (m. 66), nel suo Satyricon (ca. 65, pervenutoci in frammenti, online) inserisce diversi elementi che hanno paralleli nel vangelo di Marco, che gli esegeti contemporanei ritengono redatto a Roma tra il 60-65.[22] Preuschen nel 1902[23] ha evidenziato le somiglianze ipotizzando che Marco avesse ripreso Petronio. In realtà[24] è improbabile che il testo volgare e blasfemo del Satyricon sia stato preso come fonte per i vangeli, mentre è più verosimile che Petronio abbia voluto nella sua opera parodiare il vangelo e irridere i cristiani. Ad ogni modo, le informazioni di Petronio non aggiungono nulla a quanto ci è noto di Gesù dal NT, ma possono essere una conferma dell'antichità delle fonti cristiane e dell'eco che il vangelo ebbe nella capitale imperiale.
Un passo che mostra affinità col vangelo è la cena di Trimalchione, un liberto semita che organizza una cena per parodiare la propria morte e sepoltura. Durante la cena un gallo canta (74) e viene inteso come un presagio negativo, elemento (secondo la Ramelli) non presente altrove nella letteratura latina, similmente all'episodio evangelico di Pietro (Mc 14,30.66-72 ). A un certo punto Trimalchione ordina che venga portato un'anfora di nardo col quale viene unto lui e i commensali (77-78), che riecheggia l'unzione col nardo di Gesù a Betania (Mc 14,3-9 ).
Il cosiddetto racconto della matrona di Efeso presenta diverse analogie con la passione di Gesù. In esso (110-112) si narra di una "pudica" vedova di Efeso (città dove la tradizione cristiana colloca la dimora di Maria con Giovanni) che pianse per diversi giorni il marito defunto nel sepolcro. Vennero poi crocifissi dei "ladroni" accanto al sepolcro (Mc 15,27 ), con un soldato di guardia per impedire che rubassero il corpo (Mt 27,66 ). Il soldato riuscì a convincere la vedova a rompere il digiuno e la sedusse nel sepolcro. Approfittando dell'assenza del soldato i parenti di un crocifisso ne rubarono il corpo il terzo giorno (Mc 8,31 ). Per evitare la condanna del soldato per la sua negligenza, la vedova acconsentì a mettere in croce il corpo del marito, suscitando la meraviglia della gente.
Nell'ultimo passo pervenutoci del Satyricon (141), Eumolpo garantisce la propria eredità a coloro che "fatto a pezzi il suo corpo lo mangeranno di fronte al popolo" (cf. Mc 22,19 ), usanza che il testo ricorda esistere presso altri popoli.
Plinio il Giovane (ca. 112)
Circa nel 112, in uno scambio epistolare tra l'imperatore Traiano e il governatore delle province del Ponto e della Bitinia Plinio il Giovane, viene fatto un riferimento ai cristiani. Plinio chiede all'imperatore come comportarsi verso i cristiani che rifiutano di adorare l'imperatore, pregano "Cristo" come un dio, e prendono un cibo "comune e innocente", verosimilmente l'eucaristia.
Non ho mai preso parte ad istruttorie a carico dei Cristiani; pertanto, non so che cosa e fino a qual punto si sia soliti punire o inquisire. Ho anche assai dubitato se si debba tener conto di qualche differenza di anni; se anche i fanciulli della più tenera età vadano trattati diversamente dagli uomini nel pieno del vigore; se si conceda grazia in seguito al pentimento, o se a colui che sia stato comunque cristiano non giovi affatto l’aver cessato di esserlo; se vada punito il nome di per se stesso, pur se esente da colpe, oppure le colpe connesse al nome.
Nel frattempo, con coloro che mi venivano deferiti quali Cristiani, ho seguito questa procedura: chiedevo loro se fossero Cristiani. Se confessavano, li interrogavo una seconda e una terza volta, minacciandoli di pena capitale; quelli che perseveravano, li ho mandati a morte. Infatti non dubitavo che, qualunque cosa confessassero, dovesse essere punita la loro pertinacia e la loro cocciuta ostinazione. Ve ne furono altri affetti dalla medesima follia, i quali, poiché erano cittadini romani, ordinai che fossero rimandati a Roma. Ben presto, poiché si accrebbero le imputazioni, come avviene di solito per il fatto stesso di trattare tali questioni, mi capitarono innanzi diversi casi.
Venne messo in circolazione un libello anonimo che conteneva molti nomi. Coloro che negavano di essere cristiani, o di esserlo stati, ritenni di doverli rimettere in libertà, quando, dopo aver ripetuto quanto io formulavo, invocavano gli dei e veneravano la tua immagine, che a questo scopo avevo fatto portare assieme ai simulacri dei numi, e quando imprecavano contro Cristo, cosa che si dice sia impossibile ad ottenersi da coloro che siano veramente Cristiani.
Altri, denunciati da un delatore, dissero di essere cristiani, ma subito dopo lo negarono; lo erano stati, ma avevano cessato di esserlo, chi da tre anni, chi da molti anni prima, alcuni persino da vent’anni. Anche tutti costoro venerarono la tua immagine e i simulacri degli dei, e imprecarono contro Cristo.
Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell’esser soliti riunirsi in un giorno fissato prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti. Fatto ciò, avevano la consuetudine di ritirarsi e riunirsi poi nuovamente per prendere un cibo, ad ogni modo comune e innocente, cosa che cessarono di fare dopo il mio editto nel quale, secondo le tue disposizioni, avevo proibito l’esistenza di sodalizi. Per questo, ancor più ritenni necessario l’interrogare due ancelle, che erano dette ministre, per sapere quale sfondo di verità ci fosse, ricorrendo pure alla tortura. Non ho trovato null’altro al di fuori di una religione balorda e smodata.
Perciò, differita l’istruttoria, mi sono affrettato a richiedere il tuo parere. Mi parve infatti cosa degna di consultazione, soprattutto per il numero di coloro che sono coinvolti in questo pericolo; molte persone di ogni età, ceto sociale e di entrambi i sessi, vengono trascinati, e ancora lo saranno, in questo pericolo. Né soltanto la città, ma anche i borghi e le campagne sono pervase dal contagio di questa religione; credo però che possa esser ancora fermata e riportata nella norma.
Plinio il giovane a Traiano imperatore, Lettere 10, 96, dal sito christianismus.it.
Nella sua risposta, Traiano dispone che i Cristiani non devono essere ricercati dalle autorità, ma possono essere perseguitati solo se denunciati da qualcuno, purché non anonimo, salvo che, sacrificando agli dei dell'impero, non rinneghino la loro fede.
Svetonio (ca. 120)
Un passo dello storico Svetonio (70-122), nella sua opera dedicata alle Vite dei dodici Cesari (ca. 120), accenna a tumulti a Roma causati da Giudei che portarono alla loro espulsione dall'urbe da parte dell'imperatore Claudio (cf. anche At 18,2 ), verosimilmente nel 50.[28]
(LA) | (IT) | ||||
« | Iudaeos, impulsore Chresto, assidue tumultuantes Roma expulit » | « | Dato che i Giudei, istigati da Cresto, provocavano costantemente dei tumulti, [Claudio] li espulse da Roma. » | ||
(Gaio Svetonio, Vite dei dodici cesari, Claudio 25,4[29] )
|
Chrestus può essere interpretato come una distorsione del nome Christus (Cristo) e quindi un possibile riferimento a Gesù; il termine Chrestus appare infatti anche in testi successivi riferito a Gesù, indicando che un errore di scrittura è possibile, ed inoltre pare che le due parole in greco antico venissero pronunciate in modo identico, il che può aver influito nella scrittura.
Tacito (112)
L'oratore romano Tacito (56-123), negli Annali (112), descrive la persecuzione dei cristiani ad opera di Nerone nel 64 e accenna a Cristo. La descrizione del cristianesimo è fatta in chiave decisamente negativa, bollata come "pericolosa superstizione" e "primitiva e immorale", cosicché è improbabile che il testo sia un'interpolazione di epoca cristiana.
Lo scritto dell'imperatore Adriano
Per approfondire, vedi la voce Rescritto di Adriano a Gaio Minucio Fundano |
Eusebio di Cesarea, nella sua Storia Ecclesiastica, riporta la risposta dell'imperatore Adriano al proconsole d'asia Quinto licinio Silvano Graniano che in una lettera aveva richiesto come comportarsi nei confronti dei cristiani che fossero stati oggetto di delazioni anonime o accuse[32].
« | Se pertanto i provinciali sono in grado di sostenere chiaramente questa petizione contro i Cristiani, in modo che possano anche replicare in tribunale, ricorrano solo a questa procedura, e non ad opinioni o clamori. È infatti assai più opportuno che tu istituisca un processo, se qualcuno vuole formalizzare un'accusa. Allora, se qualcuno li accusa e dimostra che essi stanno agendo contro le leggi, decidi secondo la gravità del reato; ma, per Ercole, se qualcuno sporge denuncia per calunnia, stabiliscine la gravità e abbi cura di punirlo » | |
La risposta era indirizzata a Caio Minucio Fundano, nuovo proconsole d'Asia, che fu in carica dal 122 al 123.
L'imperatore Marco Aurelio in "A se stesso"
Marco Aurelio Antonino, imperatore dal 161 al 180, in un'opera intitolata "A se stesso" riporta un accenno ai cristiani[33].
« | Oh, come è bella l'anima che si tiene pronta, quando ormai deve sciogliersi dal corpo, o estinguersi, o dissolversi o sopravvivere! Ma tale disposizione derivi dal personale giudizio, e non da una mera opposizione, come per i Cristiani; sia invece ponderata e dignitosa, in modo che anche altri possano esserne persuasi, senza teatralità. » | |
(Ad sem. XI, 3)
|
Lettera di Publio Lentulo
Per approfondire, vedi la voce lettera di Publio Lentulo |
La lettera di Publio Lentulo è un presunto rapporto di un procuratore romano in Giudea, nel quale egli riferirebbe a Tiberio di Gesù, descrivendone anche l'aspetto fisico. Tutti gli storici concordano però che si tratti di un falso di epoca molto posteriore; questo Lentulo, a quanto si sa, non è mai neppure esistito.
Orazione di Frontone
Minucio Felice in Octavius riporta una orazione di Marco Cornelio Frontone[34], che può essere ricostruita in base alle citazioni[35].
(LA) | (IT) | ||||
« | Qui de ultima faece collectis imperitioribus et mulieribus credulis sexus sui facilitate labentibus plebem profanae coniurationis instituunt, quae nocturnis congregationibus et ieiuniis sollemnibus et inhumanis cibis non sacro quodam, sed piaculo foederatur, latebrosa et lucifuga natio, in publicum muta, in angulis garrula, templa ut busta despiciunt, deos despuunt, rident sacra, miserentur miseri (si fas est) sacerdotum, honores et purpuras despiciunt, ipsi seminudi! [...] Inter eos velut quaedam libidinum religio miscetur, ac se promisce appellant fratres et sorores, ut etiam non insolens stuprum intercessione sacri nominis fiat incestum. [...] Audio eos turpissimae pecudis caput asini consecratum inepta nescio qua persuasione venerari [...] Alii eos ferunt ipsius antistitis ac sacerdotis colere genitalia [...] Et qui hominem summo supplicio pro facinore punitum et crucis ligna feralia eorum caerimonias fabulatur, congruentia perditis sceleratisque tribuit altaria, ut id colant quod merentur. [...] Infans farre contectus, ut decipiat incautos, adponitur ei qui sacris inbuatur [...] occiditur. Huius, pro nefas! sitienter sanguinem lambunt, huius certatim membra dispertiunt, hac foederantur hostia [...] Et de convivio notum est; passim omnes locuntur, id etiam Cirtensis nostri testatur oratio. [...] infandae cupiditatis involvunt per incertum sortis, etsi non omnes opera, conscientia tamen pariter incesti, quoniam voto universorum adpetitur quicquid accidere potest in actu singulorum » |
« | Essi, raccogliendo dalla feccia più ignobile i più ignoranti e le donnicciuole, facili ad abboccare per la debolezza del loro sesso, formano una banda di empia congiura, che si raduna in congreghe notturne per celebrare le sacre vigilie o per banchetti inumani, non con lo scopo di compiere un rito, ma per scelleraggine; una razza di gente che ama nascondersi e rifugge la luce, tace in pubblico ed è garrula in segreto. Disprezzano ugualmente gli altari e le tombe, irridono gli dei, scherniscono i sacri riti; miseri, commiserano i sacerdoti (se è lecito dirlo), disprezzano le dignità e le porpore, essi che sono quasi nudi! [...] Regna tra loro la licenza sfrenata, quasi come un culto, e si chiamano indistintamente fratelli e sorelle, cosicché, col manto di un nome sacro, anche la consueta impudicizia diventi incesto. [...] Ho sentito dire che venerano, dopo averla consacrata, una testa d'asino, non saprei per quale futile credenza [...] Altri raccontano che venerano e adorano le parti genitali del medesimo celebrante e sacerdote [...] E chi ci parla di un uomo punito per un delitto con il sommo supplizio e il legno della croce, che costituiscono le lugubri sostanze della loro liturgia, attribuisce in fondo a quei malfattori rotti ad ogni vizio l'altare che più ad essi conviene [...] Un bambino cosparso di farina, per ingannare gli inesperti, viene posto innanzi al neofita, [...] viene ucciso. Orribile a dirsi, ne succhiano poi con avidità il sangue, se ne spartiscono a gara le membra, e con questa vittima stringono un sacro patto [...] Il loro banchetto, è ben conosciuto: tutti ne parlano variamente, e lo attesta chiaramente una orazione del nostro retore di Cirta. [...] si avvinghiano assieme nella complicità del buio, a sorte » | ||
(Octavius VIII,4-IX,7[36] )
|
Testi di origine greca
Epitteto, in Dissertazioni di Arriano
In "Dissertazioni" del filosofo stoico Arriano è riportato uno degli insegnamenti del suo maestro Epitteto, che parlando della morte, indica i "galilei" (intendendo probabilmente i cristiani) come persone che non ne hanno paura[37]:
« | Anche per follia uno può resistere a quelle cose (atti compiuti dai tiranni, ndr.), o per ostinazione, come i Galilei » | |
(Diss. Ab Arriano digestae IV, 6, 6)
|
Galeno, in Historia anteislamica di Abulfida
Abulfida nella "Historia anteislamica" riporta un giudizio di Galeno sui cristiani[38]:
« | I più tra gli uomini non sono in grado di comprendere con la mente un discorso dimostrativo consequenziale, per cui hanno bisogno, per essere educati, di miti. Così vediamo nel nostro tempo quegli uomini chiamati Cristiani trarre la propria fede dai miti. Essi, tuttavia, compiono le medesime azioni dei veri filosofi. Infatti, che disprezzino la morte e che, spinti da una sorta di ritegno, aborriscano i piaceri carnali, lo abbiamo tutti davanti agli occhi. Vi sono infatti tra loro sia uomini che donne i quali per tutta la vita si sono astenuti dai rapporti; e vi sono anche coloro che sono a tal punto progrediti nel dominare e dirigere gli animi, e nella più tenace ricerca della virtù, da non cedere in nulla ai veri filosofi » | |
(De sentent. Pol. Plat.[39])
|
Galeno non ha solo una visione positiva dei cristiani:
« | Nessuno subito da principio, come se fosse pervenuto alla dottrina di Mosè o Cristo, ascolti leggi indimostrate, nelle quali non si deve per nulla credere [...] Infatti si potrebbero dissuadere prima quelli che provengono da Mosè e Cristo, che non i medici o i filosofi, i quali si sono consumati sui loro principi. » | |
(De differentia pulsuum libri quattuor, II, 4 e III, 3)
|
Lettera di Mara Bar Sarapion
La lettera di Mara Bar Serapion fu scritta da Mara bar Sarapion, uno stoico siriano che si trovata in un prigione romana, a suo figlio; la lettera è stata variamente datata dal 73 al 260[40]. In questa lettera si tratta dell'uccisione di tre uomini saggi della storia e uno di questi è stato da alcuni identificato con Gesù:
« | A che cosa è servito ai giudei uccidere il loro saggio re, visto che il regno è stato poi tolto loro. [...] Socrate non è morto, grazie a Platone; né Pitagora, per la statua di Hera. Nemmeno il saggio re, per la nuova legge che ha dato » |
Luciano di Samosata
Luciano di Samosata riporta il suicidio di Peregrino Proteo facendo vari accenni ai cristiani ed al loro "primo legislatore"[41].
« | Allora Proteo venne a conoscenza della portentosa dottrina dei cristiani, frequentando in Palestina i loro sacerdoti e scribi. E che dunque? In un batter d'occhio li fece apparire tutti bambini, poiché egli tutto da solo era profeta, maestro del culto e guida delle loro adunanze, interpretava e spiegava i loro libri, e ne compose egli stesso molti, ed essi lo veneravano come un dio, se ne servivano come legislatore e lo avevano elevato a loro protettore a somiglianza di colui che essi venerano tuttora, l'uomo che fu crocifisso in Palestina per aver dato vita a questa nuova religione.
[...] Si sono persuasi infatti quei poveretti di essere affatto immortali e di vivere per l'eternità, per cui disprezzano la morte e i più si consegnano di buon grado. Inoltre il primo legislatore li ha convinti di essere tutti fratelli gli uni degli altri, dopoché abbandonarono gli dei greci, avendo trasgredito tutto in una volta, ed adorano quel medesimo sofista che era stato crocifisso e vivono secondo le sue leggi. Disprezzano dunque ogni bene indiscriminatamente e lo considerano comune, seguendo tali usanze senza alcuna precisa prova. Se dunque viene presso di loro qualche uomo ciarlatano e imbroglione, capace di sfruttare le circostanze, può subito diventare assai ricco, facendosi beffe di quegli uomini sciocchi. » | |
(De morte Per., XI-XIII)
|
Celso, in Discorso Veritiero
Il filosofo Celso, nella sua opera Discorso Veritiero (Alethès lógos), polemizza contro i cristiani. La sua opera è pervenuta attraverso lo scritto di Origene Contra Celsum, in cui riporta molti passi per confutarli[42].
In alcuni dei passi tratta direttamente di Gesù, ad esempio:
« | Spinto dalla miseria andò in Egitto a lavorare a mercede, ed avendo quindi appreso alcune di quelle discipline occulte per cui gli Egizi son celebri, tornò dai suoi tutto fiero per le arti apprese, e si proclamò da solo Dio a motivo di esse. » | |
(Alethès lógos, I, 28)
|
« | Gesù raccolse attorno a sé dieci o undici uomini sciagurati, i peggiori dei pubblicani e dei marinai, e con loro se la svignava qua e là, vergognosamente e sordidamente raccattando provviste. » | |
(Alethès lógos, I, 62)
|
« | Colui al quale avete dato il nome di Gesù in realtà non era che il capo di una banda di briganti i cui miracoli che gli attribuite non erano che manifestazioni operate secondo la magia e i trucchi esoterici. La verità è che tutti questi pretesi fatti non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato senza pertanto riuscire a dare alle vostre menzogne una tinta di credibilità. È noto a tutti che ciò che avete scritto è il risultato di continui rimaneggiamenti fatti in seguito alle critiche che vi venivano portate. » | |
(Celso, Contro i Cristiani, BUR, 1989)
|
Note | |
| |
Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
|