Utente:Quarantena/Eremo di Sant'Alberto di Butrio
Eremo di Sant'Alberto di Butrio | |
Stato | Italia |
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Regione | Lombardia |
Regione ecclesiastica |
Regione ecclesiastica Lombardia |
Comune | Ponte Nizza |
Diocesi | Diocesi di Tortona |
Religione | Cattolica |
Sito web | Sito ufficiale |
Oggetto tipo | Eremo |
Dedicazione | Sant'Alberto di Butrio |
Sigla Ordine qualificante | O.S.B. |
Sigla Ordine reggente | O.S.B. |
Stile architettonico | romanico |
Inizio della costruzione | 1030 |
Coordinate geografiche | |
Italia |
L'eremo di Sant'Alberto di Butrio, sorge fra primi rilievi dell'Appennino Ligure, nella Valle Staffora dell'Oltrepò Pavese, in provincia di Pavia, in frazione Butrio del comune di Ponte Nizza, a 687 m.s.l.m., isolato tra monti, verdi pascoli e boschi di castagni, querce e abeti.
Le origini dell'eremo, l'espansione, la decadenza
La costruzione dell'eremo venne iniziata dallo stesso sant'Alberto, forse dei Malaspina, che nel 1030 andò ad abitare in solitudine nella vicina valletta del Borrione, ove tuttora vi è una piccola cappelletta a lui dedicata.
Avendo guarito miracolosamente un figlioletto muto del marchese di Casasco (Malaspina), questi in segno di riconoscenza edificò una chiesa in stile romanico dedicata alla Madonna in cui sant'Alberto ed i suoi discepoli eremiti potessero celebrare l'Ufficio divino. Costituitisi in comunità monastica benedettina, gli eremiti edificarono il monastero di cui rimane attualmente un'ala: il cosiddetto chiostrino ed il pozzo.
Abate della comunità fu lo stesso Alberto fino al 1073, anno della sua morte. Nel frattempo il monastero, alle dirette dipendenze del papa, era assurto a grande potenza sia spirituale che temporale. Molte erano le celle e le dipendenze della comunità, situate nelle attuali province di Piacenza, Pavia, Alessandria e Genova.
Dopo la morte di sant'Alberto, l'eremo crebbe ancora in potenza e numero di monaci tanto da divenire un centro spirituale di una vastissima zona. Ospitò illustri personaggi ecclesiastici e laici. Si crede vi abbiano soggiornato anche Federico Barbarossa e Dante Alighieri.
I monaci seguivano la regola benedettina, secondo la riforma di Cluny o la riforma bobbiense, mantenendo tuttavia sempre viva l'antica vocazione eremitica.
Verso la metà del XV secolo, con l'avvento degli abati commendatari, l'abbazia perse a poco a poco d'importanza.
Nel 1516 papa Leone X unì l'abbazia a quella di San Bartolomeo in Strata di Pavia.
Nel 1543 gli ultimi monaci (olivetani) lasciarono l'eremo per trasferirsi altrove. Vi rimase solo un sacerdote addetto alla cura delle anime. Nel 1595 la chiesa di Sant'Alberto fu eretta a parrocchia. Seguirono tre secoli di abbandono quasi totale, durante i quali il monastero e parte della torre furono distrutti. Con l'avvento delle leggi napoleoniche, nel 1810, l'eremo fu soppresso e requisito dal governo.
La rinascita
Nel 1900, anno in cui avvenne la riesumazione dei resti mortali di sant'Alberto, deposti poi entro una statua di cera che si può vedere nella chiesa di Sant'Alberto, la cura dell'eremo fu affidata a don Orione.
Nel 1921 don Orione ripopolò l'eremo collocandovi gli Eremiti della Divina Provvidenza da lui stesso fondati nel 1899, e con loro anche un sacerdote in qualità di parroco.
Tra di essi, il più conosciuto è frate Ave Maria (al secolo Cesare Pisano), che visse nell'eremo dal 1923 al 1964 conducendo una vita riconosciuta straordinaria per santità, preghiera e penitenza.
La struttura dell'eremo
Il complesso del fabbricato dell'eremo si compone della chiesa parrocchiale di Santa Maria, che è quella originaria edificata da sant’Alberto, e di tre oratori adiacenti e comunicanti: quello di sant'Antonio di forma trapezoidale, situato appena dentro la porta d'ingresso, che appare tutto affrescato; segue la cappella del Santissimo che si identifica come navata di sinistra per chi guarda l'altare, e infine la chiesa di Sant'Alberto sulla destra sempre per chi guarda l'altare.
Sotto un certo aspetto è quest'ultima la più importante, perché in essa vi fu sepolto sant'Alberto dopo la morte, perché vi si conservano tuttora la tomba e vi si venerano le spoglie, e infine perché in essa sono stati eseguiti i più pregevoli affreschi dell'eremo. La più antica di queste chiese è quella di Santa Maria, edificata da sant'Alberto con l'aiuto del Marchese Malaspina, verso l'anno 1050. Segue quella intitolata a sant'Alberto sorta prima della sua morte o subito dopo.
Contemporanea a questa dovrebbe essere quella chiamata recentemente Cappella del Santissimo. Nel 1300 sorse poi la chiesetta di Sant'Antonio, forse al posto di una tettoia o pronao. Così, pure nel 1300, cioè nel periodo di maggior potenza e fulgore dell'eremo, venne costruita la torre ora mozza.
Tutti gli affreschi sono del 1484, dipinti da luglio a settembre, e non recano firma. Fino a tempi recenti furono attribuiti alla scuola dei fratelli Manfredino e Francischino Baxilio di Castelnuovo Scrivia. Ora vi è la tendenza di attribuirli ad un monaco che per umiltà come spesso accadeva in particolare nelle Chiese orientali, son firmò l'opera. Si suppone che molti affreschi, specialmente nella chiesa di Santa Maria, siano andati perduti nel corso dei secoli per successivi rifacimenti.
La chiesa di Santa Maria è stata restaurata, riportandola all'aspetto primitivo, nel 1973, in occasione del nono centenario della morte di sant'Alberto. Nello stesso anno sono state eseguite le scalinate nel sagrato dell'eremo ed altri lavori.
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