Voto di povertà

Da Cathopedia, l'enciclopedia cattolica.
100%Decrease text sizeStandard text sizeIncrease text size
Share/Save/Bookmark
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
La scelta di povertà di San Francesco ha reso significativa la pratica del voto di povertà
1leftarrow.png Voci principali: Voto, Giuramento.

Con voto di povertà si intende la scelta volontaria dello stato di povertà, confermata dal voto a Dio di conservarsi in tale stato per tutta la vita come mezzo della propria perfezione spirituale.

Il voto di povertà è tipico della vita religiosa e, se è solenne, comporta l'obbligo dei religiosi che lo hanno emesso a non avere niente di proprio.

Normalmente chi emette voto di povertà, professa ugualmente il voto di obbedienza ed il voto di castità.

Forme del voto di povertà

Secondo il can. 1192 §2 del Codice di Diritto Canonico, il voto di povertà può essere:

  • Solenne: rende invalido ogni atto contrario al voto. Faceva perdere a chi lo emetteva in perpetuo, ogni diritto di proprietà e ogni altro diritto reale sulle cose temporali che prima dell'emissione del voto erano in suo possesso. Tale forma di voto è in uso negli Ordini monastici di antica origine e negli Ordini mendicanti. Oggi vedasi però la Nota 6 della Voce Voto.
  • Semplice: gode di dispensa ordinaria e rende illecito ma non invalido ogni atto contrario. Chi lo emette non perde la proprietà dei beni che aveva prima della professione dei voti e neppure la capacità di acquistarne altri, ma ne fa dipendere il possesso, cioè la gestione e l'usufrutto, dalla volontà del suo superiore. Tale forma di voto è molto in uso nelle Congregazioni e negli Istituti religiosi sorti specialmente dal Settecento in poi.

Storia

La povertà di spirito

« Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. »

Aspetto fondamentale della povertà religiosa è la povertà di spirito, che consiste nell'umiltà, nella mitezza, nella mansuetudine, nell'operare nel nascondimento senza ricevere onore, nell'occupare il posto più basso fra tanti, nel non cercare il proprio interesse ma quello del prossimo, nel portare con serena gratitudine la propria croce, nel sentire di essere in debito con tutti, nel concepire se stesso in termini di gratuità e non di tornaconto, nel cercare solo la volontà di Dio e non la propria, la sua amicizia e non quella di persone influenti (Ger 17,5-10 ).
La povertà di spirito riprende il tema biblico della dispersione dei superbi e dell'innalzamento finale degli umiliati e dei contriti, così ben riassunto nel Magnificat (Lc 1,46-55 ) "...perché chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato." (Lc 14,11 ).
L'autorità di Sant'Agostino spiega così la povertà di spirito: "A volte ci si imbatte in poveri -bisogna proprio dirlo- che sono pieni di superbia, mentre ci sono dei ricchi umili... Povero di Dio è dunque colui che lo è nel cuore, non nella borsa." (Enarrationes in Psalmos, 131,26).

Nei secoli

Molti cristiani fin dai primi secoli hanno fatto una scelta dichiarata di povertà. Con l'organizzarsi della vita religiosa e con la nascita dei voti religiosi il voto di povertà è sempre stato presente.

Si riporta un brano dell'opera "Quale ricco si può salvare?" del Padre della Chiesa San Clemente Alessandrino: "...anche le ricchezze sono strumenti. Sei in grado di usarle con giustizia? Sono strumenti di giustizia. Sono usate senza giustizia? Diventano a loro volta occasione di ingiustizia... Non distruggiamo dunque le ricchezze e i beni, ma le concupiscenze dell'animo che non consentono di usare bene ciò che possediamo... Rinunciamo agli averi che nuocciono e non a quelli che se ben usati possono essere di giovamento: e portan giovamento quei beni che sono adoperati con prudenza, sobrietà, pietà. Cacciamo invece quelli che rovinano; i beni materiali in sé non sono dannosi. Il Signore ci comanda di lasciare non quanto ci dà da vivere, ma ciò che induce a un uso disonesto delle ricchezze, cioè le malattie dell'anima..." (14.15.17)..
San Zòsima, asceta vissuto in Palestina tra il V e il VI secolo, maestro di San Doroteo di Gaza, scrisse: "Ve lo dico sempre: quel che ci rovina non è il fatto di possedere, ma l'essere attaccati a ciò che possediamo" (Colloqui, 15).

Particolare impulso a questo voto è stato dato dalla figura e dalle scelte di san Francesco d'Assisi. L'ordine religioso da lui fondato si inserisce nel più grande alveo degli ordini mendicanti sorti nel Duecento, cosiddetti perché ricavavano dalla questua abituale molta parte del loro sostentamento.

Concilio Vaticano II

Il Decreto Perfectae caritatis del Concilio Vaticano II così lo presenta:

« 13. La povertà volontariamente abbracciata per mettersi alla sequela di Cristo, di cui oggi specialmente essa è un segno molto apprezzato, sia coltivata diligentemente dai religiosi e, se sarà necessario, si trovino nuove forme per esprimerla. Per mezzo di essa si partecipa alla povertà di Cristo, il quale da ricco che era si fece povero per amore nostro, allo scopo di farci ricchi con la sua povertà (cfr. 2Cor 8,9 ; Mt 8,20 ). Per quanto riguarda la povertà religiosa, non basta dipendere dai superiori nell'uso dei beni, ma occorre che i religiosi siano poveri effettivamente e in spirito, avendo il loro tesoro in cielo (cfr. Mt 6,20 ). Nel loro ufficio sentano di obbedire alla comune legge del lavoro, e mentre in tal modo si procurano i mezzi necessari al loro sostentamento e alle loro opere, allontanino da sé ogni eccessiva preoccupazione e si affidino alla Provvidenza del Padre celeste (cfr. Mt 6,25 ).

Le congregazioni religiose nelle loro costituzioni possono permettere che i loro membri rinuncino ai beni patrimoniali acquistati o da acquistarsi. Gli istituti stessi, tenendo conto delle condizioni dei singoli luoghi, cerchino di dare in qualche modo una testimonianza collettiva della povertà, e volentieri destinino qualche parte dei loro beni alle altre necessità della Chiesa e al sostentamento dei poveri, che i religiosi tutti devono amare nelle viscere di Cristo (cfr. Mt 19,21;25,34-46 ; Gc 2,15-16 ; 1Gv 3,17 ). Le province e le altre case di istituti religiosi si scambino tra loro i beni temporali, in modo che le più fornite di mezzi aiutino le altre che soffrono la povertà. Quantunque gli istituti, salvo disposizioni contrarie di regole e costituzioni, abbiano diritto di possedere tutto ciò che è necessario al loro sostentamento e alle loro opere, tuttavia sono tenuti ad evitare ogni lusso, lucro eccessivo e accumulazione di beni. »

Voci correlate
Collegamenti esterni