Ascesi
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Ascesi (dal greco ἄσκησις, áskēsis), "esercizio" o "allenamento" per acquisire una determinata tecnica, inizialmente nel campo dell'atletica. In seguito il termine giunse a indicare lo studio della filosofia o la pratica della virtù e, in questa accezione, venne usato dai filosofi greci.
L'Ascesi sia israelitica che cristiana diventa l'esercizio volontario della persona che mira a subordinare i valori inferiori ai valori superiori, e in particolare alla preghiera, alla penitenza purificatrice e alla carità, che con il Vangelo assurge a centro di tutta la vita cristiana[1].
Gli asceti cristiani sono persone che vengono dal mondo, non perché siano buone, ma perché Dio vuol renderle migliori con una condotta più perfetta, evangelica. A volte in un determinato momento essi prendono l'audace decisione e si allontanano dalle mondanità che li circondano per condurre vita contemplativa.
Nell'Antico Testamento
L'ascesi israelitica si fonda sulla Shemà Israel, cioè sul primo comandamento: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente" (Dt 6,4-9 , Mt 22,37 ). L'anima viene orientata a questa totalità dell'adorazione verso Dio solo. C'è la consapevolezza che può essere solo "il Dio di Abramo e di Giacobbe" lo scopo e il principio di ogni azione dell'uomo, e che l'uomo è nulla lontano dal vero Dio.
Il popolo di Dio è sempre stato invitato o spinto nel deserto perché esso sa distaccare da ogni idolo, cioè da ogni egoismo o vizio, riducendo la vita all'essenziale e preparando alle mistiche elevazioni. In esso venne forgiato il popolo di Dio: i quaranta anni trascorsi nelle solitudini del Sinai rappresentano nella storia biblica un periodo unico. I Signore custodì quei pellegrini verso la terra promessa agendo con interventi concreti e visibili. Li difese dai nemici, li cibò con la manna e calmò la loro sete con acqua sgorgante da macigni. La loro esistenza era un miracolo continuo. Gli ebrei nel deserto impararono alcune pratiche ascetiche, specialmente l'espiazione e il voto. L'espiazione era un giorno di penitenza per ogni israelita, che compariva davanti a Dio sentendosi peccatore, era il giorno più sacro dell'anno, era vietato ogni lavoro, si faceva un solenne sacrificio espiatorio, accompagnato da un digiuno di tutto il popolo. Celebri i digiuni di Mosè e di Elia, durati quaranta giorni. Il voto aveva per oggetto un'offerta delle proprie cose, o la privazione di un qualche godimento lecito (atto coniugale, vino) o addirittura l'offerta della propria persona, ovvero di quella dei propri dipendenti, come i figli.
I profeti e i loro figli che vennero nelle generazioni successive, se non abitarono continuamente nel deserto vero e proprio come asceti, tuttavia con la loro vita appartata e orante ne realizzarono lo scopo purificatore. Per Geremia quel periodo appare come il fidanzamento tra Dio e il suo popolo prediletto. La stessa idea ritroviamo in Amos, Osea, Ezechiele: riportarsi al tenore di vita del deserto significa il ritorno della sposa verso lo sposo; diversamente si scende al livello degli adùlteri. Se si cade nell'idolatria, l'unica redenzione possibile richiede che Dio privi per un certo tempo il popolo dei suoi idoli (Os 2,15-24 ). Isaia fa un passo ulteriore: mostra come le ricchezze di un giusto usate male, lo mettono contro i suoi fratelli e quindi contro Dio (Is 5,8-24 ). Anzi, nei cosiddetti Canti del Servo, gemma del Deuteroisaìa, ricorre a un paradosso che è un'anticipazione evangelica: i poveri, gli emarginati dai potenti, possono essere benedetti da Dio nella loro desolazione. Siamo alla cuspide della Rivelazione nell'Antico Testamento: sul capo del Servo si sono accumulate tutte le miserie possibili, è ritenuto castigato da Dio stesso; e tuttavia è il più fedele al Signore, anzi è l'unico nel quale Dio si compiace (Is 53,1-12 ). Dunque non solo il peccatore può essere colpito da Dio in vista della sua guarigione spirituale, ma la sofferenza di un giusto acquista un senso redentivo per gli altri peccatori.
Nella stessa scia dei profeti, numerosi Salmi presentano il povero come colui che non ha più nulla in cui riporre speranza, tranne Dio solo, e di lui Dio riconosce e accetta la fede.
Come tappa di intensità ascetica nell'Antico Testamento, si cita infine il complesso dei libri apocalittici. Il loro tema comune è che il mondo creato da Dio è preda delle potenze delle tenebre. Per conseguenza, chi pone la sua speranza nelle cose del mondo si rende schiavo delle potenze ribelli a Dio; però il Regno di Dio dovrà venire, allora sarà abbattuta la vana sicurezza dei regni terreni. Per disporsi a questa alba futura, occorre l'ascesi, cioè rompere l'alleanza con tutte le potenze che pretendono di regnare al posto di Dio. Ciò significa rinunciare a ogni compromesso con il secolo presente. Per questo, nei secoli apocalittici, quelli alla vigilia della nascita di Gesù, fioriscono in Palestina comunità ascetiche di nuovo tipo, un abbozzo di quello che nel cristianesimo sarà la vita monastica, dove le rinunzie volontarie ai piaceri assumono un posto di rilievo. Da una di quelle comunità, gli Esseni di Qumran, sorge Giovanni Battista, il Precursore, che vive da eremita nel deserto. Egli invita gli uomini alla metànoia, cioè a una trasformazione completa della mentalità, per prepararsi alle vie di Dio che non sono le nostre vie (Mt 3,1-12 ).
Nel Nuovo Testamento
L'ascesi cristiana viene orientata in modo definitivo da Cristo stesso: egli dà un mirabile esempio di combattimento spirituale durante la quarantena nel deserto, rispondendo alle tentazioni. L'insegnamento è chiaro: ai discepoli che domandano perché non poterono scacciare il demonio da un ragazzo, risponde che quella specie di demòni si può scacciare solo con preghiera e digiuno, cioè la preghiera è più autentica se accompagnata dalla penitenza. Qui sta tutta l'ascesi cristiana. La mortificazione infatti è un modo per ribadire a se stessi la maggiore stima in cui teniamo i valori spirituali rispetto a quelli corporali. Gesù invita a risorgere rinunciando alla superbia e agli altri vizi, portando la propria croce per conquistare il Regno dei cieli che è essenzialmente amore (cfr. Mt 16,24 ; Lc 13,22-30 ). Seguendo la sua via ci si inoltra nella purificazione del cuore (circoncisione del cuore in linguaggio biblico) di cui già aveva parlato il profeta Geremia, cioè il cambiamento del nostro cuore di pietra, inviluppato nel peccato, in un cuore vero di carne. Sulla via del Cristo-Dio, l'eros, che è l'amore umano decaduto, capace solo di prendere, viene soggiogato dalla agapè, dall'amore dell'amicizia divina capace solo di donarsi. Ormai il motto ascetico dopo Cristo è mettersi "alla sequela di Cristo"; e siccome Cristo è stato crocifisso, il primo modello dell'asceta cristiano è il martirio, parola greca che significa testimonianza.
I cristiani quindi non possono prendere dimora in questo mondo come se fosse una casa permanente. Appena però l'ostilità del mondo verso i cristiani diminuisce, aumenta la tentazione della sistemazione comoda ed egoista. Allora gli asceti si esercitano a fare a meno di tutto ciò che dovranno lasciare quando Cristo chiamerà l'anima a sé con la morte corporale: Origene e altri Padri della Chiesa considereranno martirio una vita condotta con questo scopo.
San Paolo insiste sul tema dell'allenamento e del combattimento spirituale: (1Cor 9,24-27 ; Ef 6,10-18 ; cfr. anche Eb 12,11-13 ). In San Paolo il termine ascesi compare nel paragone tra la pratica della vita cristiana e gli esercizi atletici (Fil 3,13-14 e 2Tim 4,7 ), e gymnazein compare in 1Tim 4,7-8 ; Eb 5,14 e 12,11, (indicando la lotta spirituale). Oppone infatti tra loro la carne e lo Spirito: diverranno un argomento ascetico per definizione. Per carne egli intende non il corpo umano come tale, dato che è opera di Dio, destinato a diventare membra di Cristo e tempio dello Spirito Santo, bensì intende ciò che tutto l'essere umano, corpo e anima, diventa quando si è separato da Dio: un istinto egoistico disordinato. Confronta Rm 8,5-13 e Gal 5,13-25 .
In modo simile San Giovanni Apostolo ed Evangelista oppone il mondo a Dio: per mondo intende non quello creato da Dio, ma quello ribelle a lui, quello che organizza tutto non in funzione dei piani divini, ma in sfruttamento della corruttibilità umana (1Gv 2,15-17 ). Un mondo simile vuol affermare se stesso come assoluto, quindi spinge al godimento immediato e nega ogni trascendenza: per quel mondo tutto è di Cesare! Ecco perché San Paolo loda il celibato quale mezzo per una più libera fedeltà a Cristo (1Cor 7,1-9; 7,25-38 ). Anche la povertà rende l'uomo più libero nei riguardi del mondo, e l'obbedienza ad altri lo rende libero dalla sua volontà egoista. Sono virtù ascetiche.
In questa prospettiva, nei secoli seguenti, cominciano a prendere tutto il loro significato i tre voti monastici che rendono integralmente disponibili per Cristo. Non solo gli asceti del deserto, ma tutti i cristiani senza eccezioni devono tendere a sobrietà, castità e obbedienza: la differenza rispetto ai non-asceti non sta nel trascurare i consigli evangelici, ma sta nella loro pratica saltuaria anziché quotidiana. Anche il "laico" farà occasionalmente un'elemosina, digiunerà alcune volte all'anno, si imporrà periodiche astinenze sessuali praticando la castità matrimoniale, farà ogni tanto la volontà di parenti o amici invece di fare la propria: in tali situazioni, senza aver emesso "voti", il laico realizza una perfezione a lui possibile, e in questo è molto più vicino a Dio rispetto a un asceta che ha promesso penitenze quotidiane, ma che poi non le praticasse.
La sistemazione teologica
L'ascesi cristiana andò così fondandosi sul kerigma, da cui essa trae luce e vitalità; comporta sì una morale ma la sorpassa, trasportando il fedele da una meticolosa osservanza di regole religiose alla più sincera pratica delle beatitudini evangeliche (Mt 5,3-12 ). Origene afferma che ogni demonio vinto da un asceta, si trova privato della capacità di ossessionare altre persone. Tutto l'universo spirituale è retto da una misteriosa comunione: nulla succede nell'intimo di una coscienza che non abbia ripercussioni su tutte le altre coscienze. Quindi la tenace lotta interiore di uno solo -dice Origene- aiuta misteriosamente ma efficacemente tutti gli esseri viventi. Del resto, dimostrerebbe di non aver capito cos'è questa economia divina della salvezza, colui che, per realizzare la propria, si mostrasse indifferente verso la salvezza degli altri.
Sant'Agostino, meditando sull'anima immersa nel mondo per mezzo dei sensi, trova che essa deve cominciare a uscirne fuori col rientrare in se stessa, e ritrovarsi, da smarrita che era. Ritrovandosi, scopre per grazia l'immagine di Dio in se stessa, a somiglianza del quale era stata creata. Questo percorso ascetico si può fare soltanto meditando la Parola di Dio: soltanto la potenza di questa Parola sa richiamare l'anima dall'<<amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio>> per farla salire all'<<amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé>>.
San Tommaso d'Aquino effettua un riassunto, rimasto poi classico, di tutta l'ascesi cristiana, ricavandone lo schema da Evagrio Pontico, dallo Pseudo-Dionigi l'Areopagita e da Origene. Secondo l'Aquinate[2] l'ascesi tende a rendere perfetto l'uomo nei rapporti con Dio; questa perfezione si matura per via di amore in tre fasi che richiedono molto tempo:
- quella degli incipienti: è dominata dalla lotta contro i peccati abituali; tale sforzo è sostenuto dalla fede, per liberarsi dalla pressione che lo spirito del male esercita sull'ancor debole volontà del neofita; qui s'inserisce l'esercizio della mortificazione del corpo e dei sensi (via purgativa);
- quella dei progredienti, ossia di coloro che avanzano nell'esercizio di tutte le virtù, sotto l'impulso della grazia di Dio che comincia a ottenere dei frutti positivi; la conoscenza della grazia dà a questa fase il nome di via illuminativa o contemplativa;
- quella dei perfetti: quando i doni dello Spirito Santo prevalgono sulla fatica di reprimere i peccati, e comincia la vita carismatica o pentecostale, nella quale si arriva a una spontaneità superiore verso Dio col fervore di un amore intimo e in Lui si pregusta già la beatitudine del Paradiso (via unitiva).
In tal modo il peccatore smette di essere uno zimbello nelle mani del diavolo, il quale si serve sia dei desideri che il peccato rende disordinati, sia degli incitamenti quotidiani a quei desideri disordinati operati dalla mondanità. Di fronte a questa situazione, l'unica potenza liberatrice è lo Spirito Santo che rimette nell'uomo le aspirazioni a una vita conforme al Vangelo, e quindi ricrea un santo volere e un santo agire.
Certo lo spirito del male, cacciato fuori, non smette di servirsi di tutti gli appigli che la fragile natura umana gli dà, per cambiare ancora una volta le cose a proprio vantaggio. Ed ecco nascere per questo il combattimento spirituale nel cristiano (Ef 6,11-17 ) che, con l'aiuto della grazia divina, fa superare progressivamente la doppiezza di cuore tra il male e il bene, la dipsychìa come la chiamarono gli antichi Padri della Chiesa.
San Giovanni della Croce, carmelitano spagnolo del Cinquecento, specialmente nelle sue opere Salita al Carmelo e Notte oscura, spiegò meglio di ogni altro prima di lui, che questo processo di purificazione deve avvenire molte volte nel corso del cammino ascetico. Prima va applicato ai sensi (notte oscura dei sensi, con dure prove esteriori), poi prosegue nella parte più spirituale dell'anima (notte oscura dello spirito, con dure prove sulla fede in Dio); prima scendono in campo gli sforzi ascetici volontari, poi la purificazione diventa gradualmente un'opera misteriosa (mistica) condotta da Dio stesso.
Sant'Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, portò nella Teologia ascetica la ricchezza dei suoi Esercizi spirituali. Riportiamo un breve estratto del n° 87: "Le penitenze esterne si fanno principalmente per tre fini: per riparare i peccati passati; per vincere se stessi in modo che i sensi obbediscano alla ragione e tutte le parti inferiori siano più soggette alle superiori; per cercare e trovare una grazia di Dio o un dono che si vuole e si desidera..." Avverte però che, per quanto riguarda la misura delle penitenze, non si può dare una regola precisa, ma si deve usare la discrezione, equilibrando il cammino in base alla personalità di ciascuno e in particolare sulla base della storia spirituale individuale.
Tanti infatti si formano una strana idea di Dio, molto lontana dal Vangelo: come se Dio esigesse in riparazione dei peccati una dolorosa scia di macerazioni al limite dell'autolesionismo. Lo spontaneo disgusto del popolo di Dio per una simile teoria (talvolta ventilata nella storia della Chiesa) spiega quel brusco discredito che certuni provano nei riguardi dell'ascesi cattolica. Sicuramente dobbiamo camminare sulle tracce di Cristo portando la nostra croce (Mt 16,24 ; Col 1,24 ), ma vanno sempre misurati i pericoli di deformazione "dolorista" o di travestimento della rivelazione dell'amore di Dio, perché lo scopo non è di annientare la volontà umana, ma di salvare l'umanità salvando se stessi nella carità.
L'insegnamento del Magistero
La storia della Chiesa è costellata di figure di santi che furono grandi asceti: ricordiamo soltanto San Benedetto, San Romualdo di Ravenna, San Bernardo, san Francesco d'Assisi, Santa Caterina da Siena, Sant'Ignazio di Loyola[3], Santa Teresa d'Avila.
La Costituzione Apostolica Paenitemini ("Pentitevi") di Paolo VI afferma la necessità dell'ascesi per un vero cammino di penitenza, cioè di conversione:
« | La vera penitenza però non può prescindere, in nessun tempo, da una ascesi anche fisica: tutto il nostro essere, infatti, anima e corpo, anzi tutta la natura, anche gli animali senza ragione, come ricorda spesso la Sacra Scrittura[4], deve partecipare attivamente a questo atto religioso con cui la creatura riconosce la santità e maestà divina.
La necessità poi della mortificazione del corpo appare chiaramente se si considera la fragilità della nostra natura, nella quale, dopo il peccato di Adamo, la carne e lo spirito hanno desideri contrari tra loro[5]. Tale esercizio di mortificazione del corpo, ben lontano da ogni forma di stoicismo, non implica una condanna della carne, che il Figlio di Dio si è degnato di assumere[6]; anzi, la mortificazione mira alla "liberazione"[7] dell'uomo, che spesso si trova, a motivo della concupiscenza, quasi incatenato[8] dalla parte sensitiva del proprio essere; attraverso il "digiuno corporale" l'uomo riacquista vigore[9] e "la ferita inferta alla dignità della nostra natura dall'intemperanza, viene curata dalla medicina di una salutare astinenza"[10]. » | |
(Cap. II)
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La Costituzione Apostolica motiva con l'esempio di Cristo stesso[11] la necessità dell'ascesi.
Contro il pericolo di formalismo e di fariseismo rimarca poi l'intimo rapporto che, nella penitenza, dev'esserci sempre tra atto esteriore, conversione interiore, preghiera e opere di carità.
La necessità dell'ascesi è rimarcata dal Catechismo della Chiesa Cattolica:
« | Il cammino della perfezione passa attraverso la croce. Non c'è santità senza rinuncia e senza combattimento spirituale[12]. Il progresso spirituale comporta l'ascesi e la mortificazione, che gradatamente conducono a vivere nella pace e nella gioia delle beatitudini. » | |
(N. 2015)
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Il popolo cristiano vive la penitenza in maniera comunitaria attraverso "i tempi di ascesi e di penitenza, che ci preparano alle feste liturgiche", e che ci fanno "acquisire il dominio sui nostri istinti e la libertà di cuore"[13]: vedasi alla Voce Digiuno.
Fuori dal Cristianesimo
I Greci conoscevano un'ascesi fisica, l'atletica, e un'ascesi intellettuale e morale, come quella di cui parlano gli Stoici e i Neoplatonici; lo scopo era quello di liberare lo spirito dai vincoli delle passioni e delle cose materiali. Anche nel Buddismo troviamo forme simili di ascetica.
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
Teologia - Ascetica: Compendio di Teologia Ascetica e Mistica su paginecattoliche.it. URL consultato il 27-07-2019 (archiviato dall'url originale in data 14 dicembre 2007) |