Madonna annunciata (Antonello da Messina)
Antonello da Messina, Madonna annunciata (1476 ca.), tempera e olio su tavola | |
Madonna annunciata | |
Opera d'arte | |
Stato | |
Regione | Sicilia |
Regione ecclesiastica | Sicilia |
Provincia | Palermo |
Comune | |
Diocesi | Palermo |
Ubicazione specifica | Galleria Regionale della Sicilia |
Uso liturgico | nessuno |
Oggetto | dipinto |
Soggetto | Maria Vergine annunciata |
Datazione | 1476 ca. |
Ambito culturale | ambito siciliano |
Autore |
Antonello da Messina (Antonio di Giovanni) |
Materia e tecnica | tempera e olio su tavola |
Misure | h. 45 cm; l. 34,5 cm |
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La Madonna annunciata è un dipinto, eseguito nel 1476 circa, a tempera e olio su tavola, da Antonio di Giovanni detto Antonello da Messina (1430 ca. - 1479), conservato nellaa Galleria Regionale della Sicilia, presso Palazzo Abatellis di Palermo.
Il dipinto rappresenta in assoluto la più celebre immagine della pittura siciliana. Essa ha un fascino sottile, quasi magnetico, e offre una versione originale di un soggetto molto diffuso nell'arte cristiana: l'Annunciazione.
Descrizione
Soggetto
Nella scena, su un fondo scuro, compaiono:
- Maria Vergine raffigurata nell'atto di ricevere l'annunciazione da san Gabriele arcangelo e completamente ammantata da un velo blu cobalto che si staglia contro un fondo scuro, mostra il suo volto luminoso e dolce dallo spiraglio a goccia allungata che si generato dall'unione dei due lembi del manto. Dalla sagoma, quasi piramidale, del manto emerge il volto e l'asse della composizione è dato dalla verticale che va dalla piega dello scollo all'angolo leggio, ove sono narrate le profezie che le stanno accadendo; al contrario il lento girare della figura e il gesto della mano danno movimento alla composizione. La Madonna è presentata in versione frontale: ne nasce un dialogo silenzioso e immaginario con l'Arcangelo che sta davanti a lei, nella stessa posizione dello spettatore. Maria ha un'espressione pensosa. I suoi occhi sono rivolti a destra, verso la luce. Le sue labbra designano serietà e serenità. Il suo volto è costruito sulla linea curva: un ovale perfetto, incorniciato dal manto. È una donna vera, in carne e ossa: una giovane affascinante e misteriosa, come una ragazza siciliana del tempo. La mano destra è protesa in avanti, appena sollevata dal tavolo dove stanno il leggio e il libro visti di spigolo: il gesto è un elemento prospettico che misura lo spazio, ma, nello stesso tempo, in esso si concentra tutta la tensione del dipinto. Questa mano è l'eco del "sì" di Maria. L'altra mano fa un movimento delicato e si stringe per chiudere, con un delicato gesto di pudore, il velo sul seno, lo spazio più intimo che lei mette a disposizione per collaborare al disegno di Dio.
- Leggio di legno, su cui poggia un libro con le pagine sollevate, in una prospettiva ardita, s'incunea nello spazio dell'osservatore quasi come un baluardo simbolico eretto a proteggere Maria Vergine.
Note stilistiche, iconografiche e iconologiche
- Il pittore presenta qui una personale interpretazione del rigore geometrico di Piero della Francesca, semplificando al massimo i colori e i volumi.
- La posa è di tre quarti, lo sfondo scuro e la rappresentazione essenziale derivano dai modelli fiamminghi, in particolare dal pittore Petrus Christus (1410 ca. - 1475 ca.). La luce è radente e illumina l'effigie come se si affacciasse da una nicchia, facendo emergere gradualmente i lineamenti e le sensazioni del personaggio. L'uso dei colori ad olio permette poi un'acuta definizione della luce, con morbidissimi passaggi tonali, che riescono a restituire la diversa consistenza dei materiali. A differenza delle opere fiamminghe però, il pittore impostò anche una salda impostazione volumetrica della figura, con semplificazioni dello stile "epidermico" dei fiamminghi che permette di concentrarsi su altri aspetti, quali il dato fisionomico individuale e l'elemento psicologico.
Notizie storico-critiche
La prima menzione di quest'opera è in una lettera di mons. Di Marzo, del 1866 (ma pubblicata solo nel 1887,[1]) in cui lo storico siciliano ricordava di aver visto a Venezia un'opera simile a questa e firmata da Antonello da Messina, ponendosi il problema della relazione fra i due dipinti. La sollecitazione a ciò gli veniva dal fatto che l'opera palermitana, acquistata qualche anno prima da mons. Vincenzo di Giovanni presso la nobile famiglia Colluzio, era attribuita a Durer, mentre lui riteneva che fosse proprio di Antonello da Messina come quella veneziana. In seguito, anche altri studiosi confermarono questa teoria, che oggi è universalmente riconosciuta.
Nel 1906, il dipinto fu donato da mons. Di Giovanni alla Galleria Regionale della Sicilia.
Note | |
Bibliografia | |
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