Processo dei Templari
Il Processo dei Templari, ossia ai Cavalieri Templari, si tenne dal 13 ottobre 1307 al 2 maggio 1312.
I Cavalieri dell'Ordine del Tempio
L'Ordine del Tempio, così chiamato perché nacque nel 1119 presso il tempio di Gerusalemme, ebbe una prima approvazione ecclesiastica durante il Concilio di Troyes del 1128 e poco dopo, nel 1130, san Bernardo di Chiaravalle compose per loro uno scritto elogiativo, intitolato De laude novae militiae ad Milites Templi (Per i Cavalieri del Tempio. Elogio della nuova cavalleria)[1] Essi redassero una regola, probabilmente sotto la guida di san Bernardo, sebbene alcune clausole furono aggiunte in seguito, basandosi su alcune consuetudini precedenti e sulla Regola di San Benedetto.
Unitamente ai tre voti monastici di castità, povertà e obbedienza, i cavalieri ne aggiungevano un quarto: quello di difendere i Luoghi santi della Palestina. Cosa che fecero proteggendo i pellegrini e compiendo atti di valore, come a Gaza (1171), a Tiberiade (1187), a Damietta (1219) e in Egitto (1250). Caduta la fortezza di San Giovanni d'Acri nel 1291, i cavalieri abbandonarono definitivamente la Terra Santa e ripiegarono a Cipro e in Europa soprattutto in Italia, in Francia, in Spagna, in Inghilterra, in Irlanda e nella Scozia.
Gli arresti nel 1307
La mattina del 13 ottobre 1307, con una operazione simultanea perfettamente riuscita tutti i Templari residenti in Francia furono arrestati per ordine del re Filippo IV, il Bello, senza nessun preavviso. Incarcerati, vennero accusati di vari delitti: di sodomia obbligatoria, adorazione dell'idolo Baphomet, affiliazione al catarismo, rinnegamento di Cristo sulla cui immagine essi avrebbero sputato al momento della ricezione nell'Ordine.
Le ambizioni di Filippo il Bello
L'incarcerazione dei Templari francesi preludeva, nelle intenzioni di Filippo il Bello, alla soppressione dell'Ordine stesso. Il sovrano mal tollerava la loro potenza e autonomia e desiderava incamerarne le vaste possessioni. Dalla soppressione dei Templari Filippo avrebbe ricevuto solo grandi benefici. Gli ingenti debiti contratti con i Templari, banchieri della Corona francese, sarebbero stati azzerati; in seguito - dopo aver smascherato le nefandezze dell'Ordine - Filippo sarebbe riuscito, con qualche pretesto, a incamerare i beni di quell'Ordine, ricco e potente ma ormai, a suo dire, corrotto ed eretico.
Il pretesto gli era stato offerto da un certo Esqiu de Floryan che si diceva essere stato templare il quale, nel 1305, accusò segretamente i membri dell'Ordine. Sempre il sovrano francese era riuscito a ottenere da papa Clemente V l'autorizzazione ad aprire una istruttoria contro di essi.
Le istruttorie, in realtà, furono due: una condotta dagli impiegati regi e l'altra eseguita da inquisitori ecclesiastici, ligi, però, al re e, in flagrante violazione della prassi canonica, alla presenza di uomini a ciò deputati dal re stesso. Venne applicata la tortura nei modi più efferati tanto che molti cavalieri morirono sotto i tormenti; si ottennero a tutti i costi le "confessioni" che si volevano. Lo stesso Gran Maestro dell'Ordine, Giacomo de Molay, per lettera esortò i confratelli a confessare.
Clemente V cerca un giusto giudizio
Il papa in un primo momento, ossia dal primo giorno dell'arresto dei Templari di Francia, 13 ottobre 1307, protestò energicamente per la palese violazione delle immunità ecclesiastiche commesse dagli agenti regi per l'imprigionamento, la confisca arbitraria dei beni e l'impiego della tortura. Per questo tentò di sottrarre i templari alle mire del re: li fece arrestare dovunque si trovassero, sottraendoli così all'arbitrio delle autorità secolari, il 22 novembre 1307. Annullò poi tutti i procedimenti promossi dall'Inquisizione di Francia e dagli uomini del re, che avevano barbaramente torturato i templari, costringendoli a confessare (o meglio ad accettare le accuse formulate a loro carico); assolse infine settantadue cavalieri e i cinque grandi dignitari.
In seguito, però, impressionato dalle relazioni delle confessioni dei detenuti, ordinò l'arresto di tutti i membri dell'Ordine nei vari regni d'Europa.
Con la bolla Faciens misericordiam dell'agosto 1308 il papa, dopo aver annullato tutte le precedenti inchieste condotte dall'Inquisizione di Francia contro l'Ordine dei Templari, arrestati a sua insaputa per ordine del re, avocò a sé la conduzione del processo contro i Cavalieri del Tempio. I suoi commissari apostolici avrebbero avviato procedimenti giudiziari in tutti i regni cristiani contro l'Ordine, mentre con inchieste diocesane, presiedute dai vescovi locali, sarebbero stati inquisiti i singoli Cavalieri. Il successivo Concilio di Vienne (1311-1312) avrebbe vagliato i risultati delle indagini dei commissari decidendo delle sorti dell'intero Ordine, mentre i concili provinciali, presieduti dai vescovi, avrebbero considerato i casi personali dei singoli Templari. Il papa si riservò inoltre la facoltà di giudicare il gran maestro e gli altri quattro dignitari del Tempio.
Le torture e le confessioni estorte
Il processo contro i Templari di Francia iniziò formalmente il 22 novembre 1309, ma i lavori dei commissari papali si accelerarono in modo significativo soltanto dal marzo 1310, perfezionando l'impianto accusatorio, costituito da 127 articoli per accertare le vere responsabilità dell'Ordine.
Le disposizioni pontificie diedero ai Templari la speranza di un giudizio equo. In numero di 563 (in Francia i Templari erano circa 2.000 ma molti erano già morti sotto le torture e per gli stenti della prigionia o per paura di ulteriori torture non osarono ritrattare le confessioni estorte con la violenza) protestarono la loro innocenza e quella dell'Ordine. Erano stati detenuti nelle prigioni, nelle abbazie e in case di privati. Ma tutti volevano difendere l'Ordine. Il gran maestro, Giacomo di Molay, dichiarò che voleva deporre solo in presenza del papa, nonostante il processo dovesse giudicare l'Ordine nel suo insieme e lui non fosse l'imputato.Egli infatti era stato già assolto dal papa: due anni prima, a Chinon, aveva ammesso la sua colpevolezza e aveva abiurato i suoi errori. Ora interveniva in qualità di testimone ma aveva paura: era stato intimorito dagli agenti del re,che lo mettevano in guardia dal contraddirsi, perché in tal caso sarebbe stato considerato relapso, cioè ricaduto nell'errore e sarebbe stato condannato definitivamente al rogo come eretico. Neppure il papa avrebbe potuto salvarlo. Nonostante la defezione del gran maestro la maggior parte dei cavalieri parlava a favore dell'Ordine.
Le capziosità dei giudici prezzolati
Nel maggio 1310 la causa dei Templari non sembrava del tutto persa, anzi sembrava sempre più rafforzarsi. Solo che per inavvertenza, o per acquiescenza alle intimidazioni del re, molti giudici, compresi i delegati papali, permisero che agli interrogatori degli inquisiti assistessero gli impiegati regi, quando l'inchiesta, come da prassi canonica, doveva restare segreta. I prigionieri, detenuti nelle carceri statali, vennero perciò sottoposti a maggiori vessazioni e rappresaglie da parte degli scherani del re. Il re boicottò in modo strategico il procedimento canonico.
L'arcivescovo Philippe de Marigny, fratello di Enguerraud, fedelissimo di Filippo e membro del suo Consiglio, attingendo in malafede alle informazioni provenienti da due distinte inchieste, quella diocesana di Sens da una parte e quella del processo generale contro l'Ordine dall'altra, l'11 maggio 1310 convocò il concilio provinciale della sua diocesi a Parigi, facendo condannare i cinquantaquattro Templari soggetti alla sua giurisdizione, giudicandoli relapsi, perché nell'inchiesta diocesana avevano confermato le confessioni rilasciate dopo l'arresto del 1307, ma dinanzi ai commissari papali avevano ritrattato. Furono tutti condannati al rogo. Gli altri Templari, terrorizzati, cedettero. Tra il novembre e il giugno 1311, circa un terzo dei seicento cavalieri comparirono spontaneamente di fronte ai giudici e solo per riconfermare quanto dichiarato nelle precedenti deposizioni, perché ritrattare significava la morte certa[2]. Pochi, quindi, furono i Cavalieri che ebbero il coraggio di parlare ai commissari pontifici delle torture loro inflitte, per timore di altre e maggiori vessazioni e torture. Davanti al papa furono presentati solo i più deboli mentre per gli altri si disse che erano infermi; si praticò tale metodo con tutti i capi dell'Ordine: neppure Giacomo di Molay poté presentarsi al papa.
Le decisioni del Concilio di Vienne
A difesa dei Templari rimaneva il fatto che nelle terre non soggette al re di Francia l'Ordine era risultato incensurabile. L'epilogo della tragica vicenda si ebbe durante la celebrazione del concilio di Vienne. Il 22 marzo 1312 il papa, con la bolla Vox in excelso sopprimeva l'Ordine "in virtù della sua autorità papale e per via di provvisione e non già in forza di una condanna". Dopo lo scandalo dei processi, spiegava la bolla, era impossibile, per l'Ordine, poter svolgere serenamente la sua missione. La bolla fu letta e approvata durante una sessione del concilio, il 3 aprile 1312. Con bolla successiva, Ad providam (Per la provvida), del 2 maggio dello stesso anno, tutti i beni dell'Ordine del tempio venivano trasferiti all'Ordine ospedaliero di san Giovanni. Il 6 maggio, poi, con ulteriore lettera Ad certitudinem (Per accertamento), specificava quali fossero i membri più ragguardevoli dell'Ordine che dovevano comparire davanti a lui. Gli altri detenuti dovevano presentarsi ai sinodi provinciali. Gli innocenti sarebbero stati assolti e assistiti con i beni dell'Ordine; i rei confessi dovevano essere trattati con mitezza e gli ostinati e recidivi consegnati al braccio secolare. La pervicace volontà del re gravò ancora pesantemente sui giudici deboli o ligi al suo volere. La persecuzione non risparmiò nessuno dei confratelli della cavalleria templare. Quando non furono trascinati sul rogo, essi languirono in carcere a vita. Il 18 maggio 1314, Giacomo di Molay e il gran precettore di Normandia, Goffredo di Charnay, venivano condannati al carcere a vita. Avendo essi protestato in pubblico la loro innocenza furono immediatamente bruciati vivi.
I Templari soppressi
Il 2 maggio 1312 fu reso noto il primo documento per attuare la soppressione dell'Ordine. Il papa nominava commissari incaricati di farlo eseguire in Francia, in Inghilterra, in Irlanda, nella Scozia, in Grecia, in Oriente, in Germania, nella Svizzera, in Italia (Sicilia compresa), nella Svezia, nella Norvegia e nella Danimarca. Nei mesi successivi la cancelleria pontificia avrebbe pubblicato altri documenti per l'attuazione sistematica della soppressione e il trasferimento dei beni ad altri Ordini.
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