Sinesio

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Sinesio di Cirene
Vescovo
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Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte circa 43 anni
Nascita Cirene
370 ca.
Morte Cirene
413
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Appartenenza
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Incarichi ricoperti vescovo di Tolemaide di Libia
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° vescovo di Roma
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Collegamenti esterni
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La mia vita è stata una di libri e di caccia, tranne il tempo che ho speso come ambasciatore.
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(Sinesio, Sui sogni, IX)

Sinesio di Cirene, In greco: Συνέσιος, Synésios; in latino: Synesius (Cirene, 370 ca.; † Cirene, 413), è stato un vescovo, filosofo e scrittore ellenista. Fu attivo in molti campi, come testimoniato nelle sue lettere; un filosofo neoplatonico, discepolo di Ipazia, e poi vescovo cristiano di Tolemaide di Libia[1]. Ebbe anche interessi scientifici, come attestato dalla sua lettera ad Ipazia, in cui è presente il più antico riferimento ad un idrometro, da un lavoro sull'alchimia sotto forma di commento allo pseudo-Democrito e da un trattato sulla costruzione di un astrolabio.

Biografia

Carriera politica e letteraria

Sinesio nacque a Cirene intorno al 370 da una ricca famiglia che affermava di discendere dai fondatori della città, a loro volta pretesi discendenti dell'eraclide Euristeo.[2] Verso il 392 si recò assieme al fratello Evozio in Grecia; nel 393 andarono invece a studiare ad Alessandria d'Egitto, dove divenne un neoplatonico e un discepolo della filosofa Ipazia.

Intorno all'anno 397 ritornò nella città d'origine; qui venne scelto per condurre un'ambasciata delle città della Pentapoli dorica presso la corte imperiale, con lo scopo di chiedere all'imperatore Arcadio una riduzione delle tasse. Il suo discorso all'imperatore, noto come All'imperatore sulla regalità o De regno, presenta gli argomenti che dovrebbero essere studiati da un governante saggio e afferma che il primo dovere di un sovrano è la lotta alla corruzione.

Durante i suoi tre anni di permanenza a Costantinopoli si dedicò alla stesura di un'opera letteraria, l'Aegyptus sive de providentia: si tratta di una allegoria in cui il buon Osiride e il cattivo Tifone (che rappresentano i ministri di Arcadio Aureliano e il goto Gainas) lottano per il predominio; nell'opera viene affrontata la questione dell'esistenza del male permessa da Dio.

Se la composizione dell'Aegyptus aveva lo scopo di ingraziarsi Aureliano, Sinesio riuscì nel suo intento, perché nel 400 la riduzione delle tasse richiesta venne concessa e Sinesio poté tornarsene a casa. Si stabilì in una sua proprietà nell'interno, ad Anchimachus, dove si dedicò ai libri e alla caccia, tornando in città solo quando richiesto dagli affari; nel 402 si recò in visita ad Atene, la cui scuola filosofica trovò inferiore a quella di Alessandria; forse nel 403 si sposò ad Alessandria: il celebrante fu il vescovo Teofilo, mentre il nome della sposa non è noto, sebbene si trattò sicuramente di una donna cristiana, dalla quale ebbe tre figli che gli premorirono.

Vescovato

Nel 409/410 Sinesio venne scelto per volontà popolare come vescovo di Tolemaide; dopo lunghe esitazioni causate da motivi personali e dottrinali, Sinesio accettò l'incombenza con molta renitenza[3] e venne consacrato vescovo da Teofilo ad Alessandria. Gli venne concesso di mantenere la propria moglie, cui era profondamente affezionato; rifiutò di accogliere molti dogmi cristiani - la creazione dell'anima, la resurrezione della carne e la fine del mondo - anche se accettò di fare alcune concessioni durante le sue lezioni pubbliche. In sostanza, egli accettò del cristianesimo quanto concordava con la sua filosofia, rifiutando sia «la religione del Libro» che la figura del «Cristo redentore».

La sua reggenza del vescovato fu afflitta da sofferenze personali e pubbliche: la morte dei figli, la corruzione amministrativa, le incursioni barbariche, durante le quali dette prova di abilità di comando militare, ed ebbe un rapporto conflittuale col praeses Andronico, che scomunicò per aver interferito col diritto d'asilo della Chiesa.

La data della sua morte non è nota; si propende per il 413 in quanto non sembra essere venuto a conoscenza della morte violenta di Ipazia. Una leggenda volle farlo santo,[4] ma tutti gli studiosi non gli concedono nemmeno la qualifica di padre della Chiesa.[5]

Opere

Opere pervenute fino al giorno d'oggi:

  • De regno ("Il regno"): discorso ad Arcadio sui doveri di un sovrano
  • Dio, sive de suo ipsius instituto: in cui dichiara la propria intenzione di dedicarsi alla vera filosofia
  • Encomium calvitii ("Elogio della calvizie"): risposta all'Elogio della capigliatura di Dione Crisostomo
  • Aegyptus sive de providentia ("L'Egitto" o "La provvidenza"): opera in due parti
  • De insomniis: un trattato sui sogni
  • Constitutio
  • Catastasis: descrizione della Cirenaica romana
  • Epistolae: raccolta di 157 lettere, di cui una, la numero 57, è di fatto un discorso
  • Hymni: dieci inni di stampo neoplatonico
  • due omelie
  • un saggio sulla costruzione di un astrolabio

È noto che compose anche:

  • un libro sull'allevamento dei cani
  • vari poemi, di cui parla nelle lettere

Sinesio scriveva in dialetto attico, anche se gli inni sono in dialetto dorico.

Note
  1. Cfr. M. Barbanti. Sinesio di Cirene, in Enciclopedia filosofica, vol.11. Milano, Bompiani, 2006, pag. 10671 e segg. anche Henry Chadwick Sinesio di Cirene in Dizionario di Antichità classiche, Milano, Paoline, 1995, pag.1949.
  2. Nell'Epistola 113 Sinesio rivendica orgogliosamente la sua mitica discendenza
  3. Cfr. Epistola 105
  4. H. I. Marrou, Synesius of Cyrene and the Alexandrian Neoplatonism, in «The conflict between Paganism and Christianity in the fourth century», Oxford, Clarendon 1963, pp. 126-150
  5. H. v. Campenhausen, Griechischen Kirchenväter, Stuttgart, Kohlhammer 1967, p. 125
Bibliografia
  • Lendering, Jona, "Synesius of Cyrene", livius.org
  • J. Bregman, Synesius of Cyrene (1982)
  • Chr. Lacombrade, Synesios de Cyrène. Hellène et Chrétien (1951)
  • J. H. W. G. Liebeschuetz, "Why Did Synesius Become Bishop of Ptolemais?", Byzantion, 56 (1986) pp. 180-195.
  • T. Schmitt, Die Bekehrung des Synesios von Kyrene (2001)
Collegamenti esterni