Trasfigurazione di Gesù Cristo (Beato Angelico)
Beato Angelico, Trasfigurazione di Gesù Cristo (1438 - 1440), affresco | |
Trasfigurazione di Gesù Cristo | |
Opera d'arte | |
Stato | |
Regione | Toscana |
Regione ecclesiastica | Toscana |
Provincia | Firenze |
Comune | |
Diocesi | Firenze |
Ubicazione specifica | Museo Nazionale di San Marco, primo piano, dormitorio, cella 6 |
Uso liturgico | nessuno |
Comune di provenienza | Firenze |
Luogo di provenienza | ubicazione originaria |
Oggetto | dipinto murale |
Soggetto | Trasfigurazione di Gesù Cristo |
Datazione | 1438 - 1440 |
Ambito culturale | ambito fiorentino |
Autore |
Beato Angelico (Guido di Pietro) e bottega |
Materia e tecnica | affresco |
Misure | h. 192 cm; l. 167.5 cm |
|
La Trasfigurazione di Gesù Cristo è un dipinto murale, eseguito tra il 1438 ed il 1440 circa, ad affresco, da Guido di Pietro, noto come Beato Angelico (1395 ca. - 1455), ubicato nella cella 6 del dormitorio, al primo piano, nel Convento di San Marco, oggi sede del Museo Nazionale di San Marco di Firenze.
Descrizione
Soggetto
Il dipinto raffigura l'episodio evangelico, ambientato sul monte Tabor, dove compaiono:
- Gesù Cristo trasfigurato, rivela la sua natura divina alla presenza di tre apostoli: egli indossa delle vesti bianche, che hanno il nitore, la trasparenza e la bellezza della luce; infatti, la sua figura si staglia, bianco su bianco, entro una mandorla luminosa, che abbaglia gli astanti. Cristo ricorda un Pantocrator, adatto a rendere la potenza del momento in cui Dio proclamò ai discepoli "Questo è il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto". Gesù è il centro di tutta la struttura compositiva, l'inizio e la fine di ogni cosa. L'inquadratura di Cristo è frontale: le braccia aperte, la cui disposizione imita e preannuncia la croce. L'artista, infatti, evoca contemporaneamente la morte del salvatore, nella posa cruciforme assunta da Cristo, e la sua vita immortale, svelata dalla trasfigurazione.
- Profeti si sono materializzati, accanto a Gesù, solo nel volto, e "conversano" con lui della sua imminente passione e morte; essi riassumono il suo esser venuto a completare la Legge e sono il simbolo dell'avverarsi delle profezie dell'Antico Testamento. I due profeti sono posti ai lati di Cristo:
- Tre apostoli, in basso, storditi dall'evento, sono atterrati come folgorati dalla splendida visione, ma esprimono in modi differenti le loro emozioni:
- a sinistra, san Pietro fa un gesto per coprirsi gli occhi;
- al centro, san Giacomo, di spalle, è in una posa carica di stupore (si notino le mani e i piedi contratti con studiato realismo);
- a destra, San Giovanni, s'inginocchia ed alza le mani con una profonda reverenza.
Inoltre, vi è l'insolita presenza di due figure che pregano inginocchiate e si uniscono all'adorazione del Cristo, ai due lati:
- a sinistra, Maria Vergine;
- a destra, san Domenico di Guzmán, il fondatore dell'Ordine, il quale fa da testimone alla scena e la attualizza; egli non è investito dalla luce, ma è la luce proveniente dall'esterno, dalla finestra della cella, a destra, ad illuminare le sue gote, lasciando in ombra gli altri lineamenti del volto.
Note stilistiche, iconografiche ed iconologiche
- La sobrietà e semplicità dell'opera è sicuramente influenzata dalla destinazione particolare dell'ambiente nel quale è ubicato, dove i frati vivevano una vita fatta di contemplazione, preghiera e meditazione. Ciò porta ad una lettura dell'episodio evangelico più essenziale e quindi più efficace, scevra da distrazioni decorative superflue e adeguata più che mai all'immediatezza narrativa.
- I corpi dei personaggi sono scolpiti dalla luce cristallina, che dà una forte sensazione, tramite il chiaroscuro, di rilievo plastico. Le fisionomia sono dolci ma incisive, il panneggio realistico, la collocazione spaziale è solida e ben calibrata, a parte per le apparizioni mistiche dei profeti che fluttuano nell'aria con ali di cherubino.
Notizie storico-critiche
Il Convento di San Marco, appartenuto ai monaci silvestrini, fu affidato nel 1436 ai domenicani di Fiesole dal papa Eugenio IV. L'edificio, che era gravemente degradato, venne radicalmente ristrutturato e trasformato dall'architetto fiorentino Bartolomeo Michelozzi (1396 - 1472) a partire dal 1437 su incarico di Cosimo de' Medici (1389 - 1464). I lavori si prolungarono fino al 1452, iniziando dalle celle e proseguendo con la sistemazione del chiostro, della sala capitolare e della biblioteca (1444); veniva intanto ultimata la chiesa, consacrata nel 1443.
La decorazione pittorica fu affidata a Beato Angelico, che ne curò l'esecuzione fra il 1438 e il 1446, parallelamente al progredire dei lavori architettonici di Michelozzo, sino alla partenza per Roma, avvenuta nel 1446 - 1447. Secondo lo storico dell'arte John Pope-Hennessy, il pittore ritornò a dedicarsi alla decorazione del convento anche dopo il ritorno dal soggiorno romano. Si può, quindi, complessivamente stabilire un periodo di attività nell'edificio dal 1438 al 1446-1450.
L'opera, in particolare, fa parte del ciclo di dipinti murali, che decorano le 44 celle del dormitorio al primo piano, affrescate dall'Angelico e dai suoi aiuti, primo fra tutti Benozzo Gozzoli (1420-1497), fra il 1438 ed 1450, e costituiscono uno degli insiemi più celebri e stilisticamente maturi di tutta l’arte del Quattrocento. L’esecuzione dei singoli dipinti (uno per cella) è semplice ed essenziale, poiché questi sono dedicati ai frati secondo quanto si conviene a degli uomini di fede. I soggetti, tratti in gran parte dal Nuovo Testamento, con particolare insistenza sul tema della Passione di Gesù Cristo, costituiscono una sorta di spunto per la preghiera e la meditazione quotidiana.
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