Cathopedia:Commemorazione del 5 giugno 1951 Card. Carlo Confalonieri

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COMMEMORAZIONE DEL BEATO PIO X


Commemorazione tenuta il 5 giugno 1951 da S. E. Mons. CARLO CONFALONIERI, Arcivescovo titolare di Nicopoli al Nesto, segretario della Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi - Prefetto S. E Rev.ma il Card. Giuseppe Pizzardo, Vescovo di Albano - in occasione del III convegno dei Superiori e Professori dei Seminari Regionali e Maggiori d’Italia svoltosi dal 4 al 6 giugno 1951 a Roma nell’aula magna del Pontificio Istituto di Magistero “Maria SS.ma Assunta” – via Traspontina, n 21


PIO X E I SEMINARI


Di ogni Papa l’attività apostolica è necessariamente multiforme, abbraccia cioè tanti settori di pastorale sollecitudine quanti sono gli aspetti della vita della Chiesa, taluni nativi e costanti per necessità di struttura, altri accessori e mutevoli secondo le circostanze dei tempi. Le peculiarità e le tonalità degli interventi del Papa per corrispondere e soddisfare a tali esigenze, connesse con la difesa l’incremento e il trionfo del Regno di Cristo, determinano le caratteristiche proprie e le impronte storiche di un Pontificato. Quelle di Pio X – per ciò che riflette la Sua intensa e vigorosa opera restauratrice – possono riassumersi intorno a tre parole: liturgia, antimodernismo, Seminari. Mi raccolgo subito rigorosamente nel tema assegnato, i Seminari; non senza notare però che le riforme e gli impulsi specificamente liturgici, dall’Eucaristia ai libri della Preghiera ufficiale, alla Musica sacra e al restante complesso delle innovazioni piane, hanno un ben notevole rapporto con la formazione degli aspiranti all’altare e con la loro preparazione al sacro ministero; così come l’azione purificatrice e moderatrice contro quell’insieme di deviazioni teoriche e pratiche, individuate nel termine ormai storico di Modernismo, rientra nella vigile cura che la Chiesa pone, da una parte a preservare da contaminazioni perniciose il campo di addestramento dei futuri maestri ed apostoli, dall’altra ad apprestare loro quei sussidi intellettuali, didattici e normativi che, anche dalla fondazione dell’Istituto Biblico, dalla revisione della Volgata, dalla stessa lungamente invocata e attesa codificazione del Diritto Canonico, traevano più ampie possibilità di schiarire le fonti della verità rivelata, purtroppo intorbidate da pretenziose influenze razionalistiche, e di fissare in linee ben definite le vie di un governo ordinato e di una precisa orientazione di movimento. Il senso pratico, tanto connaturale a Pio X – sia per virtù di origine familiare, sia per esperienza di ministero in tutti i gradi della gerarchia, e ancor più per la pratica della direzione spirituale fatta con lode e merito nel Seminario di Treviso – lo mise subito di fronte alle necessità di assicurare quei fondamenti dell’organismo ecclesiastico che sono i Seminari. E la prima Epistola Enciclica “E Supremi” del 4 ottobre 1903, che annunciava alle comprensibili attese del mondo cattolico il programma pontificale “Instaurare omnia in Christo”, gettava la semente da cui germoglierà, con moto ognora più irradiante e accelerato, la provvida azione verso i Seminari, in vista di più sano e largo rendimento: “…Pars potior diligentiarum vestrarum sit – scrive Egli ai Vescovi – de Seminariis sacris rite ordinandis moderandisque, ut pariter integritate doctrinae et morum sanctitate floreant”. A formare i continuatori del Sacerdozio e dell’apostolato la Chiesa aveva sempre, in realtà, provveduto sia pure in diverse maniere fin dal suo nascere. Al Concilio Tridentino spetta di aver sanzionato una disciplina e impresso un carattere. Da allora i benefici risultati, che ancor oggi fanno esaltare e benedire il lavoro di quell’accolta ecumenica e i nomi degli epigoni, andarono via via generalizzandosi e ingrandendo nei secoli successivi, non sempre e dovunque velocemente, ma almeno con progressività costante e tenace. Il nuovo ordine era incominciato. Il secolo decimo nono tuttavia aveva segnato anche in Italia, nei recinti sacri, un periodo di dissipazioni e di incertezze. Le scosse violente della recente rivoluzione francese, gli impeti pur generosi del risorgimento, la vivacità stessa del contrasto politico sorto dai nuovi ordinamenti, avevano percosso gli animi di molti, qua e là agitati e spesso spalancati i Seminari, avvinta la gioventù ecclesiastica in visioni e problemi almeno non confacenti alle finalità proprie del Sacerdozio. C’era poi tutto un magma appiccicoso e bruciante di dottrine e di movimenti che a quel trambusto sociale e politico avevano prestato l’alimento o nel quale avevano trovato terreno propizio e fecondo; oltre la gamma variopinta del pensiero propriamente filosofico, che imprimeva alle menti, e di conseguenza alle volontà, un moto spesso tempestoso, come alle onde del mare il violento imperversare dei venti.


I Seminari maggiori riuniti Per rendersi conto esatto dei bisogni e dei rimedi, Pio X indìce subito nel 1904 la Visita Apostolica alle diocesi d’Italia, visita che non si era più fatta da quasi un secolo. Fu meraviglia, gioia, attesa. Gli anziani di questa assemblea ricordiamo, nei lontani anni del nostro tirocinio seminaristico, il simultaneo sciamare, nelle diverse direzioni della Penisola, di distinti Prelati inviati da Roma per compiere le prescritte indagini e riferire. Ne risultò per molte regioni dell’Italia peninsulare la necessità e l’urgenza della concentrazione dei seminari. È questa la terminologia usata nel documento pontificio fondamentale, l’augusto Chirografo cioè del 16 gennaio 1905; Chirografo che il nostro Dicastero conserva gelosamente nel suo Archivio, nella nitida sicura ordinata calligrafia, che è gioia agli occhi a vederla, e testimonianza del limpido interiore intuito di quell’anima, semplice e vigorosa ad un tempo. Fatto: molti Seminari sono ben lungi dal raggiungere lo scopo per cui sono istituiti. Motivi: la piccolezza delle diocesi che dà pochi aspiranti, la mancanza dei mezzi necessari senza dei quali non si vive, la impossibilità di trovare i Direttori e i Maestri adatti alla buona educazione e istruzione. Conseguenza: là dove si verifica tale situazione, parecchi Vescovi limitrofi (come già insinuava il Tridentino) costituiranno in fraterno accordo un Seminario comune per gli studi filosofici e un altro per gli studi teologici: si sceglierà il luogo più conveniente, senza esaurirsi in eccessivi riguardi di prestigio: i Vescovi offriranno e nomineranno il personale insegnante; saranno pienamente liberi di seguire l’andamento del Seminario in tutti i settori, così come coi mezzi di ordine economico concorrono al suo funzionamento. Il Papa così vuol andare incontro alle necessità dei Vescovi senza diminuirne l’autorità, loro conservando l’onore e la gioia di presiedere sostanzialmente alla formazione dei loro alunni. Di tali Seminari interdiocesani, a breve raggio diremo, ne sorsero molti, alcuni dei quali sussistono ancora oggi. Quando, poco dopo, l’esperienza suggerirà di passare da questa prima forma iniziale di ancor ristretto concentramento interdiocesano, alla successiva forma più vasta di concentramento su base più spiccatamente regionale e il più delle volte in edifici acquistati o appositamente costruiti in proprio dalla Santa Sede, tale carattere di episcopalità, pur subendo qualche precisazione, rimarrà essenzialmente intatto; come ci è dato di leggere nella Costituzione Apostolica «Susceptum inde» del 25 marzo 1914, la quale a sua volta è da considerarsi la Gran Carta dei Seminari propriamente regionali, e, emanata come fu pochi mesi avanti la morte del Pontefice, rimane l’autentico suggello della Sua strenua opera di riforma. Da allora sarà obbligatorio per tutti i chierici di iscriversi al Regionale, e i Vescovi, a fine di ottenere una maggiore agilità nel governo dell’Istituto, nomineranno nel loro seno una Commissione ternaria per la vigilanza disciplinare, didattica ed economica; ma è solennemente ribadito che i Vescovi stessi devono considerare il Seminario regionale come il loro proprio Seminario diocesano maggiore ed esercitarvi pieni diritti, salvo le esigenze che l’unità della direzione richiede doversi riservare all’Autorità di Roma. Gli interventi chirurgici sono, senza dubbio, salutari, ma anche fanno spesso strillare l’ammalato. E il dolersi, il piangere, il protestare di questi, non significa disconoscimento del bene futuro, ma bensì, significa come dire? Una connaturale affermazione del proprio diritto all’integrità personale, che tenta respingere ogni menomazione del proprio organismo. Quando si tratta di interessi, nonostante il conclamato progressivismo, diventano tutti conservatori. Ogni potatura è una parziale mortificazione; ma il rigoglio primaverile che la segue prova quanto è stato illuminato e provvido l’intervento dell’agricoltore. Così, per quelle innovazioni, le diocesi dell’Italia peninsulare furono tosto in fermento, un fermento misto di esultanza e di pianto. Pur riconoscendo fermo e indiscusso in tutti il principio della disciplina, sarebbe troppo forzato l’asserire che non sorgessero dei contrasti, comprensibili e, perché no? anche simpatici. Tenere alle proprie tradizioni, al prestigio secolare, all’immediatezza dei contatti, è un aspetto lodevole delle storie locali. Il Papa lo sapeva, e lo sapeva anzi tanto bene che, scrivendo nel dicembre del 1908, e quindi in pieno periodo di riforma, un brevissimo umoristico autografo a quel fedele e risoluto esecutore delle volontà papali che fu il Cardinale De Lai, si lasciava sfuggire, tanto doveva essere pieno, una parola che vale una confessione: «Spedisco all’Eminenza Vostra le unite due lettere …, perché nell’udienza del prossimo venerdì si possa definitivamente concretare il da farsi per quei benedetti Seminari…». In pochi anni sorsero così i Seminari centrali di Lecce nelle Puglie, trasferito poi a Molfetta, di Chieti negli Abruzzi, di Fano e Fermo nelle Marche, di Bologna per parecchie diocesi della Romagna, di Posillipo per la Campania, di Catanzaro per la Calabria, di Anagni per il Lazio inferiore, di Montefiascone per il Lazio superiore, sostituito da ultimo con quello alla Quercia di Viterbo, di Assisi per l’Umbria. Non che in tutte le nominate località siano stati subito costruiti edifici nuovi; spesso trattavasi di trasformazioni e di ingrandimenti di Seminari o Collegi colà pre-esistenti e assunti in gestione dalla Santa Sede: ma l’opportunità e la necessità di ambienti propri fu presto messa allo studio, e prima di morire il Papa riformatore poteva vedere ultimati, per la munificenza del Suo intervento, i grandiosi ed imponenti Seminari di Posillipo, di Catanzaro e di Chieti, ad immortalare col Suo nome l’arditezza dei Suoi pensamenti e la tenacia delle Sue risoluzioni. Con paterno compiacimento poteva quindi scrivere: «… Ceptis Nostris adfuit divina gratia, et adnitentibus Episcopis, paucis vix elapsis annis, in omni fere Italia eiusmodi excitata sunt maiora Clericorum domicilia quae favore semper, saepe collata etiam pecunia iuvare vel Ipsi haud omisimus». È quasi inutile aggiungere che Pio X si interessava personalmente di tutto: della scelta del posto, del progettista, del disegno, del tempo, e, s’intende, del denaro occorrente. Per Catanzaro, ad esempio, scrive in uno dei tanti autografi: «… Credo che sia il momento opportuno di inviare il Sig. Della Marina (l’architetto), perché venga a Roma e vada poi sopra-luogo per stabilire il come, il quanto: sì, anche il quanto, perché i milioni sfumano». Questo sfumare dei milioni, sia detto a consolazione di molti, conferma che tutto il mondo è paese, e nihil sub sole novi.


I Seminari minori Ed ora una domanda che sta in fondo all’anima di parecchi che siamo qui. Quale fu nella mente di Pio X la posizione dei Seminari minori, quelli che finora solitamente chiamiamo ginnasiali? La risposta la troviamo nel citato Chirografo papale del 1905: «In tutte le Diocesi possibilmente si mantengano gli studi ginnasiali, perché i Venerandi Vescovi abbiano l’occasione di conoscere l’indole e la capacità dei giovinetti e possono avere la necessaria assistenza nelle funzioni pontificali». Il Tridentino, prevedendo già fin d’allora la possibilità di riunione dei Seminari, era stato forse più rigido, non facendo distinzione fra i Seminari maggiori e minori, fors’anche perché allora l’idea del Seminario si limitava piuttosto ad un concetto unitario. Pio X, comunque, ne addolciva l’asprezza, del resto più formale che sostanziale, salvaguardando più chiaramente la diocesanità pura dei Seminari minori, non senza tuttavia prevederne il concentramento attraverso quel discreto avverbio «possibilmente», il quale, secondo la più ovvia analisi critica, apre il passo a due strade: l’una verso la diocesi, l’altra verso la centralizzazione. Per questa seconda strada si incamminò poi decisamente quell’infaticato costruttore di Seminari che fu Pio XI, fondando il primo Regionale della Lucania a Potenza per le cinque classi ginnasiali, e ci si è messo di recente con illuminata chiaroveggenza il Santo Padre Pio XII, quando, poche settimane dopo la solenne proclamazione del dogma dell’Assunta, si degnava costituire il Pont. Seminario minore per le diocesi del basso Lazio in Albano, coronando con sovrana sanzione lo zelo ribelle a soste e il merito schivo di complimenti di quel sempre giovanilmente vivace Vescovo Suburbicario che è il nostro eminentissimo Prefetto, il Cardinale Pizzardo. Fra quella due strade, in questo anno scolastico 1950-51 se ne aprì una terza, che, secondo la moderna terminologia, potremmo chiamare anfibia, giacché rispetta il ginnasio e favorisce in pari tempo il liceo, a seconda che il quarto e il quinto anno degli studi classici si preferisca chiamarli ginnasio superiore, come da antica dizione, ovvero liceo inferiore, come da indole contemporanea. Valgono evidentemente a favore di questa terza strada le stesse ragioni riconosciute allora da Pio X all’inizio della riforma, con in più l’aggravio costituito delle maggiori difficoltà economiche e morali che la seconda guerra europea ha cagionato alla nostra patria. Sensibilissimo ai nuovi bisogni e in pari tempo paternamente riguardoso di quella pur simpatica e lodevole fierezza con cui i sacri Pastori riservano a sé e al loro intimo dolore le angustie di certe penosissime situazioni, il Santo Padre Pio XII, nel passato settembre, in un’udienza concessa al Cardinale Prefetto autorizzava il nostro Dicastero dei Seminari e degli Studi a scrivere ad alcuni Vescovi essere Egli «deciso di venir loro incontro col conforto e coll’aiuto che Gli è possibile» allo scopo di superare dignitosamente le persistenti impossibilità di vita di taluni piccoli Seminari. Non ci fu rumore, e fu invece quasi una gara a chi arrivasse primo a confidare al Regionale il liceo; si dovette anzi pregare qualche diocesi di pazientare, perché non c’era posto per tutti gli aspiranti; mentre il Regionale di Benevento s’affrettava a rimarginare le ultime ferite di guerra e a predisporre d’urgenza le aule per l’improvviso apporto di reclute inattese. Più sintomatico ancora il gesto del Lazio superiore che, avuto sentore di quanto avveniva laggiù, domandò insistentemente di fruire di analogo privilegio e si dovette allestire con altrettanta urgenza, per la nuova accessione di giovanetti, il Regionale di Viterbo, con gioia e plauso dei Venerandi Pastori che vi fanno capo. L’esperienza, pur così breve, fa dato risultati oltremodo lusinghieri. Desideri sommessi e anche voci espressamente imploranti giungono intanto da altre parti. La buona volontà di corrispondere non manca; mancano invece i mezzi; nonostante le generose attenzioni del Pastore Angelico e l’arte oltre ogni dire meravigliosa dell’E.mo Cardinale Pizzardo, nelle cui vene, a Dio piacendo, non scorre invano il genuino sangue dei conquistatori genovesi.

I Seminari di Roma Una seconda domanda: che faceva il Papa per la diocesi Sua propria, Roma? Oh, qui la riforma fu ancora più immediata e precedette quella esterna di cui abbiamo parlato. Provvide la lettera di Pio X del 5 maggio 1904 al Cardinale Vicario. Gli studenti ecclesiastici affluivano nell’Urbe, come oggi, da ogni parte d’Italia e del mondo. Pochi allora gli Istituti ecclesiastici esistenti: di conseguenza i chierici alloggiati un po’ dappertutto, con la conseguenza di una disciplina contrastata e monca. Ciò non poteva piacere a Pio X, padre sì, ma di una famiglia bene ordinata. L’uomo conservava il suo stile. E se, di quand’era Vescovo a Mantova, un seminarista diceva: «Ci voleva bene, ma non ce ne risparmiava una», lo stesso doveva naturalmente essere per Roma. Tutti i chierici tanto dell’Urbe come delle diocesi d’Italia, qui inviati, dovranno da quella data essere convittori in un Seminario o Collegio ecclesiastico; gli studenti esterni abiteranno nei Collegi delle rispettive nazioni, o, in mancanza, in altro Istituto ecclesiastico. Tutti, senza eccezione, dovranno essere muniti delle commendatizie dei loro Ordinari. Ciò vale anche per i Sacerdoti che siano a Roma per motivi di studi superiori di qualsiasi genere, o di pratica presso i Sacri Dicasteri. Vien proibiti che si faccia da prefetti nei convitti laici; gli atenei non potranno iscrivere gli Ecclesiastici che non si trovino in regola con tali disposizioni pontificie. E anche a Roma non si accederà al Sacerdozio se non compiuto il quarto anno di teologia. Le norme per i sacerdoti inviati ai Pontifici Atenei romani e le norme per gli Ecclesiastici che si iscrivono alle Università (mano mano aggiornate da questo Sacro Dicastero), non rappresentano che gli sviluppi delle disposizioni emanate in proposito dal Papa riformatore allora e con successivi provvedimenti. Questo il primo passo. Il secondo passo sarà il concentramento in un unico Seminario dei Seminari italiani esistenti nell’Urbe. Erano parecchi: oltre il Romano, il Cerasoli, il Pio, il Lombardo, il Capranicense: questo solo rimase in vita con tenace vigore, forte com’era di fortunate circostanze favorevoli. Nell’anno centenario delle Libertà costantiniane fu così inaugurato – casa comune particolarmente cara al cuore del Papa che l’aveva voluta vitale a fianco del Patriarcato de della Sua Cattedrale – il candido edificio del Seminario Lateranense a San Giovanni. II Programma generale degli studi Contemporaneamente al programma ambientale esteriore si dava a preparare per tutti i Seminari la riforma interna. Si pubblicò per primo un breve «Programma Generale di Studi» che porta la data del 5 maggio 1907 e la approvazione autografa del papa. Esso ha giovato ad assicurare l’uniformità dell’insegnamento nei Seminari, attendendosi per il ginnasio e il liceo dei corrispondenti Istituti statali, e per la teologia alle esperienze dei centri più rinomati. Sostanzialmente detto Programma (da notarsi l’istituzione dell’anno di Propedeutica, che tuttavia non venne praticamente attuato) vige ancor oggi, benché si sia man mano arricchito sotto i successivi Pontificati, a cominciare da Benedetto XV, e vada tuttora arricchendosi, com’è naturale, di specificazioni che l’evolversi della coltura esige di introdurre. Anzi dopo solo pochi anni, nel 1912, per volontà espressa di Pio X venivano emanate disposizioni complementari del Programma e in parte sostitutive. Le scuole dovranno essere interne; oltre la domenica si avrà un altro giorno di riposo e di studio, non senza però la possibilità di qualche ora d’insegnamento di materia meno gravosa; orario diviso, come quello che, almeno allora, era ritenuto più conveniente; ore di scuola non eccedenti normalmente il numero di quattro, onde dar tempo sufficiente allo studio privato e alle pratiche di pietà; annessa al liceo di tre anni la filosofia in tutti i suoi trattati; affermata la massima che tutti gli alunni di ginnasio si presentino alla licenza di stato, libera rimanendo la licenza liceale per i volenterosi; nel corso teologico, oltre le materie principali e secondarie diventate ormai tradizionali, sono già previste anche le nozioni fondamentali di sociologia; per quanto riguarda la Sacra Scrittura, l’esegesi avrà posto importante accanto all’introduzione, e si studieranno i salmi principali e i brani neotestamentari di più immediata utilità; i Professori parleranno facendo uso discreto del latino nelle materie consentanee, e – è opportuno notarlo – nel tempo loro assegnato svolgeranno tutta la materia del programma, senza fermarsi a lunghe discussioni su punti loro benevisi, siano pure importanti, con detrimento del resto; sceglieranno con cura i testi scolastici; e cureranno – si noti anche questo – di istillare con la scienza non solo la pietà, ma anche il rispetto e l’amore alla verità e all’autorità della Chiesa. Norme di formazione Quasi contemporanee e assai importanti per ordine e chiarezza sono le «Norme per l’ordinamento educativo e disciplinare» emanate il Capodanno del 1908. Destinate a tutti i Seminari, esse non soppiantavano le Regole vigenti in varie diocesi, alcune delle quali legate da secoli a nomi santissimi, ma servivano per una comune impostazione dei criteri educativi, e diventavano legge là dove le leggi non c’erano, come purtroppo si riscontrava in parecchi luoghi. Il piccolo codice fissa i doveri e i diritti degli organi direttivi dei Seminari nei loro vari gradi e nelle rispettive mansioni; dà poi i criteri circa l’ammissione degli aspiranti in Seminario; e nella terza parte, la più vasta, contiene il Regolamento per gli alunni, nei settori della pietà, dello studio, della disciplina; con un compendio di elementari norme igieniche ed alcune esemplificazioni di orari. Qualche anno dopo si esorterà a separare, dove è possibile, i grandi dai piccoli, aprendo in tutte le diocesi due Istituti, il maggiore e il minore, secondo le diverse esigenze di metodo educativo; ad eliminare dal Seminario propriamente detto oggi forma di convitto per i giovani non avviati al Sacerdozio; a ridurre le vacanze estive in famiglia per evitare il più possibile la dissipazione; ad adibire come prefetti i novelli Sacerdoti, raggiungendo con ciò anche il vantaggio di prepararli gradatamente alla vita più libera del ministero, di perfezionarli con studi complementari di carattere pratico, e conoscerli più profondamente nell’indole e nelle attitudini. Non differentemente hanno parlato e scritto i Pontefici Successori: dopo tanti anni, gli stessi principi e le stesse conclusioni. Le Norme, accuratamente preparate, furono dal Papa rivedute parola per parola. È Lui infatti, Pio X, che rimanda le bozze scrivendo di proprio pugno «… metto la penna in carta anche nel 1908 per … ringraziare Lei e tutti, che la coadiuveranno nel paziente e diuturno lavoro per il riordinamento dei Seminari- (e) per rimetterLe le Norme, che, con qualche correzione di stampa, ho viste e approvate …». «quae in hoc libello…praescripta sunt, ab omnibus ad quos spectat, servari et executioni demandari iubemus».

III Coltivare lo spirito È suggestivamente solenne quel versetto del primo capitolo della Genesi dove si dice che sulla materia informe si muoveva lo spirito di Dio. Donde la luce, l’ordine, la vita. Così, quasi inconsciamente rapiti dalla maestà di questa presenza, noi diciamo che lo spirito plasma la materia, la domina, la nobilita; e lo spirito diventa anche il quotidiano assillo di ogni onesto educatore: a ciò soprattutto badava Pio X. Quanti studenti qui a Roma, nel decennio del Suo pontificato, avemmo la fortuna di andare in udienza dal Papa, ricordiamo l’occhio di Lui, profondo, pervaso da una tristezza mite, che sembrava scendere nel fondo di ciascun’anima a scrutare pensieri e affetti, mentre la parola, densa e pacata, scandiva un’esortazione, pressoché sempre uguale e sempre cara: bonitatem, disciplinam et scientiam doce me. (la bontà, la disciplina e la conoscenza mi insegnano - ndr) C’era nel discorso una forza di persuasione che soggiogava e muoveva le lagrime: si usciva dall’aula pensosi e col proposito di essere come il Papa aveva insegnato e voleva che fossimo. Al Sacerdote è indispensabile la scienza, e quindi nel Seminario deve avere competente posto d’onore lo studio. Ma sarebbe errore grave sacrificare in qualche modo la parte che spetta all’educazione della volontà al bene, quella che si è convenuto di chiamare la formazione spirituale, per avere l’uomo, il cristiano perfetto, il perfetto Sacerdote. Un giorno, a chi deplorava gli insulti lanciati al Papa da uno spirito ribelle, rispose con sorriso benevolo «Via, dopo tutto, non ha ammesso che sono un buon prete? Questa è l’unica lode ch’io abbia mai apprezzato». «Dovete essere santi – diceva ai Seminaristi – di una santità non dimezzata ma piena, né comune ma speciale … Badate a non essere attratti dal demonio della scienza falsa, chè, senza che ve ne avvediate, sarete trascinati in estrema rovina».

Contro corrente È precisamente contro cotesto avvelenamento dell’intelligenza che vanno considerate le molteplici disposizioni, ricorrenti quasi ogni anno, contro le infiltrazioni modernistiche. Attingo qua e là dai moltissimi documenti: rimozione innanzitutto dei Superiori e degli insegnanti che risultano infetti dai condannati errori o quanto meno siano ritenuti davvero sospetti; proibizione di abbonarsi a riviste nelle quali i deprecati errori siano apertamente propugnati o nascostamente insinuati; dilazione o diniego della sacra ordinazione per chi si trovasse da essi viziato. E nell’Enciclica Pascendi eccolo a raccomandare la vigilanza negli studi di filosofia e teologia, i quali dovranno ispirarsi ai principi e al metodo scolastico di S. Tommaso; il retto spirito col quale ci si deve applicare allo studio delle scienze profane; le cautele da osservarsi dagli ecclesiastici che frequentano le Università, sia in Italia che nelle altre nazioni. «Nei Seminari tutti i settori della formazione debbono cospirare armonicamente ut dignus tali nomine formetur sacerdos …; esaminino pertanto coloro che sono preposti alla disciplina e alla pietà quali speranze diano i singoli alunni, e studino profondamente l’indole di ciascuno … due essendo i requisiti per la promozione dei chierici; innocentia vitae cum doctinae sanitate coniuncta». Dagli ordinandi pertanto, come già dai Superiori e dai Professori, si richiederanno la professione della Fede e il giuramento antimodernistico. Esclusi dai Seminari i giornali che trattano di politica o di ardenti questioni ordinarie, e non siano ben sicuri; ma affinché i giovani abbiano equa cognizione dei tempi, giovevole ad una completa formazione, è lasciato al prudente discernimento dei Superiori cogli insegnanti di leggere o far leggere quegli articoli che siano stimati utili e opportuni all’istruzione degli alunni. Esclusi invece, anche nominativamente, dall’uso non soltanto scolastico ma pure consultivo, quei libri, siano pure gli autori in voga, che in qualche modo offendono la purezza e la santità della fede, la venerazione alla Chiesa e al Pontificato Romano, o che interpretino la Sacra Scrittura contro il senso generalmente ritenuto dalla Santa Madre Chiesa. Come già nell’allocuzione ai Vescovi, convenuti a Roma nel 1904 per le feste cinquantenarie della definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione di Maria, Pio X aveva denunciato che «troppo spira sul mondo un soffio d’indipendenza mortifero per le anime, e questa indipendenza si è introdotta anche nel Santuario; e non solo riguardo all’autorità, ma altresì riguardo alla dottrina»; con la stessa apostolica sollecitudine pubblicava il 28 luglio 1906 la Lettera Enciclica «Pieni l’animo» ad arginare «lo spirito d’insubordinazione e d’indipendenza che si manifesta qua e là in mezzo al clero» mentre «un’atmosfera di veleno corrompe largamente gli animi ai nostri giorni …e soprattutto fra i giovani Sacerdoti sì funesto spirito va menando guasto … e si va facendo propaganda più o meno occulta fra coloro, che nei recinti dei Seminari si preparano al Sacerdozio». Superino pertanto i Vescovi ogni esitazione, e con vigoroso animo e pari costanza diano opera a distruggere questo mal seme … Non accettino chierici dimessi da altri Seminari, o da famiglie religiose; esigano prove esplicite prima dell’ordinazione; non siano facili ad imporre le mani … E «se mai aveste nei Seminari uno di questi sapienti di nuovo conio, liberatevene prestamente … Voi ve ne ripentirete sempre ad averlo ordinato, non fosse che uno solo: non mai averlo escluso». Di Quanto desiderasse Pio X la positiva santificazione del clero riamane monumento immortale la paterna Esortazione «Haerent animo» del 4 agosto 1908, da Lui personalmente scritta punto per punto nella stesura italiana, e donde sembra di raccogliere, più ancora che le parole, l’esempio della Sua vita santa. Programma completo di perfezione sacerdotale, costituisce essa la prima parte di quella mirabile trilogia che fu completata, nei rispettivi anni giubilari, da Pio XI e or è poco tempo dal santo Padre Pio XII, donandoci la coraggiosa Adhortatio che forma oggetto di studio del nostro Convegno.

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Si legge che i Padri del Concilio Tridentino, al chiudersi dalla Sessione XXIII nella quale si erano istituiti i Seminari, si felicitarono a vicenda, persuasi che tutte le pene sostenute erano nulle di fronte a quella inestimabile conquista. Penso che tale dev’essere stata l’intima soddisfazione di Pio X, quando, ai primi fremiti della guerra europea, sentì prossima l’ora di consegnare al Giudice Divino il copioso manipolo delle sue opere sante. Quand’era Cardinale Patriarca di Venezia, a un indagatore (la malattia, si vede, è di tutti i luoghi!) del supporto prossimo Conclave, rispose in tono secco, interrompendo l’indiscreta domanda: «il Papa lo fa lo Spirito Santo. Questo è certo, che il Signore ci darà un Papa santo, un Papa riformatore dei costumi, un Papa restauratore della pietà. Chi vivrà vedrà». Quelle parole potevano allora sembrare profetiche: oggi possiamo dire che lo furono. A quanti sono cresciuti e vivono nella già maturata inquadratura seminaristica di Pio X, le cose che abbiamo ricordate sembrano ovvie e forse prive del mordente della novità. Ma allora erano davvero quasi per tutti cose nuove. A quarant’anni di distanza la legislazione piana sussiste nella usa interezza pratica, così che non ci resta se non di camminare sulle tracce profonde del Suo genio, sviluppando se mai ed applicando ai nuovi incalzanti bisogni le sapienti istruzioni, sempre valevoli, di quell’Uomo di Dio. Noi raccogliamo la cara eredità paterna, e sull’urna del nuovo Beato, fatta luce e monito di santificazione, deponiamo, fiore non caduco, il proposito che i Leviti del Santuario li formeranno nello spirito di Lui. E mentre da tutti i Seminari del mondo si guarda e plaude all’Astro nuovamente acceso nel cielo di Roma eterna, col motivo suggerito dai libri santi, fondiamo in una voce la preghiera di tutti noi figli al Padre: «Respice de coelo, et vide et visita vineas istas et perfice eas quas plantavit dextera tua»!

Tratto da “L’Esortazione Menti Nostrae e i Seminari” – Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi – Città del Vaticano Tipografia Poliglotta Vaticana - 1952