Comunione trinitaria




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La Comunione trinitaria si riferisce al dogma nel quale la natura di Dio, come rivelata nella Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo), è intrinsecamente basata sulla comunione e sull'amore reciproco. Essa sottolinea l'unità e la relazione tra le tre persone divine. La comunione trinitaria è vista come un modello per le relazioni umane, ispirando la fraternità, il rispetto, la generosità e la solidarietà.
Dare parola alle parole
È innanzitutto fondamentale comprendere quali sono le azioni della Trinità e come queste si riflettono sulla persona umana. A riguardo, sono tanti i passi biblici, ma il processo comunicativo del brano evangelico che ha l'epilogo nel versetto 30: "Io e il Padre siamo una cosa sola" dichiara con chiarezza la Comunione Trinitaria.
Il contesto in cui è inserito il testo è il discorso del Buon Pastore. La scena si svolge in un campo dove un pastore custodisce e guida al pascolo il gregge. Il brano descrive l'intima relazione tra Gesù e i suoi discepoli e sottolinea l'ascolto alla sua voce e il "prendersi cura" di Gesù dei discepoli. Il contesto comunicativo è quello di un insegnamento di Gesù, in cui afferma la sua unicità e il suo legame indissolubile con il Padre, che si traduce in certezza di fedeltà da parte di Dio alla persona. L'immagine del pastore e del discepolo in Giovanni sembra essere la contropagina dell'immagine che propone il profeta Ezechiele « Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza.»» 34,3-4. Dio si lamenta dei pastori che sono alla guida del suo popolo Israele e le indicazioni che propone per guidare il gregge sono marcati dai verbi: nutrire, vestire, ammazzare, pascolare. In questo contesto le parole hanno un peso negativo, scaturite dalla preoccupazione di Dio. Egli, tramite il profeta, promette al suo popolo di accudire personalmente il suo gregge.
Il brano di Giovanni si colloca in continuità e sottolinea il legame tra il pastore (Gesù), le pecore (i discepoli) e di Gesù con il Padre. Tale relazione è caratterizzata dai verbi di movimento: ascoltare, conoscere, seguire. Attraverso essi si svolge il processo comunicativo tra Gesù e il Padre.
La pericope inizia con "ascoltano": significa innanzitutto percepire con l'udito il suono delle parole mediante la voce. Non si tratta solo del significato letterale delle parole, ma del loro suono, che può evocare emozioni, creare immagini e influenzare la reazione a ciò che viene detto. Perché ascoltare implica un coinvolgimento attivo e intenzionale nel comprendere l'altro. Segue "conosco", ossia il Signore li ritiene nella mente. Ha un'esperienza intima e personale. Ha una relazione vivente, interagisce. Instaura un legame profondo. La conoscenza contribuisce a formare la nostra identità, il nostro modo di interagire con gli altri. Proprio perché i discepoli si sentono conosciuti lo "seguono" al punto da continuare un'azione e un processo di configurazione. Gesù, infatti, afferma: "Nessuno le strapperà dalla mia mano". L'uso del pronome solamente al singolare esclude in maniera assoluta la presenza o le condizioni di un'altra persona. Per cui il verbo "strappare" è categorico: nessuno può sottrarre una persona dalla presa di un'altra persona. Questo processo comunicativo culmina nel versetto 30: "Io e il Padre siamo una cosa sola" che è il fondamento della comunione trinitaria: mancano i confini interpersonali; si tratta di un insieme unico e compatto, un'unica entità. "Essere, fare tutt'uno", così il Dizionario italiano Tullio De Mauro descrive la locuzione "una cosa sola".
Il significato comunicativo potremmo così sintetizzarlo: le pecore (i credenti) ascoltano, seguono e sono conosciute da Gesù; Gesù è unito al Padre ("Io e il Padre siamo una cosa sola") → segno di autorità divina e perfetta comunione; il legame è reciproco e vitale: ascolto → sequela → conoscenza → comunione con Dio.
Il Padre (Dio) | ||
↓ | ||
Io e il Padre | Siamo | una cosa sola |
↓ | ||
ascoltano | ||
↓ | ||
conosco | ||
↓ | ||
seguono | ↓ | |
le pecore (discepoli e noi) |
← | Gesù il Buon Pastore |
Alcune teorie comunicative per l'analisi del brano
La prima è quella relazionale, specificamente la "Teoria di comunicazione interpersonale" di Paul Watzlawick della Scuola di Palo Alto in California. Secondo i principi[1]:
1. Impossibilità di non comunicare. Gesù conosce, parla, fa segni, invita a seguire (disegnare freccia) la comunicazione è costante, anche nel silenzio
2. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione. Le parole "ascoltano", "conosco", "seguono" non sono solo atti informativi, ma esprimono relazione profonda: di fiducia, riconoscimento e sequela.
3. La comunicazione è circolare. Le "pecore" ascoltano e seguono, ma sono anche riconosciute e amate: è un flusso bidirezionale, non gerarchico nel senso autoritario, ma relazionale.
4. Ogni comunicazione definisce una relazione. Il grafico sottolinea chi è chi: Gesù come pastore, il Padre come fonte dell'unità, i discepoli come destinatari attivi. La struttura chiarisce i ruoli, ma anche l'intimità tra loro.
In chiave teologico-comunicativa e secondo il modello biblico la pericope rispecchia la comunicazione rivelativa: Dio comunica sé stesso e non solo un messaggio; la relazione precede il contenuto: "Le mie pecore ascoltano la mia voce... io le conosco... esse mi seguono" (10,27).
Il brano di Giovanni 10,27-30 può essere costruito anche sui modelli comunicativi di Charles Sanders Peirce[2], Umberto Eco[3], Paul Ricoeur[4], Paul Tillich[5].
Nella Teoria semiotica triadica secondo Peirce, ogni segno è composto da tre elementi: Segno (o representamen)[6], ciò che percepiamo. Nello specifico la parola "ascoltano" rimanda alla voce del Pastore che è segno. Oggetto è ciò a cui il segno si riferisce, ossia l'azione concreta dell'ascoltare la voce di Gesù. Per cui l'oggetto è la relazione. Interpretante, ossia l'effetto del segno nella mente del ricevente, cioè il credente capisce che deve fidarsi e rispondere. La risposta del discepolo va intesa come interpretazione.
Nella Teoria Codici e interpretazione Eco afferma che ogni comunicazione è interpretazione all'interno di codici culturali e teologici: Le parole chiave ascoltano, sequela, unità hanno un forte valore simbolico. Il lettore (il discepolo) decodifica il messaggio secondo la propria fede. Ogni parte della pericope, visualizzata graficamente, è un testo visivo-semiotico, che comunica più di quanto non dicano solo le parole.
Nella Comunicazione simbolica secondo Ricoeur e Tillich sono i Simboli che parlano alla relazione. Paul Ricoeur sostiene che il simbolo dà da pensare, non si limita a dire, ma apre alla contemplazione e al mistero: il Pastore è simbolo di guida, cura, dono di sé. Le pecore simboleggiano ascolto attivo, comunità e fiducia. "Io e il Padre siamo una cosa sola" è simbolo di unità divina, che richiama la Trinità, non è solo un'affermazione funzionale.
Di conseguenza le quattro teorie convergono su vari livelli:
- livello letterale perché si legge il messaggio evangelico (le pecore ascoltano la voce del pastore ecc.);
- livello relazionale: si comprende la natura dei rapporti tra i soggetti (Gesù, discepoli, Padre);
- livello simbolico e culturale: si attivano significati più profondi quali identità, appartenenza, amore, unità divina;
- livello esistenziale: il credente si sente interpellato personalmente nella propria relazione con Dio.
Nella pericope la comunicazione è così chiara, diretta, autorevole. Gesù usa il linguaggio teologico per dire la sua identità divina. Il linguaggio è esclusivo: chi ascolta la voce è dentro, chi non la riconosce è fuori.
Dare parola alle parole di Gesù
La pericope giovannea nella sua struttura è presentata con la figura retorica del chiasmo[7] seguendo lo schema ABBA:
- A = ascoltano;
- B = conosco;
- B = seguono;
- A' = nessuno strapperà → culmina in "una cosa sola".
Ossia: Ascoltano la mia voce, / io conosco le mie pecore, / e mi seguono ovunque vada; / nessuno le strapperà dalla mia mano, perché io e il Padre siamo una cosa sola.
Presenta così la seguente struttura retorica: schema ABCC'B'A' (simmetrico e riflessivo)
- A - Ascoltano → relazione della voce (passiva)
- B - Conosco → relazione personale (attiva)
- C - Seguono → adesione (attiva e volontaria)
- C' - Nessuno strapperà → protezione (passiva e definitiva)
- B' - Dalla mia mano → legame personale
- A' - Una cosa sola → fusione (unità perfetta)
Di conseguenza, è possibile individuare quattro funzioni nel chiasmo:
- Evidenzia la reciprocità della relazione tra Cristo e i suoi: l'ascolto (azione umana) trova eco nella conoscenza (azione divina);
- centralità della sequela: "seguono" è il fulcro dinamico della fede;
- contrapposizione tra minaccia e sicurezza: "nessuno strapperà" ribalta e supera ogni pericolo con un atto definitivo;
- conclusione nell'unità: Il punto più alto del chiasmo (una cosa sola) è anche il fondamento teologico di tutta la catena: la comunicazione trinitaria.
Una seconda figura retorica è il climax[8]. In concreto: Ascoltano la mia voce, / io le conosco, / esse mi seguono, / e nessuno le strapperà dalla mia mano, perché io e il Padre siamo una cosa sola. La progressione è: ascolto → relazione → sequela → protezione eterna → unità divina. La cui progressione logica ed emotiva potrebbe essere la seguente:
Stadio | Significato | Intensità |
---|---|---|
1. Ascoltano | Apertura, disponibilità | minima |
2. Conosco | Relazione personale | maggiore |
3. Seguono | Adesione attiva | ancora maggiore |
4. Nessuno strapperà | Protezione eterna | alta |
5. Una cosa sola | Unità ontologica con Dio | culminante |
La funzione del climax rende visibile la crescita della relazione tra il discepolo e il Signore: da uditore a partecipe dell'unità trinitaria; mostra come la sequenza non sia solo logica ma spirituale: chi ascolta, giunge fino alla comunione piena; eleva la riflessione da un piano pastorale (pecore) a un piano teologico (Trinità). Una considerazione potrebbe essere che il chiasmo esalta la reciprocità e la simmetria della relazione tra Cristo e i suoi; ha un carattere contemplativo, adatto alla meditazione biblica. Il climax esprime una progressione drammatica, tipica dell'annuncio kerigmatico; è dinamico e missionario, adatto alla predicazione.
Quali azioni emergono dalla Comunione Trinitaria perché le relazioni umane siano riflesso della Trinità? La pericope è inserita nel brano di Gesù come pastore. Quel Gesù che ha guidato i suoi discepoli nella loro vita itinerante annunciando il Regno di Dio, ha formato una comunità di persone eterogenee, anche litigiose o invidiose e anche egoiste. La similitudine è con le pecore alcune malate e deboli, altre forti e prepotenti. Ha costituito, però, una comunità capace di essere segno del Regno di Dio nella storia. Potremmo dire che si è trattato di una non facile impresa in cui Gesù al passo 27 "Le mie pecore ascoltano la mia voce" non dice chi sono le sue pecore, ma cosa fanno: ascoltano.
Nella lingua ebraica il verbo di modo imperativo shemà indica sia "ascoltare" sia "obbedire". Quindi lo Shemà Israel non è soltanto "ascolta, Israele!", ma anche "aderisci!". È così un ordine, che invita all'ascolto profondo e all'attenzione, non soltanto alla conoscenza di tipo intellettivo, ma alla scoperta di una relazione[9]. Per questo in «Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore» il verbo amerai è anteposto all'ascoltare. Ciò viene anche sottolineato dal Salmo 40,7 che recita: « Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto», cioè aderisco completamente a te. Questo esprime adesione totale, incondizionata, fondata anche solo sul timbro della voce di Gesù. Le pecore sono conosciute perché non è il loro amore o il loro ascolto che fonderà la loro sequela, ma è la conoscenza che il Pastore ha di loro che fonda la sequela.
Ascoltare e seguire danno contenuto a un legame decisivo della persona con il Signore. Il verbo Shemà esprime, nel contesto concreto della comunità, un movimento interiore di fiducia, essenziale perché vi possa essere relazione, comunione e comunità. Per costituire una comunità la fiducia è conditio sine qua non. Il Gesù che testimonia Giovanni ha la capacità profetica di intuire i pensieri intimi, per questo con chiarezza, nello stesso brano, Gesù manifesta anche diffidenza, perché proprio la sua fiducia nel Padre suscita in lui la capacità di riconoscere quando la fiducia è carente o mal posta. A conferma Giovanni scrive « Mentre era a Gerusalemme [...] molti credettero nel suo nome. Gesù però non si confidava con loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti conosceva quello che c'è in ogni uomo. Gv 2,23-25 ». La sfiducia è così motivata dal fatto che Gesù conosce "ciò che c'è in ogni uomo".
Nella pericope, "conoscere" indica un rapporto personale, come quello fra il Padre e il Figlio, fra Gesù e i suoi discepoli, fra i discepoli e Gesù/Dio. Conoscere coinvolge ogni potenzialità della mente, del cuore, delle azioni della persona. La conoscenza, afferma poi Gesù, è la vita eterna: « Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo» Gv 17,3 . Chi ascolta e si fa conoscere "segue" Gesù come suo unico Pastore ed egli ne è il proprietario. La conoscenza nel buon Pastore esprime poi la carità profonda. Secondo il linguaggio dei profeti, Jahvè conosce il suo popolo che è la sua sposa. Per il suo gregge nutre una carità concreta. In tal senso, Dio ha conosciuto Israele, confermando tale conoscenza con il patto nuziale di fedeltà eterna. Emergono così due elementi del vivere di Gesù: le parole e le azioni: « Le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza.» Gv 10,25 . Ci sono parole e gesti che sono davanti a tutti e di fronte a cui ciascuna persona può decidere e decidersi per non perdere l'amore, l'altro perché al contrario si esce dalla relazione con il Signore e ci si chiude nell'egoismo. Perché mentre perdiamo l'altro, smarriamo noi stessi e il senso del nostro vivere che si situa nella relazione trinitaria e nel riflesso della relazione comunitaria.
« Nessuno può strapparle dalla mano del Padre mio»: Sono parole di speranza per coloro che riconoscono la Sua voce. In questi versetti emerge un gioco delle mani per cui la mano di Gesù e la mano di Dio si identificano. Ogni persona è nelle mani di Dio. Mani che plasmano. Mani sicure che guidano. Mani sollecite ad accogliere anche coloro che si allontanano e ritornano. Mani di tenerezza che accarezzano e confortano, come recita l'Apocalisse, asciugheranno ogni lacrima, quando, superato il tempo, saremo davanti a Dio. Le mani di Dio sono così le mani del Padre che nella pienezza dell'Amore ci ha consegnati al Figlio per essere salvati. La mano è simbolo dell'amore dato e ricevuto: « Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa» Gv 3,35 ; Gesù, « sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani» Gv 13,3 , compì il gesto dell'amore radicale, simbolo del dono della sua vita per i discepoli; la mano aperta del Padre che dona tutto al Figlio diviene la mano aperta del Figlio che tutto riceve dal Padre e che il Figlio stesso mostra a Tommaso affinché egli riconosca al tempo stesso l'amore del Padre e del Figlio: « Mio Signore e mio Dio» Gv 20,28 .
« Io e il Padre siamo una cosa sola» Gv 10,30 . È ciò che potenzia il senso di appartenenza di Gesù. Il versetto dichiara l'identità di Gesù, quale Figlio unigenito di Dio e della sua missione. "Io e il Padre" esprime una identità diversa del Cristo rispetto al Padre e quindi l'essere Uno dove lo Spirito è l'unità del Figlio con il Padre. È l'essere Uno del Padre e del Figlio che garantisce l'identità del Padre e del Figlio. Questa unità è la chiave di volta del percorso umano di sino al calvario, luogo in cui avverte la lontananza di Dio, ma che non rompe la sua relazione con il Padre.
Dare parola alla vita
Come si fa parte della fede di Gesù? Bisogna andare oltre dice papa Francesco. Bisogna andare oltre ad alcuni atteggiamenti che il Papa chiama « previ alla confessione di Gesù» [10]. Ossia le «antipatie previe», che non ci lasciano andare avanti nella conoscenza del Signore. La prima antipatia è la ricchezza che ci fa rimanere sulla soglia perché imprigionati nelle ricchezze. Il Signore ha avuto un linguaggio deciso al riguardo: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco nel regno dei cieli (Mt 19,24 ). Ciò significa di non vivere per le ricchezze (Lc 16,13 ). Un ulteriore intralcio è la rigidità: la rigidità di cuore. La rigidità non è fedeltà. Gesù rimprovera i farisei, i dottori della Legge per questa rigidità (Mt 23,1-36 ) che è sicurezza solo per sé stessi (Gv 10,7 ). Un terzo elemento è l'accidia che toglie la volontà di andare avanti e tutto è "sì, ma... no, adesso no, no, ma" e così ci rende tiepidi. Infine, lo spirito mondano, «quando l'osservanza della fede, la pratica della fede finisce in mondanità». Questi atteggiamenti impediscono di fare parte delle pecore di Gesù. «Siamo "pecore" [alla sequela] di tutte queste cose: delle ricchezze, dell'accidia, della rigidità, della mondanità, del clericalismo, della gelosia, dell'invidia. Manca la libertà. E non si può seguire Gesù senza libertà»[11].
Un percorso di Comunione attraverso i consigli evangelici
È possibile riflettere la Comunione Trinitaria se si intraprende un processo di guarigione delle ferite provocate anche dal quotidiano. L'egoismo è il primo virus da cui guarire. L'egoismo è l'effetto finale di una distorsione interiore profonda la cui radice potrebbe essere l'angoscia. L'egoista non vuole mai perdere nulla ed è la contropagina della Comunione Trinitaria.
L'egoismo insudicia le relazioni. La prima azione verso il cambiamento è la consapevolezza: accorgersi del proprio comportamento. Bandire dal proprio linguaggio la frase: "Prima io, poi io" che non diventa trampolino di lancio per l'ascolto, l'empatia e l'interazione. In particolare, per la vita consacrata, l'articolo 21, dell'Esortazione apostolica post-sinodale "Vita Consecrata"[12] del 25 marzo 1996 di San Giovanni Paolo II, propone un processo dinamico per guarire dall'egoismo, ossia i consigli evangelici come terapia all'egoismo, perché riflesso di Dio e via di carità. La castità quale cuore indiviso per amare come Dio, «La castità delle vergini, in quanto manifestazione della dedizione a Dio con cuore indiviso[13], costituisce un riflesso dell'amore infinito che lega le tre Persone divine nella profondità misteriosa della vita trinitaria».
Questo Consiglio evangelico guarisce dall'egoismo affettivo: il cuore umano, spesso frammentato dal desiderio di possesso o dal bisogno di sicurezza, trova nella castità consacrata la libertà di amare senza calcolo, gratuitamente, totalmente, come ama Dio. Ci rende partecipi alla vita trinitaria: le tre Persone divine si donano senza trattenere nulla. La castità è così il segno visibile di questa logica divina: non possedere per possedersi, ma donarsi per amare. In questo percorso Cristo è modello: il Verbo incarnato ha testimoniato con la croce un amore indiviso, senza riserve, per tutti. E lo Spirito Santo è il motore dell'amore: l'amore casto è frutto dello Spirito Santo[14], che infonde nel cuore umano la capacità di donarsi con libertà e tenerezza.
La povertà che ha Dio come unica ricchezza, «La povertà confessa che Dio è l'unica vera ricchezza dell'uomo. Vissuta sull'esempio di Cristo che «da ricco che era, si è fatto povero»[15], diventa espressione del dono totale di sé che le tre Persone divine reciprocamente si fanno. È dono che trabocca nella creazione e si manifesta pienamente nell'Incarnazione del Verbo». Questo Consiglio evangelico guarisce il cuore dall'egoismo possessivo: il desiderio di accumulare, controllare o dominare viene spezzato dalla povertà evangelica, che proclama: "Basta Dio". Il percorso è l'imitazione del Cristo povero: Cristo si è svuotato di tutto per farsi servo e fratello[16]. La povertà volontaria è una condivisione concreta di questo svuotamento per amore. Il cui riflesso è quello trinitario: la povertà è espressione del dono reciproco che lega il Padre, il Figlio e lo spirito: ogni Persona si offre interamente all'altra, senza trattenere nulla. Ne consegue una povertà creativa e generativa: non è mancanza, ma spazio per l'Altro. È grembo di comunione.
L'obbedienza come libertà nella fiducia filiale, l'obbedienza, praticata a imitazione di Cristo, il cui cibo era fare la volontà del Padre[17], manifesta la bellezza liberante di una dipendenza filiale e non servile, ricca di senso di responsabilità e animata dalla reciproca fiducia, che è riflesso nella storia dell'amorosa corrispondenza delle tre Persone divine. L'Obbedienza guarisce dall'egoismo della volontà: il bisogno di fare da sé, di imporre il proprio volere, trova guarigione in un'obbedienza matura e responsabile, come quella del Figlio al Padre[18]. In questo percorso di Cristo obbediente fino alla morte, l'obbedienza non è passività, ma attributo dell'amore: Gesù obbedisce per amare, non sottomettersi. Nella comunione trinitaria c'è obbedienza reciproca, non perché ci sia gerarchia, ma perché l'amore implica sempre l'ascolto e la fiducia. Ne deriva l'Obbedienza come fiducia e corresponsabilità. L'obbedienza religiosa è attiva, dialogica, fondata sulla relazione, non sull'annullamento di sé.
Il processo di guarigione dall'egoismo così inteso riflette Dio. Ogni consiglio evangelico, vissuto in Cristo e nello Spirito, spezza le radici dell'egoismo umano (affettivo, materiale, volitivo), manifesta e rende visibile la vita stessa di Dio nel cuore della storia. Perché la Castità è amore libero come il Figlio; la Povertà è fiducia nel padre come il Verbo incarnato; l'Obbedienza è dono dello Spirito come relazione trinitaria In tal senso, la vita consacrata non è fuga dal mondo, ma profezia dell'amore trinitario e cammino di guarigione radicale. Dove i consigli evangelici sono la firma trinitaria impressa nella vita dei consacrati.
Ipotesi di scheda di meditazione
- Tema: Guarire dall'egoismo attraverso i consigli evangelici
Castità, Povertà, Obbedienza come riflesso dell'amore trinitario (riferimenti: 7,32-34; 8,9; 4,34; 5,5)
- Obiettivo: Comprendere come i consigli evangelici vissuti nella vita consacrata, non siano mere rinunce, ma vie per guarire dall'egoismo e partecipare all'amore trinitario.
- Castità - Amare con cuore indiviso
- Riferimento biblico: « Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore» (7,32)
- Significato teologico: Cuore libero da vincoli esclusivi per amare tutti come Cristo.
- Guarigione: libera dall'egoismo affettivo, dal bisogno di possesso, dall'amore chiuso.
- Riflesso trinitario: come il Figlio ama il Padre in libertà totale.
- Povertà - Vivere Dio come unica ricchezza
- Obbedienza - Accogliere la volontà come dono
- Riferimento biblico: "Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato" (Gv 4,34 )
- Significato teologico: Ascolto fiducioso e responsabile di Dio e della mediazione fraterna.
- Guarigione: libera dall'orgoglio, dalla chiusura alla relazione, dall'autonomia idolatrata.
- Riflesso trinitario: come ogni Perona divina è aperta e obbediente all'altra in un amore circolare.
In sintesi:
- Consiglio evangelico
- Guarigione dall'egoismo
- Riflesso Trinitario
- Castità
- Egoismo affettivo
- Amore libero e reciproco del Figlio
- Povertà
- Egoismo possessivo
- Dono generoso tra le Persone divine
- Obbedienza
- Egoismo volitivo
- Ascolto e fiducia filiale tra padre, Figlio e Spirito Santo
Note | |
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Bibliografia | |
Bibliografia ragionata sul tema della "Comunione Trinitaria, intesa sia come dimensione comunicativa e teologica interna alla Trinità sia come implicazione eucaristica ed ecclesiale.
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