Infallibilità pontificia

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Concilio Vaticano I, proclamazione del dogma dell'Infallibilità pontificia

Il dogma dell'Infallibilità pontificia, per la dottrina cattolica,[1] si rivela quando il Papa sancisce, cioè quando conferma, propone all'attenzione e alla fede del popolo cristiano verità di fede e di morale, cioè parla Ex Cathedra cioè come Dottore Universale della Chiesa. Questo non significa che il Papa può inventare verità di fede e di morale o che può imporre una sua idea personale.

Significato del Dogma

Il Papa, in virtù dell'autorità che gli è stata conferita da Gesù Cristo, può confermare una dottrina, una verità di fede o di morale contenuta nella Bibbia che merita particolare attenzione, che è da credersi nel modo in cui la Chiesa la interpreta e la impone alla adesione dei fedeli.

Secondo a quanto sancito dal Concilio Vaticano II, debbono verificarsi delle precise condizioni affinché si possa parlare di infallibilità del Santo Padre.

"Infallibilità pontificia" non significa impeccabilità. La Fede e la Chiesa cattolica, basandosi sulla Bibbia, insegnano che il Papa non può commettere errori in materia di fede e di morale quando si verificano certe condizioni:

  • Il Papa deve sancire, confermare, non come maestro privato, come fosse un teologo, un biblista, un giurista; nemmeno come semplice Vescovo di Roma, ma deve esercitare il suo ruolo di supremo Pastore universale della Chiesa, il ruolo di maestro di tutta la Chiesa.
  • Il Papa deve insegnare a tutta la Chiesa e non a una singola parte di essa, escludendo altre parti, come accade quando il papa emana disposizioni, generalmente a carattere temporaneo, per una diocesi, per i cristiani di una nazione o per i fedeli di un continente.
  • Il Papa dovrà esplicitamente far comprendere che sta facendo uso del carisma, del dono dell'infallibilità, ossia deve far comprendere bene che sta confermando con atto definitivo una dottrina di fede e di morale.
  • La materia su cui si esercita il carisma dell'infallibilità è la fede e la morale. Il Papa non è infallibile quando esprime considerazioni di carattere scientifico, storico, e altro.

La Fede e la Chiesa cattolica non hanno mai affermato o insegnato che i Papi siano assolutamente esenti da imperfezioni o debolezze in campo morale. A prova di questo i Papi, compreso l'attuale Pontefice, hanno sempre sentito in passato e sentono il bisogno di confessarsi, di chiedere perdono a Dio delle loro colpe, dei loro peccati.

I Papi sono i primi a essere consapevoli di dover chiedere perdono a Dio delle loro mancanze, dando a ciascun credente un esempio di grande umiltà.

Nella lunga storia del Papato vi sono stati Romani pontefici santi, che hanno dato lustro alla Chiesa: e questi sono la gran parte; ma è anche vero che talvolta vi sono stati Papi il cui comportamento morale era discutibile e lasciava molto a desiderare. E questo la Chiesa lo ha sempre riconosciuto.

Nella storia

Il dogma della infallibilità fu definito solennemente durante il Concilio Vaticano I, nell'anno 1870.

La costituzione dogmatica Pastor Aeternus recita:

« Noi, quindi, aderendo fedelmente a una tradizione accolta fin dall'inizio della fede cristiana, a gloria di Dio, nostro salvatore, per l'esaltazione della religione cattolica e la salvezza dei popoli cristiani, con l'approvazione del santo concilio, insegniamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato che il romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo il suo ufficio di pastore e maestro di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce che una dottrina riguardante la fede e i costumi dev'essere ritenuta da tutta la Chiesa, per quell'assistenza divina che gli è stata promessa nel beato Pietro, gode di quell'infallibilità, di cui il divino Redentore ha voluto dotata la sua Chiesa allorché definisce la dottrina riguardante la fede o i costumi. Quindi queste definizioni sono irreformabili per virtù propria e non per il consenso della Chiesa. »

Si tratta di una definizione solenne, dogmatica, alla quale ogni cattolico è tenuto a prestare l'assenso della fede, della sua intelligenza e della sua volontà.

Questa definizione dice una cosa interessante anche dal punto di vista storico: afferma, infatti, che si tratta di una tradizione "accolta fin dall'inizio della fede cristiana".

Il carisma dell'infallibilità della Chiesa e del Papa, in epoca antica, è stato riconosciuto in varie occasioni:

Sant'Ignazio di Antiochia, morto intorno all'anno 110 martire a Roma dice che i cristiani di Roma "sono puri da ogni estranea macchia". Vale a dire da ogni errore e qui si prefigura l'infallibilità della Chiesa e del suo Capo visibile, in particolare, fin dall'inizio del II secolo.

Un secondo esempio viene da Sant'Ireneo, vescovo di Lione, vissuto nel II secolo. Sant'Ireneo riconosce la fede della Chiesa di Roma come norma per tutta la Chiesa.

« Con questa Chiesa, a causa della sua più alta preminenza, deve accordarsi ogni altra Chiesa, poiché in essa si è conservata la fede apostolica. »

Qui è chiaro che l'immunità dall'errore propria della Chiesa di Roma presuppone l'infallibilità del suo maestro, il vescovo, il Papa. Egli insegnava che dove c'è la Chiesa c'è lo Spirito Santo ed è impossibile trovare la verità se non nella Chiesa, che possiede il "carisma della verità".

San Cipriano, vescovo vissuto nel III secolo, definisce la Chiesa di Roma come la cathedra Petri e parlando degli avversari che pure volevano fare approvare le loro dottrine eretiche dal Papa, scrive:

« Essi non pensano che devono trattare con i Romani, la cui fede fu lodata dalla gloriosa testimonianza dell'Apostolo e presso i quali l'errore non può trovare alcun accesso. »

Per san Cipriano nella Chiesa di Roma, quindi nel Papa, non può albergare l'errore. Dunque, il tema dell'infallibilità era noto, anche in epoca assai antica. Certo non era esplicitato come lo sarà dopo il Concilio Vaticano I, ma non era sconosciuto.

E ancora san Cipriano, verso l'anno 250, scrive:

« Tutti coloro che abbandonano Cristo si perdono nei loro errori, ma la Chiesa che crede in Cristo e rimane fedele alla verità ricevuta, non si separa da lui. »

Un altro esempio viene da San Girolamo, vissuto nel IV secolo, il quale, richiedendo al Papa Damaso una decisione a proposito di una questione dibattuta in Oriente, scrive:

« Solo presso di voi si conserva inalterata l'eredità dei padri»

San Teofilo, successore di Sant'Ignazio nella Chiesa di Antiochia, diceva che come le navi si infrangono se escono dal porto ed entrano nel mare in tempesta, così gli uomini fanno naufragio quando abbandonano la "cattedra di verità.

Dunque la Chiesa era ritenuta, fin dalle origini, "cattedra della verità", dove non poteva albergare l'errore.

Nelle Sacre Scritture

Cristo ha fondato la sua Chiesa sull'apostolo Simon Pietro:

« Tu sei Pietro e su di te edificherò la mia Chiesa. »

Se Pietro potesse cadere in errore in materia di fede o di morale, ne risulterebbe che Cristo avrebbe edificato la sua Chiesa, che deve illuminare gli uomini, ammaestrarli nella fede e nella morale che ne deriva, sull'errore. E questo è inammissibile, essendo Cristo Dio.

Ma anche i successori di Pietro, i vescovi di Roma, sono il fondamento della Chiesa e dunque anche per loro, per i successori di Pietro, valgono le stesse considerazioni per Simon Pietro. Anche i successori di Pietro non possono errare in materia di fede e di morale, altrimenti Cristo starebbe ora edificando la sua Chiesa sull'errore.

A Simon Pietro, Gesù ha dato il potere di legare e di sciogliere e ha promesso che tutto ciò che Pietro avrebbe legato e sciolto in terra sarebbe stato "legato e sciolto" anche in Cielo, (cfr Mt 16,19 ), cioè "legato e sciolto" anche da Dio. Questo potere doveva essere esercitato anche dai successori di Pietro, i Papi. Dio non può sbagliare, non può errare, proprio perché è Dio. Ne consegue che anche i successori di Pietro, cioè i Papi, nell'esercizio del loro compito di "legare e di sciogliere" devono essere infallibili, non possono errare, non possono sbagliare.

Infatti, se i Papi potessero sbagliarsi nell'esercizio del potere di legare e di sciogliere, se così fosse, il loro errore, l'errore di Pietro, l'errore del Papa, dovrebbe essere ratificato anche da Dio. In questo caso, Dio, per mantenere fede alla sua parola, dovrebbe ratificare un errore, approvare un errore. Ma Dio non può errare. È evidente che qui Cristo promette una particolare assistenza di Dio ai Papi che legano e sciolgono su questa terra. La promessa di ratificare in Cielo ciò che i papi legano e sciolgono sulla terra, implica necessariamente che i papi siano infallibili nell'esercizio di questo potere.

Nel linguaggio biblico, "legare" e "sciogliere", hanno un significato molto preciso quello di "proibire" e "permettere". Dunque il Papa ha il potere di proibire o permettere, cioè di dichiarare, sancire lecita o illecita una dottrina di fede. Nel campo giuridico e disciplinare, legare e sciogliere significano condannare o assolvere. Quindi, il Papa ha il potere, datogli da Gesù Cristo, di sancire, di confermare come lecito o illecito un comportamento, di dichiararlo morale o immorale. Questo potere viene riconosciuto anche in Cielo, cioè da Dio stesso in persona (cfr Mt 16,19 ).

Gesù ha affidato a Pietro il compito di pascere il gregge. Per tre volte consecutive Gesù disse a Pietro di esercitare la funzione di pastore del gregge, cioè della Chiesa. Gesù ha affidato questo compito perché Lui, Pastore vero e infallibile, stava per salire al Cielo e voleva affidare la sua Chiesa a Pietro e ai suoi successori.

Secondo la volontà di Gesù, che è Dio, la Chiesa è strumento di salvezza, visto che si va in Cielo attraverso la Chiesa e nella Chiesa guidata dal pastore Pietro e dai suoi successori, è del tutto impensabile, del tutto impossibile che questi pastori possano errare, sbagliare strada in quelle materie, fede e morale, che conducono al Cielo. Quindi, in questi campi, i Papi godono e devono godere del dono dell'infallibilità.

Nel Vangelo di Luca si dice che Gesù ha pregato perché la fede di Pietro non venga mai meno.

« Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; 32 ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli. »

Quando Gesù pronuncia queste parole siamo nel Cenacolo, la sera del Giovedì Santo. Mancano poche ore all'arresto di Gesù nell'Orto degli Ulivi. Gesù, che conosce molto bene quello che sta per succedere a sé stesso, mette in guardia i suoi discepoli, avverte che satana ha messo alla prova tutti i suoi discepoli con parole molto chiare "satana vi ha cercato per vagliarvi" e quel "vi" si riferisce proprio ai Dodici.

Poi Gesù aggiunge, rivolgendosi a Simon Pietro, di aver pregato per lui quindi nessuno può dubitare che la preghiera di Gesù non venga esaudita.

Gesù prega per un motivo preciso: che la fede di Pietro non venga mai meno. Siccome la preghiera di Gesù è certamente esaudita dal Padre, ne consegue che Pietro, in materia di fede, non sarebbe sicuramente mai venuto meno, quindi sarebbe stato assolutamente infallibile.

Gesù dà l'incarico a Pietro di "confermare" ciò implica il compito di dirigere i fratelli nella fede.

Pietro non avrebbe potuto sbagliarsi proprio in materia di fede se Gesù non gli avesse dato questa altissima missione, questo ordine e gli sarebbe stato impossibile eseguirlo. Gesù non poteva dare un ordine ineseguibile. Quindi anche il Papa, come successore di Pietro, ha la possibilità di eseguire questo compito con assoluta certezza di infallibilità

Cristo non avrebbe potuto e voluto confermare nell'errore e non avrebbe dato un incarico importantissimo senza munire di sicurezza chi lo riceveva.

L'infallibilità della Chiesa

Anche al Collegio apostolico, unito e sottomesso al Papa, Cristo ha promesso chiaramente il dono dell'infallibilità.

In riferimento all'Ultima Cena come ci è raccontata da San Giovanni, Gesù si rivolge ai Dodici Apostoli con parole molto chiare:

« Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. »

E ancora:

« Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. »

Gesù, in quanto Dio, non poteva sbagliarsi, qui vediamo chiaramente che promette agli Apostoli, quindi alla sua Chiesa, l'assistenza perpetua, continua e infallibile dello Spirito Santo, che è Dio, che è Spirito di verità.

Nell'esercizio della sua missione, il Collegio apostolico, in comunione con il Papa è assistito dallo Spirito di Verità. Grazie a questa assistenza, non può sbagliarsi in materia di fede e di morale.

La missione della Chiesa è sintetizzata in maniera mirabile da Matteo, nell'ultimo capitolo del suo Vangelo. Anche in questo brano troviamo un elemento importante a favore dell'infallibilità del Papa e della Chiesa.

Matteo ci riporta esattamente le ultime parole pronunciate da Gesù prima di salire al Cielo, prima di lasciare la sua Chiesa impegnata nella missione di salvare gli uomini.

« Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. »

Gesù incarica la sua Chiesa di insegnare a tutto il mondo la verità: naturalmente la verità su Dio, le verità della fede che portano alla salvezza dell'uomo. Nell'insegnamento di questa verità, Gesù promette la sua assistenza speciale e perpetua.

La Chiesa, dunque, in fatto di fede e morale, beneficia dell'assistenza perenne di Gesù. Si tratta di una assistenza divina al compito di ammaestrare tutte le genti, al compito di battezzarle, quindi di condurle nella Chiesa, al compito di insegnare. Ed è una assistenza divina promessa per sempre, fino alla fine del mondo.

Il Dono dell'infallibilità non riguardava solo gli Apostoli che ascoltano a viva voce le parole di Gesù, ma riguarda i successori di Pietro e i successori degli Apostoli uniti e sottomessi al Santo Padre.

In un altro passo del Vangelo di Marco, Gesù afferma:

« Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. »

In gioco c'è la salvezza del Paradiso o della condanna dell'Inferno. Gesù lega il destino eterno di ogni uomo alla fede che insegnerà la Chiesa. Chi crederà alla fede insegnata dalla Chiesa andrà in Paradiso. Chi, per colpa propria, non crederà alla fede insegnata dalla Chiesa andrà all'Inferno.

Chi rifiuterà la fede proposta dagli Apostoli cioè dalla Chiesa rifiuterà la vera fede, annunciata infallibilmente da Pietro, cioè dal Papa, che è capo visibile della Chiesa. Chi rifiuterà sarà condannato alla dannazione eterna.

Conclusione

La Chiesa, grazie all'assistenza dello Spirito Santo promesso e inviato da parte di Gesù, gode del dono o carisma dell'infallibilità nell'insegnare e nel credere le verità della fede. L'autorità che Gesù ha conferito alla Chiesa è prima di tutto un'autorità dottrinale e riguarda la trasmissione e la custodia del deposito della fede.

Note
Fonti
Voci correlate