Laudario di Cortona
Il Laudario di Cortona è un manoscritto del 1250 che raccoglie testi e musiche di alcune laude. Si tratta del Codice cortonese 91, originariamente appartenuto alla Confraternita di Santa Maria delle Laude[1]in Cortona e rappresenta la più antica raccolta laudistica, corredata di notazione musicale, che sia giunta sino a noi.
Storia
Fu ritrovato nel 1876 da Girolamo Mancini, nella Biblioteca dell'Accademia Etrusca del Comune di Cortona. Rimasto nascosto per secoli presentava i segni del tempo, ma venne ripulito e catalogato col numero 91; È ancora oggi conservato nella stessa Biblioteca e rappresenta la testimonianza più antica di melodia su testo in lingua volgare italiana, nonché un importantissimo documento letterario.
Per la datazione gli studiosi ritengono che la prima parte presumibilmente risalga a prima del 1250 poiché i testi non fanno riferimento né al Beato Guido Vagnottelli, morto intorno a quella stessa data né a Santa Margherita, morta nel 1297.[2] Laude dedicate a loro sono presenti invece nella seconda parte della raccolta, che per questo motivo risalirebbe sicuramente agli inizi del Trecento.
Autori
Gli autori del Laudario di Cortona appartengono alle confraternite di laici che sorsero in Umbria e in Toscana nel XII secolo. Nella compilazione dei testi mostrano di possedere caratteristiche proprie della cultura araba, della cultura ecclesiastica medioevale e buone conoscenze della versificazione romanza. Le laude sono infatti ricche di artifici retorici e la loro struttura metrica è raffinata. Il fatto che in quattro laude venga citato il nome di Garzo, non è sufficiente a dimostrare che questo personaggio sia l'autore dell'intera raccolta. Egli, forse, fu il redattore, cioè colui che ne stabilì il contenuto scegliendo i migliori canti in circolazione e ordinandoli secondo un criterio estetico ben preciso; tra questi avrà poi inserito quattro laude di propria composizione, quelle appunto che riportano il suo nome.
Sulla sua identità sono state avanzate varie ipotesi: una è che egli fosse Garzo dell'Incisa in Valdarno bisnonno di Petrarca, altra ipotesi, data la presenza del nome Garzo anche in altri codici toscani del Trecento, è che egli sia stato uno dei personaggi di maggior spicco nella prima fase della storia dei laudesi, forse proprio uno di quei primi maestri senesi che guidarono le scholae.
Lingua e stile
Sono scritte tutte in forma ballata, sono cioè composte da diverse strofe intervallate da un ritornello.[3]
Per mantenere la continuità del discorso, nonostante la presenza del ritornello, gli autori usano alcuni artifici retorici:
- le coblas capfinidas: quando l'ultima parola di una strofa è la prima della strofa successiva e ne riprende il discorso;
- la strofa zajalesca: se la medesima rima è ripetuta nell'ultimo verso di ogni strofa e del ritornello.[4]
Altra caratteristica è la notevole presenza di aggettivi, spesso al grado superlativo, che esaltano le qualità della Madonna, di Gesù Cristo e dei santi e quelle negative dei peccatori. È dunque un linguaggio molto diretto ed immediato, ricco di espressioni quotidiane (per es. la Madonna che allatta il bambino è chiamata madre nutrice, pulcell'amorosa) che permette di mantenere uniti il mondo spirituale e quello terreno.
I cinque sensi sono spesso protagonisti dei versi delle laude: il peccato puzza, è buio; la grazia è luminosa, soave, ha un sapore piacevole. Proprio l'aspetto carnale e materiale dà alle parole un significato profondo. Inoltre il linguaggio usato si adatta alla comprensione sia dei dotti che del popolo: è comune, immediato, coloritissimo e comprensibile, contiene termini semplici, che descrivono immagini della vita quotidiana e riportano a brani della Scrittura.
Testo
Il volume è costituito da 171 carte di pergamena, e si può dividere in due parti:
- la prima, contiene 45 laude, probabilmente trascritte da una sola mano, tutte corredate delle rispettive melodie fino alla prima strofa, eccetto la quinta (Ave Maria gratia plena), per la quale è presente la melodia senza notazione.
- la seconda parte, di composizione più recente, ha inizio con l'indice dei componimenti della prima serie e prosegue con altre 19 laude prive di musica. Questa fu compilata in successive riprese, con l'intervento di più persone.
Tra le due parti si interpone un quaderno di dieci carte, contenente altre due laude musicate (Benedicti e'llaudati e Salutiam divotamente), probabilmente inserito agli inizi del Trecento.[5] Le melodie del codice sono 46. Il testo poetico è scritto in caratteri gotici.
Gli argomenti trattati sono:
- di carattere mariano (in prevalenza)
- legati a ricorrenze liturgiche dell'anno (Natività, Epifania, Pasqua, Pentecoste…);
- legati alla devozione di alcuni santi (San Francesco, Sant'Antonio da Padova, San Michele e altri)
In particolare le laude sono così suddivise:
- le prime 16 sono dedicate alla Madonna e costituiscono un gruppo unitario e compatto
- la 17 è dedicata a Santa Caterina d'Alessandria
- la 18 è dedicata a Maria Maddalena
- il gruppo dalla 19 alla 32 ripercorre le varie fasi del cosiddetto anni circulum, costituito da Natale, Quaresima, Risurrezione, Ascensione, Pentecoste e Trinità
- la 33 e la 35 hanno per oggetto l'amore a Cristo
- la 34 e la 36 riguardano il disprezzo per le cose del mondo
- la 37 e la 38 sono dedicate a San Francesco, la 39 a Sant'Antonio da Padova, la 40 di nuovo a Santa Maria Maddalena
- la 41 a San Michele Arcangelo, la 42 a tutti i Santi
- la 43 e la 44 a San Giovanni Battista
- la 45 costituisce un'esortazione all'amore per Cristo
- la 46 è dedicata agli Apostoli
- la 47 costituisce il saluto finale alla Madonna.
Musica
L'asimmetria esistente tra testo e melodia, nella gran parte dei componimenti, lascia presumere che molte laude siano contrafacta, ovvero melodie liturgiche e profane preesistenti, adattate a testi nuovi. Di tale procedimento, assai diffuso nel XIII secolo, ne troviamo un esempio nel codice: infatti la lauda 11 (Regina sovrana, de gran pïetade) è un contrafactum della 8 (Altissima luce col grande splendore), la cui melodia viene conformata, con evidenti cambiamenti, alla diversa struttura del nuovo testo.
L'esecuzione delle laude poteva variare secondo l'esecutore, l'ambiente o la diversità delle situazioni,[6]
Le laude cortonesi risentono della fusione tra le tradizioni italiane più antiche del canto sacro e le nuove influenze della melodia monotonica continentale, che proprio la mediazione francescana introduceva nell'ambito della liturgia alla fine del Duecento.[7]
Nel repertorio del Laudario di Cortona la fusione tra musica di ascendenza, di carattere continentale e quella melodica, di carattere meridionale è evidente: brani come Benedicti e llaudati, Laude novella, Troppo perde 'l tempo, Laudar vollio per amore si possono riportare ai profili melodici tipici del canto monodico settentrionale (a un solo tono); diversamente le laude Dami conforto, Fami cantar, Altissima luce, Ave vergene gaudente corrispondono a modelli più chiaramente legati alla tradizione mediterranea.
Ad alcuni brani si può applicare una lettura ritmica, mentre per la maggior parte dei casi l'interpretazione è non ritmica.
La struttura più ricorrente è la ballata: rari i casi incerti, sia per lacune nel manoscritto che per eccezioni riportate.
La musicalità dei versi, è accentuata dalla concordanza delle rime (a volte baciate, a volte concatenate), da assonanze e allitterazioni.
Note | |
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Voci correlate | |