Legittima difesa

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« La legittima difesa delle persone e delle società non costituisce un'eccezione alla proibizione di uccidere l'innocente, uccisione in cui consiste l'omicidio volontario. "Dalla difesa personale possono seguire due effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita; mentre l'altro è l'uccisione dell'attentatore"[1]»

La legittima difesa è il comportamento di chi usa la violenza per difendere se stesso o altre persone da un ingiusto aggressore.

Liceità

Anche se Gesù ha insegnato nel Discorso della Montagna a non opporsi con la violenza alla violenza (Mt 5,38-39 ), "l'amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità. È quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita. Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale"[2][3].

Rimane però la condizione che non si usi, nella legittima difesa, maggior violenza del necessario: se si reagisce con moderazione[4], allora la difesa è lecita[5].

Alla legittima difesa si applica il principio morale del volontario indiretto:

« Nulla impedisce che vi siano due effetti di uno stesso atto, dei quali uno sia intenzionale e l'altro preterintenzionale. [..] Dalla difesa personale possono seguire due effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita; mentre l'altro è l'uccisione dell'attentatore. »
(San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 64, a. 7, c)

Obbligatorietà

"La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l'ingiusto aggressore in stato di non nuocere"[6].

Lo Stato deve quindi contenere il diffondersi di comportamenti lesivi dei diritti dell'uomo e delle regole fondamentali della convivenza civile. La legittima autorità pubblica ha il diritto ed il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto.

Approfondimento

Per meglio precisare la dottrina della legittima difesa occorre tener presente le seguenti annotazioni[7]:

  • Parlando di aggressione ingiusta, si considera tale non solo quella colpevole perché posta in atto con deliberata volontà di uccidere, ma anche quella che è ingiusta anche solo nella sua materialità, come ad esempio nel caso di un'aggressione posta in atto da un malato di mente; il diritto a difendersi dipende unicamente dal carattere oggettivo del comportamento altrui, non dalla sua colpevolezza.
  • Va salvaguardata in ogni caso la tassativa condizione dell'inesistenza di ogni altra via di scampo, quali la fuga, la predisposizione di misure cautelative, o il disarmare l'aggressore, o il ferirlo non mortalmente, ecc.; l'insegnamento morale sulla legittima difesa non configura quindi l'obbligo, ma solo la possibilità di spingere la difesa della propria vita fino al limite estremo di uccidere.
  • Nei casi in cui non si configuri il dovere della legittima difesa, ad essa si può anche rinunciare, e tale rinuncia può implicare valori morali più alti, principalmente la volontà di seguire l'esempio di Gesù, che non solo insegnò ma praticò la non violenza.

Attribuzione della responsabilità delle conseguenze

A chi va imputata la responsabilità dell'effetto del ferimento o dell'eventuale uccisione dell'attentatore? In considerazione della forza dell'istinto di conservazione che muove chi è ingiustamente aggredito, va detto che l'effetto nocivo sull'attentatore è totalmente e solo conseguenza del comportamento di questi, poiché con il suo comportamento egli sta costringendo l'altro a gesti estremi per salvare la propria vita. Il prezzo di tali gesti non è quindi scelto dall'aggredito, ma è conseguenza della tragica costrizione impostagli dall'aggressore[7].

Modalità estreme

La pena di morte come legittima difesa

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce pena di morte

Quali mezzi possono essere usati dall'autorità per esercitare la legittima difesa? Risponde il Catechismo della Chiesa Cattolica:

« L'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani.

Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall'aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana.

Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l'ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo "sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti"[8]»

(n. 2267)

La guerra come legittima difesa

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce guerra giusta

"I legittimi detentori dell'autorità sulla comunità civile hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità"[9]. Tuttavia sono molto stringenti le condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Devono verificarsi, tutte insieme, le seguenti condizioni[10]:

  • che il danno causato dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo;
  • che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci;
  • che ci siano fondate condizioni di successo;
  • che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione.

Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della guerra giusta.

Note
  1. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 64, a. 7, c.
  2. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2264.
  3. Mons. Gianfranco Ravasi, non ancora cardinale, rifletteva:
    « Al di là della difficoltà dell'applicazione equilibrata e corretta della regola tomistica (e classica) dell'autodifesa, come comporla col principio evangelico della nonviolenza assoluta? La risposta è proprio nella struttura della fede cristiana a cui sopra si accennava, legata all'incarnazione e quindi alla storia. I princìpi devono essere "incarnati" nella concretezza dei casi spesso molto più intricati e complessi (si pensi – per fare un esempio di altro genere – all'appello evangelico alla povertà, al distacco, alla condivisione dei beni all'interno di una società economica com'è l'attuale). Si devono, perciò, trovare vie meno dannose per il principio ma anche compatibili con determinati contesti speciali e particolari. Così si può ammettere una reazione di difesa nel caso in cui essa sia l'unica strada possibile per impedire l'aggressione, l'ingiustizia, l'oppressione: l'atto violento è finalizzato non a punire l'aggressore ma a farlo desistere e a bloccarlo. In situazioni eccezionali è, dunque, da considerarsi legittimo il ricorso alla forza purché esso sia per la difesa dei diritti dei deboli, e non per incrementare inimicizie e odio quanto piuttosto per estinguerli. »
    (Nessuno tocchi Caino, in Jesus, n. 3, marzo 2000, online)
  4. La teologia morale classica ama esprimere tale condizione con la sintetica espressione cum moderamine inculpatae tutelae, "con la moderazione di chi, innocente, si protegge".
  5. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 64, a. 7, c. Tommaso aggiunge:
    « E non è necessario per la salvezza dell'anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l'uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui. »
  6. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2265.
  7. 7,0 7,1 Lino Ciccone (1988) 52.
  8. Evangelium vitae, n. 56.
  9. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2265.
  10. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2309
Bibliografia
Voci correlate