Mottetto
Mottetto | |
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Orchestra e coro medievali | |
In lingua latina | motetus |
Luogo di diffusione | Europa |
Tipo | Vocale; Vocale-strumentale |
Genere | Sacro |
Periodi |
XIII secolo;
XIV secolo |
Il mottetto è una forma di musica polifonica: può essere solo vocale o vocale-strumentale.
La parola italiana discende direttamente dal termine latino motetus. Stessa provenienza hanno il francese e inglese motet, il tedesco motette, e lo spagnolo motete.
Generalmente si riconduce l'origine di questo vocabolo al francese mot, "parola" (cioè le parole aggiunte alla musica, vedi infra); mentre alcune ipotesi minoritarie lo fanno derivare dal latino movere, cioè muovere, spostare (i frammenti musicali da un brano all'altro). Qualunque fosse l'etimologia, di certo il termine era in uso fin dagli inizi, come testimoniato dal trattato Ars compositionis de motetis scritto da Philippe de Vitry probabilmente intorno al 1320.
Il mottetto, nato come musica da chiesa, non rimase sempre soltanto tale: nel corso dei secoli fu usato anche per la musica profana. Tuttavia, insieme alla messa, è la forma più importante della musica sacra, soprattutto nel periodo compreso tra i secoli XIII e XVI, anche se la sua storia, assai più ampia, giunge sino ai nostri giorni.
La grande varietà di strutture e di caratteri che il mottetto ha assunto durante il suo lungo sviluppo non consente di darne una definizione univoca: si possono invece individuare le varie fasi della evoluzione di questa forma musicale.
Nascita del mottetto: il Duecento
Il mottetto nacque nel XIII secolo o forse addirittura alla fine del XII[1] nell'ambiente della Scuola di Notre Dame, dove si era sviluppata l'Ars Antiqua dei discantisti Leonin e Perotin e dei loro discepoli[2].
I primi grandissimi maestri della antica tecnica polifonica, per variare gli organa del gregoriano, avevano inventato nuove figure musicali, come la clausula e il tropo e si era diffusa anche l'abitudine di interpolare clausulae da un organum in un altro: le clausulae, perdendo il loro posto originale, perdevano altresì il testo e rimanevano come semplici vocalizzazioni.
Nel XIII secolo, fra i rappresentanti della fase più matura della scuola parigina invalse la pratica di aggiungere un nuovo testo alle voci superiori di queste clausulae che ne erano rimaste prive. Il frammento con le parole nuove, una vera e propria clausula tropata, fu chiamato motetus e diventò un pezzo indipendente separato dalla liturgia, stabilizzandosi in una forma triplice (o quadruplice), composta da:
- tenor, una parte più grave a movimento lento, che con ritmica modale seguiva il testo gregoriano originale;
- duplum o motetus, cioè una parte di media altezza e a movimento più veloce, che eseguiva una seconda melodia con l'aggiunta di parole a commento del testo cantato dal tenor;
- triplum – e a volte oltre ad esso anche un quadruplum – come ulteriore voce ancor più alta e fiorita, con caratteristiche di contenuto analoghe al duplum.
La formula ebbe immediato successo, e come genere musicale autonomo dilagò in breve da Parigi a tutta la Francia e poi all''Europa occidentale. Si cominciò ad inserire per le voci superiori testi d'argomento amoroso o conviviale, assolutamente indipendenti dalle parole del tenor anche se sempre connessi all'argomento liturgico.
In effetti negli ultimi decenni del secolo il mottetto, che nella liturgia trovava faticosamente una collocazione, fu adottato anche, anzi soprattutto, per composizioni secolari, specie ad opera di trovieri come Adam de la Halle, Robert de Reims La Chievre e Richart de Fournival: non bisogna dimenticare però che in quei tempi la distinzione fra sacro e profano era meno netta di oggi[3].
I mottetti diventarono composizioni sempre più raffinate, vere e proprie miniature elaboratissime, in cui ciascuna voce seguiva un testo differente (mottetto politestuale), un ritmo diverso e addirittura in parecchi esempi una lingua diversa (francese o inglese vernacolare sovrapposto al latino), e con l'aggiunta qualche volta al tenor di una quinta voce strumentale chiamata contratenor: la comprensione risultava certamente difficile al primo ascolto (ostica all'uomo di oggi abituato all'armonia verticale). E' stato anche suggerito da qualche studioso che nelle esecuzioni profane ciascuna delle voci fosse cantata a turno mentre le altre erano sostituite da strumenti, e solo come finale dell'esecuzione tutti i testi erano cantati simultaneamente.
I titoli dei brani come d'uso erano le prime parole del canto, ma qui erano le prime di ciascuna voce in ordine di altezza: e così troviamo titoli come il mottetto a quattro voci Plus bele que flor / Quant revient / L'autrier joer / Flos Filius che, con quattro testi in lingue diverse per quattro diverse voci e altrettante linee musicali, sovrappone a una descrizione della splendente bellezza di Maria (tenor) l'evocazione di un incontro amoroso (duplum), l'azione di Dio in estate (triplum) e la stagione dell'amore (quadruplum); spesso i contenuti dei testi delle diverse linee melodiche erano collegati per allegoria, figura retorica molto in uso nella cultura del Medio Evo.
Il teorico musicale Grocheio nel suo Ars musicae del 1300 circa sostenne che il mottetto non dovrebbe essere eseguito in presenza di gente comune, perché essi non percepirebbero la sua sottigliezza, non avrebbero piacere nel suo suono. (...) Invece, i mottetti dovrebbero essere eseguiti solo in presenza di persone istruite e di quelli che cercano le finezze nell'arte[4].
Il mottetto isoritmico del Trecento
Nel secolo dell'Ars Nova fiorì il cosiddetto mottetto isoritmico[5].
In questa raffinata tecnica la voce del tenor ripeteva più volte la stessa struttura ritmica detta talea. Spesso la ripetizione riguardava anche la melodia: ogni segmento di melodia si chiamava color.
Le tecniche trecentesche, specie nella musica profana, si affinarono al punto da sovrapporre taleae e colores in complicati giochi di arabeschi musicali e con gusto quasi manieristico, come per esempio nell'invenzione dell'hoquetus. In alcune composizioni addirittura tutte le voci erano scritte con la tecnica dell'isoritmia (nel cosiddetto mottetto panisoritmico).
La tecnica isoritmica era comunque usata anche nei brani della liturgia, in composizioni dove le taleae erano di lunghezza ben inferiore rispetto all'uso tipico nei mottetti.
Oltre alla tecnica descritta, l'altra differenza fondamentale tra il mottetto trecentesco ed il precedente stava nella modalità di creazione e trasmissione della singola opera, che diventò una produzione più individuale (mentre nel secolo precedente partecipavano parecchi musicisti anonimi che oltretutto utilizzavano basi e frammenti altrui) e che di norma non subiva rimaneggiamenti ulteriori, tranne occasionalmente l'aggiunta di un contratenor.
I maggiori compositori di mottetti del periodo furono Philippe de Vitry, Guillaume de Machault e in Inghilterra W. De Wycombe.
Il mottetto fiammingo del Quattrocento
La prima metà del secolo
Nel XV secolo il mottetto subì una ulteriore evoluzione, non tanto in Francia dove si conservarono le forme precedenti (isoritmiche e politestuali), quanto in Italia, in Inghilterra e nelle Fiandre: dal punto di vista tecnico, l'isoritmia gradualmente scomparve in favore del contrappunto e della omoritmia, dove su un impianto quasi sempre a quattro voci quella di soprano era chiaramente prevalente sulle altre oppure tutte insieme erano trattate in chiave del tutto polifonica.
Nello stesso tempo, il mottetto venne per lo più destinato a scopi non frivoli:
- celebrativo (festemotette), in occasione di particolari avvenimenti politici o religiosi: si veda come esempio il mottetto Nuper rosarum flores composto da Dufay nel 1436 per la consacrazione della Cattedrale di Firenze;
- come musica da chiesa, che per la polifonia di questo secolo ebbe il mottetto come unico strumento, con testi tratti dall'Ordinarium;
- religioso, come mezzo per una pratica liturgica quotidiana (liedmotette), come il mottetto Quam pulchra es di Dunstable.
Il gruppo che elaborò questo tipo di composizione fu la cosiddetta scuola di Borgogna: tra i compositori si ricordano principalmente i fiamminghi Guillaume Dufay, Antoine Busnois e Gilles Binchois e l'inglese John Dunstable.
I fiamminghi
Nelle Fiandre, gli autori della generazione successiva, la cosiddetta scuola fiamminga, fecero tornare il mottetto alla sua prima natura di composizione sacra, con un omogeneo impianto melodico, ritmico e testuale di tutte le voci.
Il processo di trasformazione, che fu l'anello di congiunzione tra le tecniche dell'Ars Nova e la polifonia rinascimentale, prese il via dalla scomparsa della politestualità e soprattutto del tenor gregoriano.
Il mottetto quindi si stabilizzò in una struttura polifonica da quattro a sei voci trattate alla pari, divisa in sezioni collegate una all'altra e dello stesso numero dei versetti del testo: a ogni versetto una frase melodica intonata da una singola voce e ripresa dalle altre a turno con la tecnica dell'imitazione.
Fra i compositori fiamminghi della seconda generazione vi sono nomi illustri: Johannes Regis, Loyset Compère, Gaspar van Weerbeke, Pierre de la Rue e i più famosi Jacob Obrecht, Johannes Ockeghem e – ma siamo ormai nel pieno Rinascimento - Josquin Des Préz.
Il Cinquecento : l'apice del mottetto
Il mottetto rinascimentale
Nel XVI secolo il mottetto elaborò ulteriormente il modello delineato dai fiamminghi, tramite queste principali linee guida:
- graduale semplificazione del contrappunto, spesso con la tecnica dell'imitazione e talvolta in omofonia;
- scrittura di spartiti per coro a cappella;
- maggiore aderenza al significato del testo;
- uso di testi in latino, per lo più tratti dalle Sacre Scritture e specie dalle antifone della liturgia;
- sviluppo della composizione per frasi successive, ciascuna con propria melodia ed elaborazione contrappuntistica talora interpolata a monodia, con una struttura più flessibile rispetto ai contemporanei madrigali.
- l'impiego di tutte le voci nelle ultime misure del brano, in modo da concentrare una maggiore tensione nelle battute finali;
- un'altra novità del mottetto del XVI secolo sono i Salmi, rari come soggetto musicale fino al primo Cinquecento.
Alcune delle caratteristiche sopra delineate avvicinano il mottetto cinquecentesco al madrigale, dal quale generalmente si indica come elemento di distinzione soprattutto la lingua: latino per il mottetto, vernacolo per il madrigale.
Ma, come non sono rari i madrigali spirituali, così continuò anche la produzione di mottetti secolari, anche se non più nei temi medievali dell'amor cortese, ma come accompagnamento per occasioni ufficiali: si diffusero così i cosiddetti mottetti cerimoniali[6], caratterizzati dalla ricerca soprattutto della comprensibilità, sia del testo che dell'impianto melodico, come nei mottetti di Adrian Willaert, Ludwig Senfl e Cipriano de Rore.
Il mottetto rinascimentale raggiunse le vette più alte nell'opera dei sommi compositori di musica del secolo: l'italiano Giovanni Pierluigi da Palestrina, il fiammingo Orlando di Lasso e lo spagnolo Tomás Luis de Victoria, i quali infusero le personali poetiche artistiche in composizioni inarrivabili per perfezione stilistica e profondità spirituale.
Ma è doveroso menzionare altri interpreti coevi:
- in Inghilterra William Byrd, Martin Peerson, Thomas Tallis, John Taverner e il fiammingo Derrick Gerarde;
- in Scozia Robert Carver;
- nelle Fiandre Alexander Agricola, Antoine de Févin, Nicolas Gombert, Heinrich Isaac, Jean Richafort;
- in Germania l'italiano Antonio Scandello e Cornelius Freundt;
- in Austria il boemo Jacob Handl;
- in Boemia Johannes Vodnianus Campanus e Petrus Wilhelmi de Grudencz;
- in Spagna Francisco Guerrero, Cristóbal de Morales, Juan de Anchieta, Pedro de Pastrana;
- in Francia Jean Mouton e il fiammingo Pierre Moulu;
- in Italia il fiammingo Adrian Willaert, lo spagnolo Francisco de la Torre, Ruggiero Giovannelli, Luca Marenzio.
La scuola veneziana
Nella seconda metà del secolo la scuola veneziana, specie nelle figure di Andrea e Giovanni Gabrieli, arricchì il mottetto con l'alternanza di più cori (mottetto policorale) e con l'inserimento degli strumenti.
La musica, in sintonia con lo stile ricco di ornamenti della liturgia di San Marco nella Venezia cinquecentesca, divenne così vivace, variegata, continuamente rimbalzante tra suoni e colori contrastanti, in diretta anticipazione del vicino Barocco.
Il mottetto Barocco
Dal 1600 in poi il termine mottetto, pur continuando ad essere usato in riferimento ad una grande quantità di composizioni musicali, perse la connessione con un modello preciso, finendo per indicare qualsiasi composizione sacra non facente parte del ciclo della messa.
Nel XVII secolo un filone continuò nel solco della tradizione, producendo composizioni sacre a cappella con una severa osservanza delle norme del contrappunto (il cosiddetto stile alla Palestrina); queste composizioni proseguirono anche nei secoli successivi, per esempio nel Settecento a Bologna nello stile della scuola di padre Giovanni Battista Martini.
La maggior parte dei compositori invece contaminò il mottetto con i nuovi linguaggi musicali, e gli stili dei brani si estesero da composizioni per voce sola accompagnata da uno strumento a scritture per grandi cori e orchestre.
In Francia, alla corte di Versailles, si distinse fra petits motets, musica da camera o da chiesa di tono intimo e raccolto, con l'accompagnamento del basso continuo, e grands motets, composizioni importanti e celebrative, fastose, con l'impiego di cori e di numerosi e vari strumenti fino talvolta ad una orchestra intera: il maggior rappresentante del secolo fu Jean-Baptiste Lully, ma numerosi altri si cimentarono nel genere, fra i quali ricordiamo Marc Antoine Charpentier e François Couperin.
L'Inghilterra usò nella liturgia anglicana mottetti con testo inglese: i cosiddetti anthems, composti da molti musicisti fra cui Henry Purcell e Orlando Gibbons; mentre a corte risuonò l'influenza dello stile francese del grand motet: ne sono esempio le opere di Georg Friedrich Händel (in specie il Te Deum Uthrecht in Re maggiore).
In Italia più che altrove divennero evidenti tre stili diversi: lo stile antico polifonico, lo stile moderno monodico e lo stile concertato; ed i maggiori compositori si cimentarono tutti in almeno due di essi o in tutti e tre: Claudio Monteverdi, Francesco Cavalli, Giacomo Carissimi, Antonio Lotti, Alessandro Scarlatti e Domenico Scarlatti, Francesco Durante, Benedetto Marcello. Da notare soprattutto – nell'Italia del melodramma - i mottetti concertati, forme dialoganti da cui derivò l'oratorio.
Nella Germania luterana, il mottetto rispose alle esigenze della liturgia riformata: Heinrich Schütz scrisse numerosi brani in latino e in tedesco nelle forme del mottetto sia polifonico che a cappella; Michael Praetorius fu capofila di quei musicisti che impiegarono il corale nella scrittura di mottetti, dando vita al mottetto-cantata (Liedmotette), di cui il massimo esponente fu Johann Sebastian Bach.
Dal 1700 ai giorni nostri
Dopo la fine del Barocco, il mottetto perse via via importanza, anche se non mancano esempi illustri dal Settecento ai giorni nostri: il popolarissimo Ave verum K618 di Wolfgang Amadeus Mozart, ma anche brani di Johannes Brahms, Felix Mendelssohn, Robert Schumann, Franz Liszt, Anton Bruckner, Camille Saint-Saëns, César Franck.
Anche nel XX secolo si scrissero mottetti, con scoperta imitazione dello stile antico, da parte di Richard Strauss, Maurice Duruflé, Francis Poulenc, Charles Villiers Stanford, Edmund Rubbra, Ralph Vaughan Williams, Lennox Berkeley, Morten Lauridsen, Edward Elgar, Hugo Distler, Ernst Krenek, and Michael Finnissy.
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Bibliografia | |
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