Casti Connubii
Casti Connubii Lettera enciclica di Pio XI | |
Data |
31 dicembre 1930 (IX di pontificato) |
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Traduzione del titolo | Casto Connubio |
Argomenti trattati | matrimonio e famiglia |
Enciclica precedente | Ad Salutem Humani |
Enciclica successiva | Quadragesimo Anno |
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Casti Connubii è un'enciclica di papa Pio XI, pubblicata il 31 dicembre 1930.
Ha per tema l'indissolubilità del matrimonio cristiano, rato e consumato[1].
Contenuto
L'enciclica vuole ratificare quanto cinquant'anni prima insegnato da Leone XIII nella Arcanum Divinae, dedicata alla dignità e sacralità del matrimonio cristiano[2], e si pone in continuità con gli insegnamenti del Concilio di Trento che sanciscono l'indissolubilità e la fermezza del vincolo coniugale, il cui autore è Dio stesso[3].
Il documento ribadisce che l'indissolubilità del matrimonio (inviolabilis firmitas), essendo legge di Cristo, non può essere violata da nessuna volontà umana[4]
I matrimoni rati ma non consumati possono essere sciolti solo dalla Chiesa ex iure divino ("per diritto divino"); "tale facoltà non potrà mai applicarsi, e per nessuna ragione, al matrimonio cristiano rato e consumato"[5].
L'enciclica pone il fondamento teologico dell'indissolubilità nel significato mistico del matrimonio cristiano; esso si ha in maniera piena e perfetta nel matrimonio consumato tra fedeli[6], secondo il passo di Ef 5,32 . Il matrimonio, infatti, si riferisce all'unione "più che perfetta" tra Cristo e la Chiesa, che è indissolubile. Il sacramento, perfezionando l'amore umano naturale, conferma l'indissolubilità e l'unità del matrimonio, e santifica le persone dei coniugi[7].
In base alla relazione tra il matrimonio cristiano e l'unione Cristo-Chiesa, l'enciclica stabilisce il primato dell'ordine dell'amore (ordo amoris); da esso derivano tutti gli obblighi matrimoniali. La profonda unità matrimoniale, corporale e spirituale, è sottolineata dal valore sacramentale[8].
L'enciclica si sofferma poi ad analizzare il valore del matrimonio in ordine alla consacrazione dei coniugi, e utilizza un'espressione che sarà poi ripresa dal Concilio Vaticano II nella Gaudium et Spes: Tanto Sacramento roborati et sanctificati et quasi consecrati ("Santificati e quasi consacrati da un Sacramento così grande", n. 550)[9]. Viene riconosciuta una particolare dignità e sacralità allo status dei coniugi, immagine dell'unione mistica e sponsale tra Cristo e la sua Chiesa[10]. Da questa sacralità deriva quella inviolabilis firmitas di cui parla il documento e che è all'origine della pace familiare, della dignità e della felicità del matrimonio[11].
Dal punto di vista dottrinale l'enciclica ha chiarito che l'indissolubilità del matrimonio deriva, ex iure divino, dalla consumazione; sottolinea che neanche il Romano Pontefice ha la facoltà di sciogliere un matrimonio rato e consumato. In questo il documento riprende il solco della tradizione di tutto l'insegnamento del Magistero della Chiesa.
L'enciclica vuole inoltre prendere posizione di fronte all'ampia immoralità sessuale che si andava diffondendo all'epoca, e soprattutto verso chi, in nome di tale immoralità, osava vanificare la santità e l'indissolubilità dell'unione matrimoniale.
Il documento ribadisce i principali doveri degli sposi: la reciproca fedeltà, il mutuo e amore e la retta e cristiana educazione della prole.
Ribadisce altresì l'illiceità dell'aborto e, all'interno delle relazioni coniugali, anche della contraccezione, rinvenuta nei "rimedi" volti ad evitare la procreazione.
Note | |
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Bibliografia | |
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