Papa Pio XI
Papa Pio XI, al secolo Achille Ambrogio Damiano Ratti, in latino Pius XI (Desio, 31 maggio 1857; † Città del Vaticano, 10 febbraio 1939), è stato il 259° vescovo di Roma e papa italiano dal 1922 alla sua morte.
Biografia
Nato a Desio, nella casa che attualmente è sede del Museo Casa Natale Pio XI e del "Centro Internazionale di Studi e Documentazione Pio XI" (al civico 4 di via Pio XI, all'epoca via Lampugnani). Quarto di cinque figli, viene battezzato il giorno dopo la nascita, nella prepositurale dei Santi Siro e Materno con il nome di Achille Ambrogio Damiano Ratti (il nome Ambrogio in onore del nonno paterno, suo padrino di battesimo).
Il padre Francesco fu attivo - con non molto successo come attestato dai continui trasferimenti - quale direttore in vari stabilimenti per la lavorazione della seta, mentre la madre Teresa Galli, originaria di Saronno, era la figlia di un albergatore.
Formazione e ministero sacerdotale
Avviato alla carriera ecclesiastica dall'esempio dello zio Don Damiano Ratti, Achille studiò a partire dal 1867 nel seminario San Pietro Martire di Seveso, poi in quello di Monza. Dal 1874 fece parte dell'ordine terziario francescano. Nel 1875 inizia gli studi teologici; i primi tre anni nel Seminario Maggiore di Milano e l'ultimo nel Seminario di Seveso. Nel 1879 è a Roma presso il Collegio Lombardo. Fu ordinato sacerdote il 20 dicembre 1879 a Roma.
Ratti fu uomo di vasta erudizione, ottenne infatti tre lauree nei suoi anni di studio romani: in filosofia alla Pontificia accademia di San Tommaso d'Aquino di Roma, in diritto canonico alla Università Gregoriana e teologia all'Università La Sapienza. Aveva inoltre una forte passione sia per gli studi letterari, dove preferiva Dante e Manzoni, sia per gli studi scientifici, tanto che era stato in dubbio se intraprendere lo studio della matematica; a tal proposito fu grande amico e, per un certo periodo, collaboratore di don Giuseppe Mercalli, noto geologo e creatore dell'omonima scala dei terremoti, che aveva conosciuto come insegnante nel seminario di Milano.
Ratti fu anche un valido educatore, e non solo nell'ambito scolastico. L'esempio più significativo è il rapporto intrattenuto con Tommaso Gallarati Scotti, figlio di Gian Carlo, principe di Molfetta, e di Maria Luisa Melzi d'Eril. Ratti fu amico di famiglia dei Gallarati Scotti, oltre che catechista ed istruttore agli studi del giovane Tommaso, che in seguito diventerà un noto diplomatico e scrittore.
Inoltre, come cappellano del Cenacolo di Milano, una comunità religiosa dedita all'educazione delle ragazze (incarico tenuto dal 1892 al 1914), ebbe modo di esercitare un'attività pastorale ed educativa molto efficace, entrando in contatto con fanciulle e ragazze di ogni stato e condizione.
Ratti fu pure un appassionato alpinista, scalò diverse vette delle Alpi e fu il primo - il 31 luglio 1889 - a raggiungere la cima del Monte Rosa dalla parete orientale; il 7 agosto 1889 scala il Monte Cervino, e a fine luglio 1890 il Monte Bianco, aprendo la via successivamente chiamata "Via Ratti - Grasselli". Papa Ratti fu un assiduo e appassionato frequentatore del gruppo delle Grigne e per molti anni, a cavallo dei due secoli, fu ospite della parrocchia di Esino Lario, base logistica delle sue escursioni. Le ultime scalate del futuro Papa risalgono al 1913. Per l'intero periodo Ratti fu membro, collaboratore e redattore di articoli per il Club Alpino Italiano.
Lo stesso Ratti disse dell'alpinismo che:[1].
« | Non fosse cosa da scavezzacolli, ma al contrario tutto e solo questione di prudenza, e di un po' di coraggio, di forza e di costanza, di sentimento della natura e delle sue più riposte bellezze. » |
Appena eletto Papa, l'Alpine Club di Londra cooptò Pio XI come proprio socio, motivando tale invito con le tre ascensioni alle più alte cime alpine (l'invito fu declinato, pur con il ringraziamento del Papa).
Ratti, nel 1899, ebbe un colloquio con il famoso esploratore Luigi d'Aosta Duca degli Abruzzi per partecipare alla spedizione al Polo Nord che il Duca stava organizzando. Ratti non venne preso, si dice, perché un sacerdote, per quanto eccellente alpinista, avrebbe intimidito gli altri compagni di viaggio, rudi uomini di mare e montagna.
Carriera ecclesiastica
La profonda competenza negli studi portò Ratti all'attenzione di papa Leone XIII. Nel 1891 fu così invitato a partecipare ad alcune missioni diplomatiche di Monsignor Giacomo Radini-Tedeschi in Austria e in Francia, e probabilmente ciò avvenne su segnalazione dello stesso Radini-Tedeschi, il quale aveva studiato con Ratti presso il Pontificio Seminario Lombardo di Roma.
Ebbe nel frattempo incarichi di insegnamento presso il seminario di Milano e nel 1888 entrò a far parte del collegio dei dottori della Biblioteca Ambrosiana, per diventarne Prefetto nel 1907. Chiamato da Pio X a Roma, è dapprima, nel 1912, Vice-prefetto, e successivamente, nel 1914, Prefetto della Biblioteca Vaticana.
La missione in Polonia
Nel 1918 papa Benedetto XV lo nominò visitatore apostolico per la Polonia e la Lituania e successivamente, nel 1919, nunzio apostolico (cioè rappresentante diplomatico presso la Polonia) e fu elevato al rango di arcivescovo con il titolo in partibus infidelium di Lepanto. Fu il primo nunzio apostolico nella Seconda Repubblica Polacca.
La sua missione lo portò ad affrontare la difficile situazione verificatasi con l'invasione sovietica nell'agosto del 1920 per i problemi creati dalla formulazione dei nuovi confini dopo la I Guerra Mondiale. Entrato a Varsavia, occupata dalle truppe germaniche, fu costretto, nonostante il suo desiderio di rimanere, a lasciare la città per l'imminente attacco dei sovietici. Ratti chiese a Roma di restare a Varsavia prossima all'assedio ma Benedetto XV, temendo per la sua vita, gli ordinò di raggiungere il governo polacco in esilio, cosa che fece dopo che si erano ritirate tutte le altre postazioni diplomatiche. Fu in seguito nominato Alto Commissario ecclesiastico per il plebiscito nell'Alta Slesia, plebiscito che si doveva svolgere tra la popolazione per scegliere fra l'adesione alla Polonia o alla Germania. Nella regione era forte la presenza del clero tedesco (sostenuto dall'arcivescovo di Breslavia cardinale Bertram), che spingeva per il ricongiungimento con la Germania. Il governo polacco, allora, chiese al Papa di nominare un rappresentante ecclesiastico che fosse al di sopra delle parti, in grado di garantire l'imparzialità in occasione del plebiscito.
Il compito specifico di Ratti, infatti, era quello di richiamare alla concordia il clero tedesco e quello polacco e, tramite costoro, la popolazione tutta. Avvenne però che l'arcivescovo Bertram vietò ai sacerdoti stranieri della sua diocesi (in pratica i polacchi) di prendere parte al dibattito sul plebiscito. Inoltre Bertram fece sapere di avere avuto l'appoggio della Santa Sede: il Segretario di Stato, cardinale Gasparri, aveva dato l'appoggio a Bertram e al clero tedesco, senza informare però Ratti. Non solo Ratti dovette subire questo sgarbo, ma vide scatenarsi contro di lui la stampa polacca, che lo accusava, ingiustamente, di essere filo-tedesco. Fu pertanto richiamato a Roma e il 4 giugno 1921 Ratti lasciò la Polonia. Nonostante ciò i suoi successi furono molto più rilevanti e ricordati nel tempo nelle comunità slave; in particolare quando ottenne la liberazione di Eduard von der Ropp, arcivescovo di Mahilëu, arrestato dalle autorità sovietiche nell'aprile del 1919. Allo stesso modo destò una vasto eco e grande emozione la storica visita che portò Ratti in Lituania all'inizio del 1920.
Nell'ottobre 1921, una volta divenuto arcivescovo di Milano, dall'Università di Varsavia ricevette la laurea honoris causa in teologia. In questo periodo nel cardinale Ratti probabilmente si venne a formare la convinzione[2] che il pericolo principale dal quale la Chiesa cattolica si doveva difendere fosse il bolscevismo. Di qui la cifra che spiega il suo operato successivo: la sua politica sociale volta a contendere le masse al comunismo ed ai nazionalismi.
Arcivescovo di Milano
Nel 1921 Achille Ratti venne nominato arcivescovo di Milano, divenendo cardinale nel concistoro del 13 giugno.
Il conclave
Per approfondire, vedi la voce Conclave del 1922 |
Achille Ratti fu eletto papa il 6 febbraio 1922 alla quattordicesima votazione. Il conclave era stato in effetti contrastato: da un lato i conservatori puntavano sul cardinale Merry del Val, ex Cardinal Segretario di Stato di papa Pio X, mentre i cardinali più "liberali" sostenevano il Cardinale Segretario di Stato in carica, il cardinale Pietro Gasparri.
Pontificato
La sua prima enciclica Ubi arcano Dei consilio, del 23 dicembre 1922, manifestò il programma del suo pontificato, peraltro ben riassunto nel suo motto "pax Christi in regno Christi", la pace di Cristo nel Regno di Cristo. Detto altrimenti, a fronte della tendenza a ridurre la fede a questione privata, papa Pio XI pensava invece che i cattolici dovessero operare per creare una società totalmente cristiana, nella quale Cristo regnasse su ogni aspetto della vita. Egli intendeva dunque costruire una nuova cristianità che, rinunciando alle forme istituzionali dell'Ancien Régime, si sforzasse di muoversi nel seno della società contemporanea. Nuova cristianità che soltanto la Chiesa cattolica costituita da Dio e interprete delle verità rivelate era in grado di promuovere.
Questo programma fu completato dalle encicliche, Quas primas (11 dicembre 1925), con la quale fu pure istituita la festa di Cristo Re e Miserentissimus Redemptor (8 maggio 1928), sul culto del Sacro Cuore.
Pio XI procedette a numerose beatificazioni, e canonizzazioni, (per un totale di 496 beati e 33 santi), fra le quali quelle di Bernadette Soubirous, Giovanni Bosco, Teresa di Lisieux, Giovanni Maria Vianney e Antonio Maria Gianelli. Egli nominò pure quattro nuovi dottori della Chiesa: Pietro Canisio, Giovanni della Croce, Roberto Bellarmino e Alberto Magno. In particolare procedette alla beatificazione di 191 martiri, vittime della Rivoluzione francese:
« | Una perturbazione universale durante la quale furono affermati, con tanta arroganza, i diritti dell'uomo. » |
Ratti vide nel mero rientro dei protestanti e ortodossi nella Chiesa cattolica la vera soluzione alla questione ecumenica come scrisse nell'enciclica Mortalium animos del (6 gennaio 1928). Tradizionale fu pure la sua risposta alle questioni di morale sessuale con la Casti Connubii del (31 dicembre 1930).
In campo politico
Pio XI normalizzò i rapporti con lo Stato italiano grazie al Concordato dell'11 febbraio 1929 cui si aggiunsero quelli con numerose nazioni europee. Non pregiudizialmente ostile a Mussolini, Achille Ratti limitò fortemente l'azione del Partito popolare favorendone lo scioglimento, e rinnegò ogni tentativo di Sturzo di ricostituire il partito. Ebbe però ad affrontare controversie e scontri con il fascismo a causa dei tentativi del regime di egemonizzare l'educazione della gioventù e per le ingerenze del regime nella vita della Chiesa.[4] Emise l'enciclica Quas Primas dove veniva stabilita la festa di Cristo Re a ricordare il diritto della religione a pervadere tutti i campi della vita quotidiana: dallo stato, all'economia, all'arte. Per richiamare i laici ad un maggiore coinvolgimento religioso, nel 1923 venne riorganizzata l'Azione Cattolica (di cui disse "questa è la pupilla dei miei occhi").
In campo missionario, si batté per l'integrazione con le culture locali invece dell'imposizione di una cultura occidentale. Pio XI fu estremamente critico anche con il ruolo passivo tenuto in campo sociale dal capitalismo. Nella sua enciclica Quadragesimo Anno del 1931 richiamò l'urgenza delle riforme sociali già indicate quaranta anni prima da papa Leone XIII, inoltre ribadì la condanna del liberalismo e di ogni forma di socialismo.
Economia
Pio XI ritornò più volte nell'enciclica sul legame fra moneta, economia e potere. Nell'enciclica Quadragesimus annus affermò:
« | Nel nostro tempo è ormai evidente che la ricchezza e un immenso potere sono stati concentrati nelle mani di pochi uomini. Questo potere diventa particolarmente irresistibile se esercitato da coloro i quali, poiché controllano e comandano la moneta, sono anche in grado di gestire il credito e di decidere a chi deve essere assegnato. In questo modo forniscono il sangue vitale all'intero corpo dell'economia. Loro hanno potere sull'intimo del sistema produttivo, così che nessuno può azzardare un respiro contro la loro volontà. » | |
(Papa Pio XI, Quadragesimus Annus 106-9, 1931)
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Nell'enciclica Divini Redemptoris Pio XI sviluppa riflessioni abbastanza consuete sulla necessità della sopportazione e della pazienza da parte dei poveri, che devono stimare più i beni spirituali che i beni e i godimenti terreni. E sui ricchi come amministratori di Dio, che devono dare ai poveri quello che loro avanza:
« | I ricchi non devono porre nelle cose della terra la loro felicità né indirizzare al conseguimento di quelle i loro sforzi migliori; ma, considerandosene solo come amministratori che sanno di doverne rendere conto al supremo Padrone, se ne valgano come di mezzi preziosi che Dio loro porge per fare del bene; e non lascino di distribuire ai poveri quello che loro avanza, secondo il precetto evangelico. » | |
(Papa Pio XI, Divini Redemptoris, 44-45, 1937)
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La risoluzione della questione romana
Il primo segno di apertura Pio XI lo aveva manifestato immediatamente dopo l'elezione.
Il novello Pontefice contrariamente ai suoi immediati predecessori - Leone XIII, Pio X e Benedetto XV - decise di affacciarsi alla loggia esterna della Basilica Vaticana, cioè su Piazza San Pietro, sia pur senza dire nulla, limitandosi a benedire la folla presente, mentre i fedeli di Roma gli rispondevano con applausi e grida di gioia. Il gesto "dovuto", ma che si verificava dopo i fatti del 20 settembre 1870, era da considerare di portata storica; ciò accadeva perché Pio XI era convinto che la fine del potere temporale, sia pure in maniera "violenta" era, per la missione della Chiesa nel mondo, la liberazione dalle catene delle passioni umane.
La Questione romana incontrava non solo le preoccupazioni e le speranze dei cattolici in Italia, ma anche di tutti i cattolici del mondo, tanto da indurre zelanti sacerdoti, peraltro missionari, come per esempio don Luigi Orione, a prendere iniziative personali e scrivere più volte al capo del governo fascista, Benito Mussolini; altri sacerdoti intervennero con propri studi presso la Segreteria di Stato Vaticana, nella persona del Delegato del Papa, cardinale Pietro Gasparri.
L'11 febbraio 1929 il Papa fu l'artefice della firma dei Patti Lateranensi tra il cardinale Pietro Gasparri ed il governo fascista di Benito Mussolini. Il 13 febbraio 1929, pronunciò un discorso agli studenti e ai docenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che passò alla storia per una definizione, secondo cui Benito Mussolini sarebbe stato esaltato come «l'uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare»:
« | Le condizioni dunque della religione in Italia non si potevano regolare senza un previo accordo dei due poteri, previo accordo a cui si opponeva la condizione della Chiesa in Italia. Dunque per far luogo al Trattato dovevano risanarsi le condizioni, mentre per risanare le condizioni stesse occorreva il Concordato. E allora? La soluzione non era facile, ma dobbiamo ringraziare il Signore di avercela fatta vedere e di aver potuto farla vedere anche agli altri. La soluzione era di far camminare le due cose di pari passo. E così, insieme al Trattato, si è studiato un Concordato propriamente detto e si è potuto rivedere e rimaneggiare e, fino ai limiti del possibile, riordinare e regolare tutta quella immensa farragine di leggi tutte direttamente o indirettamente contrarie ai diritti e alle prerogative della Chiesa, delle persone e delle cose della Chiesa; tutto un viluppo di cose, una massa veramente così vasta, così complicata, così difficile, da dare qualche volta addirittura le vertigini. E qualche volta siamo stati tentati di pensare, come lo diciamo con lieta confidenza a voi, sì buoni figliuoli, che forse a risolvere la questione ci voleva proprio un Papa alpinista, un alpinista immune da vertigini ed abituato ad affrontare le ascensioni più ardue; come qualche volta abbiamo pensato che forse ci voleva pure un Papa bibliotecario, abituato ad andare in fondo alle ricerche storiche e documentarie, perché di libri e documenti, è evidente, si è dovuto consultarne molti. Dobbiamo dire che siamo stati anche dall'altra parte nobilmente assecondati. E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, o piuttosto disordinamenti, tutte quelle leggi, diciamo, e tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci, tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi. E con la grazia di Dio, con molta pazienza, con molto lavoro, con l’incontro di molti e nobili assecondamenti, siamo riusciti « tamquam per medium profundam eundo » a conchiudere un Concordato che, se non è il migliore di quanti se ne possono fare, è certo tra i migliori che si sono fin qua fatti; ed è con profonda compiacenza che crediamo di avere con esso ridato Dio all’Italia e l’Italia a Dio. » | |
Ma già nel 1922, in occasione di una intervista concessa al giornalista francese Luc Valti (pubblicata integralmente nel 1937 su "L'illustration"), il cardinale Achille Ratti dichiarò:
« | Mussolini fa rapidi progressi, e con la sua forza elementare abbatterà tutto ciò che gli sbarra la strada. Mussolini è un uomo meraviglioso. Mi sentite? Un uomo meraviglioso! È un neo-convertito. Viene dall'estrema sinistra e possiede il fervore trascinante dei novizi [...] Il futuro appartiene a lui», aggiungendo in seguito: «Bisognerà però vedere come tutto questo andrà a finire e che uso farà della sua forza. Che orientamento avrà, il giorno in cui dovrà scegliere di averne uno? Resisterà alla tentazione, che insidia tutti i capi, di ergersi a dittatore assoluto? » | |
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Il 31 ottobre 1926 l'adolescente Anteo Zamboni aveva sparato a Mussolini, a Bologna, mancando il bersaglio. Papa Ratti attribuirà il fallimento dell'attentato ad un intervento divino, condannando:
« | Tale criminale attentato il cui solo pensiero ci rattrista... e ci fa rendere grazie a Dio del suo fallimento. » |
L'anno successivo Pio XI si riferì all'episodio:[6].
« | L'uomo che dirige le sorti del Paese con tanta energia... » |
a seguito del fatto che fosse sfuggito al pericolo di
« | ..farlo perire, e il Paese con lui. » |
Con il Concordato, stipulato nel palazzo di San Giovanni in Laterano, e costituito da tre atti distinti, veniva data alla Santa Sede la sovranità sullo Stato della Città del Vaticano, riconoscendolo come soggetto del diritto internazionale e come enclave nella città di Roma, in cambio dell'abbandono da parte del Vaticano di pretese territoriali sul precedente Stato Pontificio; mentre la Santa Sede riconosceva il Regno d'Italia con la capitale a Roma. A compensazione delle perdite territoriali e come supporto nel periodo transitorio, il governo garantiva un trasferimento di denaro consistente in 750 milioni di lire in contanti e di un miliardo in titoli di Stato al 5 per cento che, investito da Bernadino Nogara sia in immobili che in attività produttive, pose le basi per l'attuale struttura economica del Vaticano. Il trattato richiamava inoltre l'articolo 1 dello Statuto Albertino, riaffermando la religione cattolica come la sola religione di Stato. I Patti Lateranensi imponevano ai vescovi di giurare fedeltà allo Stato italiano, ma soprattutto stabilivano alcuni sostanziosi privilegi per la Chiesa cattolica: al matrimonio religioso venivano riconosciuti effetti civili e le cause di nullità ricadevano sotto i tribunali ecclesiastici; l'insegnamento della dottrina cattolica, definita "fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica",[7] diventava obbligatorio nelle scuole elementari e medie; i preti spretati o colpiti da censura ecclesiastica non potevano ottenere o conservare alcun impiego pubblico nello Stato italiano. Per il regime fascista i Patti Lateranensi costituirono una preziosa legittimazione[8].
In segno di riconciliazione, nel luglio successivo, il Papa uscì in processione eucaristica solenne in piazza San Pietro. Un avvenimento del genere non accadeva dai tempi di Porta Pia. La prima uscita dal territorio della Città del Vaticano avvenne invece il 21 dicembre dello stesso anno quando, di primissima mattina, il Pontefice si recò, scortato da poliziotti italiani in bicicletta, alla basilica di San Giovanni in Laterano, per prendere ufficialmente possesso della sua cattedrale. Nel 1930 - a un anno di distanza dalla firma dei Patti Lateranensi - l'anziano cardinal Pietro Gasparri si dimise, e fu sostituito dal cardinale Eugenio Pacelli, futuro Papa Pio XII.
I rapporti con il mondo della scienza
Appassionato delle scienze fin dalla gioventù e attento osservatore dello sviluppo tecnologico, fondò la Radio Vaticana; grazie alle apparecchiature costruite da Guglielmo Marconi, il 12 febbraio 1931 trasmise il primo radiomessaggio di un Papa indirizzato "a tutte le genti e ad ogni creatura":
« | ... Nel rivolgerci poi agli uomini, Ci comanda l'apostolo di fare del bene a tutti, ma specialmente ai domestici della fede (Gal 6, 10 ). Conviene dunque che Noi indirizziamo la Nostra parola prima che agli altri, a tutti coloro che, facendo parte della famiglia e dell'ovile del Signore, che è la Chiesa Cattolica, Ci chiamano col dolce nome del Padre: ai padri e ai figli, Ci rivolgiamo, alle pecorelle ed agli agnelli, a tutti quelli che il Pastore e Re supremo Cristo Gesù Ci ha affidati per pascerli e guidarli (Gv 21, 15 ;Mt 16, 19 )...... » | |
Modernizzò la Biblioteca Vaticana e ricostituì con la collaborazione di padre Agostino Gemelli nel 1936 la Pontificia Accademia delle Scienze, ammettendovi anche personalità non cattoliche e pure non credenti.
La morte e il discorso scomparso
Nel febbraio 1939 Pio XI convocò a Roma tutto l'episcopato italiano in occasione del I decennale della "conciliazione" con lo Stato Italiano, del XVII anno del suo pontificato e il 40° anno del suo sacerdozio. Nei giorni 11 e 12 febbraio egli avrebbe pronunciato un importante discorso, preparato da mesi, che sarebbe stato il suo testamento spirituale e dove, probabilmente, avrebbe denunciato la violazione dei Patti Lateranensi da parte del governo fascista e le persecuzioni razziali in Germania. Tale discorso è rimasto segreto fino al pontificato di papa Giovanni XXIII quando nel 1959 vennero pubblicate alcune parti. Egli infatti morì per un attacco cardiaco dopo una lunga malattia,[10] nella notte del 10 febbraio 1939. È ormai assodato che il testo dell'enciclica fu fatto distruggere per ordine di Pacelli[11], al tempo Cardinal Segretario di Stato che auspicava di intraprendere nuove e più pacate relazioni con la Germania e l'Italia.
Nel settembre 2008, un congresso organizzato a Roma dalla Pave The Way Foundation sull'operato di Pio XII nei confronti degli ebrei ha riportato la questione dei rapporti tra il Vaticano e le dittature totalitarie nell'interesse dei media. Un'ex dirigente della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, Bianca Penco (vice-presidente della federazione tra il 1939 e il 1942 e presidente nazionale insieme a Giulio Andreotti e Ivo Murgia tra il 1942 e il 1947), ha rilasciato un'intervista al Secolo XIX in cui parla della questione.
Secondo il racconto della Penco, Pio XI avrebbe ricevuto alcuni esponenti di spicco della federazione nel febbraio del 1939, annunciando a questi che aveva preparato un discorso che era intenzionato a tenere l'11 febbraio, in occasione del decennale del Concordato: questo discorso sarebbe stato critico nei confronti del nazismo e del fascismo, e avrebbe anche contenuto riferimenti alle persecuzioni dei cristiani che in quegli anni avvenivano in Germania. Il Papa, secondo l'intervista, avrebbe dovuto anche annunciare un'enciclica contro l'antisemitismo. Ma Achille Ratti morì la notte prima, il 10 febbraio e Pacelli, al tempo Cardinal Segretario di Stato e dopo poco meno di un mese eletto al pontificato come papa Pio XII, avrebbe deciso di non divulgare il contenuto di questi documenti. La Penco afferma anche che dopo la morte di papa Ratti, alle richieste dei rappresentanti della FUCI di avere informazioni sul destino del discorso che avevano potuto osservare in anteprima, l'esistenza stessa di questo sarebbe stata negata. [12]
Sulla base di un presunto memoriale del cardinale Tisserant ritrovato nel 1972, prese corpo la leggenda che Pio XI fosse stato avvelenato per ordine di Benito Mussolini, il quale avendo avuto sentore della possibilità di essere condannato e forse scomunicato avrebbe incaricato il professore medico Francesco Petacci di avvelenare il Pontefice. Questa teoria, seccamente smentita dal cardinale Carlo Confalonieri, segretario personale di Pio XI, è stata inoltre esclusa dalla nota studiosa Emma Fattorini, reputando la tesi come un eccesso di immaginazione che non ritrova il minimo riscontro nell'attuale documentazione. Inoltre il medico Francesco Petacci non ebbe accesso alla stanza del Pontefice se non dopo la sua morte[13].
Aspetti controversi
I rapporti con il Partito Popolare Italiano
Per approfondire, vedi la voce Dimissione di Don Sturzo dal PPI |
Papa Ratti il 2 ottobre 1922, poco prima dell'avvento del fascismo, in seguito alla Marcia su Roma, inviò un documento in cui invitò tutti gli ecclesiastici a non collaborare con nessun partito politico, neanche con quelli di matrice cattolica. In particolare dagli archivi è stata ritrovata la lettera, in cui si invitava don Luigi Sturzo a rassegnare le dimissioni dalla carica di segretario del Partito Popolare Italiano, dimissioni date effettivamente il 10 luglio 1923. Dopo le dimissioni di Sturzo, Mussolini poté affermare che questi era l'uomo sbagliato dentro un partito di "cattolici che invece desiderano il bene dello Stato". Il Partito Popolare Italiano entrò in una profonda crisi che ne indebolì le posizioni in parlamento e nel paese. Nel 1926 il partito fu ufficialmente dichiarato disciolto. Il Papa aveva sempre nutrito scarsa fiducia nei partiti politici di qualunque orientamento e riteneva più giusto mantenere rapporti direttamente con gli Stati sovrani. Soprattutto in Italia dove l'apparente vicinanza ideologica del Partito Nazionale Fascista garantiva il rispetto dei valori cari alla Chiesa cattolica tramite la restaurazione dell'ordine e dell'autorità[14].
Nell'ottobre 1938 nacque un contenzioso a Bergamo tra il federale locale e l'Azione Cattolica: Achille Starace intervenne rimuovendo il federale, ma ottenendo in cambio la rimozione di alcuni responsabili dell'Azione Cattolica già membri del Partito Popolare Italiano. Lo stesso Pontefice mostrò meraviglia per il fatto che costoro fossero stati chiamati ai vertici locali dell'associazione[15].
I rapporti con il regime fascista
Achille Ratti diventa papa nel 1922, lo stesso anno che vede l'ascesa al potere di Mussolini. La Questione romana è ancora aperta e il papa come primo atto del suo pontificato decide d'impartire la benedizione apostolica dalla loggia centrale della basilica di San Pietro, rimasta chiusa in segno di protesta sin dalla breccia di Porta Pia. Sono anni quelli in cui da entrambe le parti, quella italiana e quella vaticana, si tenta di giungere ad una pacificazione, pacificazione che effettivamente si avrà con la firma dei Patti Lateranensi nel 1929. Sbaglierebbe però chi pensasse che dopo il 1929 i rapporti tra la Santa Sede e il Governo Italiano furono privi di tensioni, anche molto gravi. E in effetti le relazioni tra il Vaticano e il Fascismo durante il pontificato di Pio XI furono contrassegnati da alti e bassi.
All'indomani della firma dei Patti Lateranensi, Pio XI indicò Mussolini come un uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare, poi interpretato come L'uomo della Provvidenza; le parole esatte furono[16]:
« | Siamo stati nobilmente aiutati dall'altra parte. Forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci, tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi » |
Secondo Messori, con queste parole, Pio XI intendeva dire che Mussolini non aveva i pregiudizi che avevano portato tutti i precedenti negoziatori a rifiutare qualsiasi accordo che prevedesse una sovranità territoriale per la Santa Sede.
Secondo gli antifascisti l'accordo costituì una grande vittoria morale del fascismo che diede legittimazione politica al regime e permise di ampliarne il consenso. Secondo gli intellettuali liberali, e segnatamente Benedetto Croce e Luigi Albertini, il senatore fascista professor Scialoja (che ne avversarono in Senato l'approvazione) con i Patti Lateranensi lo Stato rinunciava al principio dell'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
Secondo i democratici cristiani e piccoli nuclei cattolici i Patti costituirono un forte momento di crisi, in quanto questi esponenti politici ritenevano inconcepibile l'alleanza tra la Chiesa cattolica e un regime incompatibile con i principi cristiani.
Dopo il 1929, tuttavia, il regime fascista non mancò, venendo meno, tra l'altro allo spirito della conciliazione appena raggiunta, d'interferire pesantemente in questioni di primaria importanza per la dottrina cattolica, in primo luogo l'educazione della gioventù.
Pio XI si trovò così - non più di due anni dopo la firma dei Patti Lateranensi - già in rotta di collisione con il Duce in primis a causa del ruolo della Chiesa nell'educazione dei giovani, che il regime voleva vieppiù ridurre. Alla chiusura da parte del governo nel 1931 delle sedi dell'Azione Cattolica - spesso oggetto di violenze e devastazioni da parte di gruppi fascisti - il Papa rispose duramente con l'enciclica (scritta in italiano e non in latino) Non Abbiamo Bisogno, nella quale, stigmatizzando la crescente statolatria, mette in evidenza il contrasto tra la fedeltà al vangelo di Cristo e alla ideologia fascista. Il Papa così si esprime in un passo dell'enciclica:
« | Or eccoci in presenza di tutto un insieme di autentiche affermazioni e di fatti non meno autentici, che mettono fuori di ogni dubbio il proposito — già in tanta parte eseguito — di monopolizzare interamente la gioventù, dalla primissima fanciullezza fino all’età adulta, a tutto ed esclusivo vantaggio di un partito, di un regime, sulla base di una ideologia che dichiaratamente si risolve in una vera e propria statolatria pagana non meno in pieno contrasto coi diritti naturali della famiglia che coi diritti soprannaturali della Chiesa » |
Il conflitto venne poi sanato con rinunce da entrambe le parti: da un lato il Papa riorganizzava l'Azione Cattolica eliminando i dirigenti in odore di antifascismo, sottoponendola al diretto controllo dei vescovi e vietandone l'azione sindacale; dall'altro Mussolini licenziava Giovanni Giuriati (in quanto maggiormente esposto con l'azione di forza) e accettava l'idea che l'Azione Cattolica (una volta ridimensionata al campo esclusivamente religioso) potesse continuare ad esistere.
Dopo alcuni anni di relativa calma, il progressivo avvicinarsi dell'Italia fascista alla Germania nazista con - fra l'altro - la copiatura delle dottrine e politiche razziste, raffreddò nuovamente i rapporti tra Santa Sede e il Regime. La disputa, pur concentrandosi soprattutto sul riconoscimento dei matrimoni misti, peraltro assai pochi[17], aveva ad oggetto l'intera questione del razzismo, palesemente in contrasto con il concetto di universale fratellanza proprio del Cristianesimo. Il Decreto legge impediva ai cittadini ariani il matrimonio civile con persone di altra razza e quindi che il matrimonio religioso non potesse essere trascritto nei registri dello Stato civile[18].
Il 15 luglio 1938, il giorno dopo la pubblicazione del Manifesto degli Scienziati razzisti, Pio XI, in udienza alle suore di Notre-Dame du Cénacle, condanna il razzismo come una vera e propria apostasia. Quell'allocuzione inaugura una serie di interventi di Pio XI molto severi contro il razzismo[19].
Dopo la promulgazione delle Leggi razziali in Italia Pio XI così si espresse in un'udienza privata al padre gesuita Tacchi-Venturi:
« | Ma io mi vergogno...mi vergogno di essere italiano. E lei padre [il gesuita Tacchi-Venturi] lo dica pure a Mussolini!Io non come papa ma come italiano mi vergogno!Il popolo italiano è diventato un branco di pecore stupide. Io parlerò, non avrò paura. Mi preme il Concordato, ma più mi preme la coscienza[20]. » |
E il 6 settembre 1938 in un'udienza concessa ai collaboratori della Radio cattolica belga disse le famose parole:
« | Ma l'antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti[21]. » |
Questa tematica occuperà un posto importante nella riflessione dell'ultimo Pio XI tanto da giungere a progettare un'enciclica contro il razzismo, la Humani generi unitas, che però mai verrà pubblicata a causa della morte del pontefice[22].
Pio XI morì alla vigilia del giorno, decennale della Conciliazione, in cui avrebbe dovuto pronunciare un importante discorso all'assemblea dei vescovi italiani riuniti per l'occasione. Tale discorso, del quale conosciamo il testo in quanto reso noto da Giovanni XXIII, pur essendo severo con il Fascismo, era un tentativo di dare "un colpo di freno", come nel 1931, alla violenza fascista.
I rapporti con la Germania nazionalsocialista
Nella conferenza di Fulda di marzo 1933, con una pubblica dichiarazione redatta dal cardinale Bertram e approvata dal cardinale Faulhaber, i vescovi tedeschi ritrattarono i divieti e le riserve precedentemente formulati nei confronti del nazismo: i membri del movimento e del partito nazionalsocialista potevano essere ammessi ai sacramenti; "membri del partito in uniforme possono essere ammessi ai servizi divini e ai sacramenti anche se si presentano in gruppi numerosi". Funzioni speciali per organizzazioni politiche in generale si dovevano evitare, ma questo non si riferiva a occasioni patriottiche in generale: in tali occasioni disposte dallo Stato, le campane delle chiese potevano essere suonate su autorizzazione delle autorità diocesane. A una riunione del consiglio dei ministri bavarese il 24 aprile, il primo ministro poté riferire che il cardinale Faulhaber aveva dato ordine al clero di appoggiare il nuovo regime che godeva della fiducia dello stesso cardinale[23].
Il 20 luglio 1933, pochi mesi dopo l'ascesa di Adolf Hitler al potere, fu ratificato un concordato con la Germania dopo anni di trattative - seguite in primis dal cardinal segretario di Stato Pacelli, il quale era stato per anni nunzio in Germania, ma negli anni successivi i nazisti non rispettarono minimamente le clausole del concordato di garanzia[24].
Per poter correttamente valutare l’importanza che assunse la stipula del Concordato tra la Santa Sede e la Germania nazista è necessario ricordare che il Reichskonkordat fu il primo importante trattato di diritto internazionale del governo di Hitler e un successo non trascurabile della sua politica estera: se anche la Santa Sede, quale indubbia potenza in ambito morale, non disdegnava stipulare trattati con i nazionalsocialisti, allora anche per gli Stati secolari non ci sarebbero più stati ostacoli a intrattenere rapporti con il governo hitleriano[25]. A tal proposito il cardinale Michael von Faulhaber ammise che «Papa Pio XI è stato il primo sovrano straniero a concludere con il nuovo governo del Reich un solenne concordato, guidato dal desiderio di rafforzare e promuovere gli esistenti rapporti cordiali tra la Santa Sede e il Reich tedesco», continua Faulhaber che «In realtà papa Pio XI è stato il migliore amico, all'inizio addirittura l'unico amico del nuovo Reich. Milioni di persone all'estero avevano inizialmente un atteggiamento di attesa e diffidenza verso il nuovo Reich e solo grazie alla stipula del concordato hanno acquistato fiducia nel nuovo governo tedesco»[26].
Anche Adolf Hitler espresse giubilante la sua soddisfazione per la conclusione del Concordato nel Consiglio dei Ministri del 14 luglio: ancora nel giorno della sua presa di potere egli giudicava impossibile di poter raggiungere così rapidamente tale risultato; egli vedeva nel Concordato un riconoscimento senza riserve del regime nazionalsocialista da parte del Vaticano[27]. Hitler vi ricercava un riconoscimento internazionale indubbiamente prestigioso, l'apparenza di un avallo del suo regime, che evitasse ogni isolamento diplomatico della Germania; perseguiva inoltre un ulteriore rafforzamento del proprio potere, grazie all'allargamento del consenso dei cattolici che ne sarebbe seguito, e l'eliminazione del Centro come partito organizzato, sostenuto dalla gerarchia e animato da una larga presenza del clero. Con il Reichskonkordat, affermò Hitler, «si offre alla Germania un'opportunità e si crea un'atmosfera di fiducia di particolare importanza nella decisiva lotta contro l'ebraismo internazionale». Replicando alle perplessità di quanti avrebbero desiderato una più precisa individuazione e separazione delle rispettive sfere di competenza dello Stato e della Chiesa, egli ribadì il concetto che «si tratta di un così eccezionale successo, rispetto al quale ogni obiezione critica deve venir meno». E più volte ripeté che ancora poco tempo prima egli l'avrebbe ritenuto impossibile[28].
Secondo il cardinale Pacelli la firma del Concordato non implicava un riconoscimento dell'ideologia nazionalsocialista, in quanto tale, da parte della curia. Era invece tradizione della Santa Sede quella di trattare con tutti i partner possibili - ovvero anche con sistemi totalitari - per tutelare la Chiesa e garantire l'assistenza spirituale[29].
Subito dopo la ratifica del Concordato ebbero inizio le prime schermaglie tra Chiesa cattolica e regime nazionalsocialista, sotto forma di proteste non di rado decise e categoriche, ma sempre intraprese con l’accortezza, da parte delle alte gerarchie del clero cattolico, di evitare uno scontro frontale e una rottura aperta con il regime. Gli elementi ideologici più frequentemente presi di mira furono in primo luogo le violazioni del Concordato, seguite dalle derive neo-pagane di alcune frange del regime e dal tentativo di creare una chiesa nazionale cristiana, unificata e distaccata da Roma. Ma il riconoscimento concesso al regime nei mesi precedenti (di cui il Concordato rappresenta un atto decisivo), aveva condizionato queste prime proteste che finirono per essere diluite in una serie di dichiarazioni, di silenzi, di atti, di soprassalti di protesta alternati a reticenze e a tentativi di riavvicinamento[30].
Il 24 gennaio 1934 Hitler delegò ad Alfred Rosenberg la formazione e l'educazione dei giovani nazisti e tutte le attività culturali del partito, nominandolo DBFU[31]. Pochi giorni dopo, il 9 febbraio, Pio XI mise all'Indice la sua principale opera Il Mito del XX secolo, un best seller dell'epoca (pubblicato sin dal 1930) e, assieme al Mein Kampf, la principale opera ideologica del nazismo; tuttavia la Santa Sede non mise mai gli scritti di Hitler all'indice e fino alla fine del suo governo il Führer rimase membro della Chiesa, cioè non fu mai scomunicato[32]. Nel libro Rosenberg auspicava che la Germania ritornasse al paganesimo e attaccava la razza ebraica e di conseguenza il Cristianesimo, erede del Giudaismo. L'opera era studiata nelle scuole e nelle organizzazioni giovanili naziste. La condanna, inoltre, fu eccezionalmente accompagnata da una motivazione che ne esplicitava il significato.
Rosenberg rispose con un nuovo libro: Agli oscurantisti del nostro tempo. Una risposta agli attacchi contro "Il Mito del XX secolo". Anche questo libro fu messo all'indice da Pio XI il 17 luglio 1935. Poco prima si era tenuto a Münster il congresso del partito nazista. Von Galen, vescovo della città, si era inutilmente opposto alla presenza in città di Rosenberg con una lettera indirizzata alle autorità politiche locali. Rosenberg colse l'occasione per attaccare Von Galen e gli occasionali episodi di opposizione nei confronti di alcuni aspetti del nazionalsocialismo.
Ma già nel gennaio 1936, una lettera pastorale congiunta giungeva a precisare che, se anche la Chiesa proibiva ai fedeli la lettura di determinati libri, periodici e giornali, essa non voleva con questo violare le prerogative dello Stato o del partito[33]. E lo stesso vescovo Von Galen aveva dichiarato, nel 1935, ai decani della diocesi di Münster: «Non è compito nostro giudicare l'organizzazione politica e la forma di governo del popolo tedesco, le misure e i procedimenti adottati dallo Stato; non è compito nostro rimpiangere forme di governo passate e criticare l'attuale politica dello Stato»[34]
Nel 1937, a seguito delle continue interferenze del nazismo sulla vita dei cattolici e per il sempre più evidente carattere neo-pagano dell'ideologia nazista, il Papa emise l'enciclica Mit brennender Sorge (con viva preoccupazione) , scritta eccezionalmente in tedesco e non in latino, con la quale condannava fermamente alcuni aspetti dell'ideologia nazista, seguita dopo poco dalla Divini Redemptoris, con un'analoga condanna dell'ideologia comunista. Le proteste del governo tedesco furono molto dure come quella inviata dall'ambasciatore tedesco Von Bergen il 12 aprile a cui replicò Pacelli. La crisi tra Santa Sede e Germania è momentanea e destinata a rientrare poiché si sviluppa essenzialmente sul piano spirituale e non politico[35]. Non per nulla l'atto di accusa contro la Germania di Hitler è quello di seguire una politica che può indebolire il fronte antibolscevico. Contemporaneamente Pacelli si adoperò perché il testo dell'enciclica fosse diffuso nella maniera più capillare possibile. In Germania il governo procedette alla chiusura di tipografie ed archivi diocesani prelevandone molto materiale. A ciò la Sante Sede rispose dando disposizioni di bruciare tutti i documenti riservati[36]. Le relazioni tra governo tedesco e Vaticano raggiungono la fase più acuta quando il 18 maggio 1937 il cardinale di Chicago George Mundelein durante un discorso pubblico definisce Hitler come "un imbianchino austriaco e per giunta inetto", in seguito alle vibranti proteste tedesche la Santa Sede rispose circa l'inopportunità dei toni usati dal cardinale americano ma facendo attenzione a non smentirlo[37].
Nel maggio del 1938, quando Hitler visitò Roma non prese in considerazione una eventuale visità dal Papa, così il Pontefice si recò a Castel Gandolfo dopo aver fatto chiudere i Musei Vaticani e spegnere le luci del Vaticano. La chiusura dei Musei e dell'accesso alla Basilica fu decisa dal Pontefice per palesare la polemica assenza del Pontefice dalla città. La studiosa Emma Fattorini riporta che "da parte di Hitler non si fosse manifestato il minimo interesse per un incontro", d'altronde il Papa sarebbe stato disponibile ad un incontro se ciò avesse avuto uno spirito conciliante[38].
Disse in seguito "è tra le tristi cose questa: l'inalberare a Roma, il giorno della Santa Croce, l'insegna di un'altra croce che non è la croce di Cristo", riferendosi alle numerose svastiche che Mussolini fece esporre a Roma in omaggio a Hitler.
Egli aveva inoltre previsto l'emanazione di un'altra enciclica - la Humani Generis Unitas (l'unità della razza umana), che condannava in modo ancora più diretto l'ideologia nazista della razza superiore. Il Papa aveva incaricato per la redazione dell'enciclica il gesuita americano John La Farge, che già si era occupato di tematiche razziali inerenti alla situazione negli Stati Uniti d'America. Questi, sentendo il compito al di sopra delle sue sole capacità, chiese aiuto al suo diretto superiore, il generale della Compagnia di Gesù, il padre Włodzimierz Ledóchowski, il quale gli affiancò il gesuita tedesco Gustav Gundlach e il gesuita Gustave Desbuquois. Tale enciclica venne completata ma mai firmata da papa Ratti a causa della sua morte. Alcuni concetti dell'enciclica furono tuttavia ripresi da Pio XII nell'enciclica Summi Pontificatus.
I rapporti con il comunismo
Come era logico attendersi le valutazioni di Pio XI sul comunismo non potevano che essere negative. In questo rispecchiando la coerenza della chiesa cattolica che ha sempre valutato l'ideologia comunista come antitetica al messaggio cristiano.
Nel 1937, anche in seguito alla vittoria delle sinistre in Francia, guidate dal socialista Leon Blum, il Papa emise l'enciclica Divini Redemptoris. Già precedentemente il Papa aveva espresso preoccupazione per i progressi che l'ideologia comunista faceva nella società e in particolare presso i cattolici[39]. A differenza del testo Mit brennender Sorge, pubblicato pochi giorni prima, conosciamo una ampia documentazione che permette di conoscerne le diverse stesure. Con ogni probabilità, come attestano gli appunti di monsignor Valentini e Pizzardo, l'ispiratore dell'enciclica fu una lettera del generale dei gesuiti il conte Wlodzimierz Ledochowski, il quale comunque ne seguì costantemente la stesura. L'enciclica già conclusa il 31 gennaio 1937 fu ufficialmente pubblicata il 19 marzo. Immediatamente suscitò l'apprezzamento entusiastico dei vari movimenti di destra europei tra cui l'Action Française di Charles Maurras che a quel tempo era scomunicata.
Guerra civile spagnola
In Spagna il Fronte popolare di ispirazione marxista-leninista aveva apertamente coinvolto le sue forze anche contro la Chiesa cattolica. Pio XI comunque non poté, fino ad una fase avanzata del conflitto spagnolo, riconoscere i franchisti e il loro governo, nonostante il governo del Fronte popolare avesse promosso una violenta persecuzione della Chiesa cattolica con devastazioni di chiese, uccisioni e torture di religiosi, e addirittura saccheggi di tombe degli ecclesiastici. Questo riconoscimento era ostacolato anche dal fatto che il Fronte popolare era ancora l'unico ufficialmente riconosciuto a livello internazionale. Per sua regola inoltre la Santa Sede non ritira mai il nunzio apostolico da nessuno stato se non vi è costretta[40].
Essendo parte in conflitto in quanto attaccata dal Fronte popolare, la Chiesa cattolica non poté condannare le violenze effettute della opposta fazione dei repubblicani, e cioè da parte franchista (il bombardamento di Guernica in primis). Dopo l'abolizione della legislazione anticlericale dei repubblicani ad opera di Franco ad inizio 1938, i rapporti tuttavia migliorarono e il suo successore Pio XII avrebbe ricevuto in udienza particolare i combattenti Falangisti.
Vi è da precisare che nei documenti vaticani inerenti ai rapporti tra Pio XI e la Spagna franchista emerge chiaramente un atteggiamento decisamente negativo nei confronti delle pesanti violenze comuniste del Fronte popolare contro la Chiesa, anche se emerge chiaramente l'ostilità del Papa nei confronti di Francisco Franco.
Si vedano a questo proposito le pubblicazioni dello storico spagnolo Vicente Cárcel Ortí, che ha studiato e portato alla luce documenti inediti degli Archivi Segreti del Vaticano, dimostrando non solo che la Chiesa cattolica manifestò chiaramente ostilità nei confronti di Francisco Franco, ma anche riuscì - nelle persone di Papa Pio XI e di alcuni Vescovi spagnoli - a convincerlo a risparmiare la vita di migliaia di repubblicani condannati a morte[41]. Il Papa nutre preoccupazione e non condivide la posizione dei cattolici baschi che già all'epoca rivendicando l'autonomia si erano di fatto alleati con i repubblicani spagnoli[42].
Il 16 maggio 1938 avviene il riconoscimento ufficiale del governo di Franco tramite l'invio del nunzio apostolico a Madrid nella persona del monsignor Gaetano Cicognani.
La questione messicana
Un'altra spina per papa Ratti fu rappresentata dalla politica fortemente anticlericale del governo messicano. Già nel 1914 furono iniziate vere persecuzioni nei confronti del clero e fu proibito ogni culto religioso (conseguentemente furono chiuse anche le scuole cattoliche). La situazione peggiorò nel 1917 sotto la presidenza Venustiano Carranza. Nel 1922 il nunzio apostolico fu espulso dal Messico. Le persecuzioni contro i cristiani portarono alla rivolta dei "cristeros" il 31 luglio 1926 a Oaxaca. Nel 1928 si sancì un accordo che riammetteva il culto cattolico ma non essendo stati rispettati i termini dell'accordo Pio XI condannò tali misure nel 1933 con l'enciclica Acerba Anima. Rinnovò la condanna nel 1937 con l'enciclica Firmissimam Constantiam.
I rapporti con gli ebrei
Le radici antigiudaiche dell’antisemitismo si intrecciano di continuo nella storia della Chiesa, l’uno condizionando l’altro, ed è veramente difficile, se non impossibile, determinare con precisione in ogni momento se e quanto l’antisemitismo appartenga alla Chiesa cattolica e quanto invece le sia esterno, pur essendo stato non poco influenzato dalla tradizione del deicidio[43].
In veste di Nunzio in Polonia, nel periodo immediatamente successivo alla prima guerra mondiale, e durante la maggior parte del suo pontificato, Achille Ratti espresse evidenti atteggiamenti antiebraici, assecondando una plurisecolare tradizione ancora profondamente radicata nella Chiesa cattolica. Solo negli ultimi anni della sua vita il pontefice mutò atteggiamento determinando seri dissidi con la curia romana, con il periodico dei gesuiti romani La Civiltà Cattolica, con il quotidiano del vaticano L'Osservatore Romano e, probabilmente, con il suo segretario di Stato Eugenio Pacelli, che non condividevano la svolta di papa Ratti, favorevole nei confronti degli ebrei[44].
Achille Ratti giunse in Polonia in un periodo in cui il crescente odio dei cattolici polacchi nei confronti degli ebrei, stava determinando sempre più frequenti atti di persecuzione che sfociarono in una serie di violenti pogrom, con case e sinagoghe distrutte, ruberie, percosse, centinaia di uccisioni e persino alcuni ebrei bruciati vivi. Resoconti delle atrocità contro gli ebrei polacchi cominciarono a diffondersi in tutta Europa e nel Nord America e un numero sempre maggiore di giornali attribuì i massacri, almeno in parte, alla Chiesa polacca. Achille Ratti non accennò ad alcuna reazione di fronte a tali violenze. L'esame delle sue attività nei mesi successivi rivela che, al contrario, fece di tutto per bloccare qualsiasi azione del Vaticano mirante a scoraggiare le violenze[45] Nel rapporto che Ratti inviò alla Santa Sede, successivo ai pogrom, si evidenziava l'eccessiva influenza che avevano gli ebrei in Polonia: «È invece grande e massima la loro importanza economica, politica, sociale». In un successivo rapporto Ratti individuava negli ebrei i più grandi nemici del cristianesimo e del popolo polacco: «Una delle più nefaste e delle più forti influenze che qui si facciano sentire, forse la più forte e la più nefasta, è quella che viene esercitata de’ Giudei»[46]. In altre note inviate in Vaticano monsignor Ratti informava che: «Gli ebrei in Polonia, contrariamente a quelli che vivono altrove nel mondo civile, sono elementi improduttivi. È una razza di negozianti per eccellenza», ed aggiungeva: «la gran maggioranza della popolazione ebraica è immersa nella povertà più nera». A parte un numero relativamente esiguo di artigiani, la razza ebraica «consiste di piccoli commercianti, affaristi e usurai - o per essere più precisi tutt’e tre le cose contemporaneamente - che vivono dello sfruttamento della popolazione cristiana»[47].
A partire dalla seconda metà degli anni Venti, in un clima nel quale pregiudizi antichi convivono con spinte al cambiamento, si assiste all’emergere di una prima grave frattura religiosa e politica interna alla Chiesa. Nel 1928, alla condanna di Action Française, segue la prima importante condanna formale dell’antisemitismo, avvenuta per volere di Pio XI (ove il termine antisemitismo è usato esplicitamente, cosa che non avverrà nella Mit Brennender Sorge, né durante l’intero pontificato di Pio XII). A queste condanne segue la soppressione dell’Opus sacerdotale Amici Israël, (l’Opera sacerdotale Amici di Israele). Sorta nel febbraio del 1926, in antitesi allo spirito antisemita di Maurras (fondatore di Action Française), l’associazione disponeva di un programma rivolto ai preti, contenuto in diversi opuscoli redatti in latino, che cercava di promuovere un atteggiamento nuovo, amorevole verso Israele e gli ebrei, per i quali si sarebbe dovuto evitare qualsiasi accusa di deicidio.
Al fine di operare una riconciliazione con gli ebrei, l'associazione cercava di capovolgere le antiche prese di posizione assunte dalla Chiesa: gli Amici di Israele richiedevano l'abbandono di ogni discorso sul deicidio, sull'esistenza di una maledizione sugli ebrei e sull'assassinio rituale.[48] Un nuovo sentimento che doveva coinvolgere il cuore della gerarchia ecclesiastica e difatti, alla fine del 1927, l'associazione poteva già vantare l'adesione di diciannove cardinali, duecentosettantotto vescovi e arcivescovi e tremila sacerdoti. Il 25 marzo del 1928 la Congregazione per la Dottrina della Fede, emetteva un decreto che ordinava la soppressione di questa associazione in seguito alla sua proposta di riformulare la preghiera del Venerdì Santo (Oremus et pro perfidis Judaeis) e le accuse di "accecamento" in essa contenute, oltre alla proposta di rigetto dell'accusa di deicidio[49]. Il decreto di soppressione papale affermava che il programma dell'associazione non riconosceva «la perdurante cecità di questo popolo», e che il modo di agire e di pensare degli Amici di Israele era «contrario al senso e allo spirito della Chiesa, al pensiero dei santi padri e alla liturgia». Su un articolo apparso immediatamente dopo la soppressione, su la Nouvelle Revue Théologique, padre Jean Levie S.J. ricordava innanzitutto la «parte essenziale» del programma dell'Opera sacerdotale, precisando che tale programma era «chiaramente lodevole» e che «non mostrava niente che non fosse assolutamente conforme all'ideale cattolico».[48]
Pio XI fu il primo professore di seminario a portare i propri allievi ad ascoltare una lezione del rabbino di Milano, il quale rimase sempre suo amico e fu più volte ricevuto in Vaticano. E, nella difficilissima temperie dell'emanazione delle leggi antiebraiche italiane, Pio XI ebbe il coraggio di dichiarare, durante un’udienza tenuta nei giorni della emanazione delle leggi razziali:
« | Spiritualmente siamo tutti semiti.[50] » |
Lo stesso Mussolini, nel discorso di Trieste del settembre del '38, accusò il Papa di difendere gli ebrei (il famoso passaggio "da troppe Cattedre li si difende") e minacciò provvedimenti più severi a loro danno se i cattolici avessero insistito[51]. Ciononostante, in quei giorni quasi tutti i vescovi italiani tennero omelie contrarie al regime e al razzismo.
Encicliche di Pio XI
Per approfondire, vedi la voce Elenco delle encicliche#Pio XI (1922-1939) |
- Ubi Arcano Dei Consilio (23 dicembre 1922)[2]: sulla Pace di Cristo nel Regno di Cristo.
- Rerum Omnium Perturbationem (26 gennaio 1923) [3]: su san Francesco di Sales.
- Studiorum Ducem (29 giugno 1923): su San Tommaso d'Aquino
- Maximam Gravissimamque (18 gennaio 1924)[4]: sulle Associazioni Diocesane in Francia.
- Quas Primas (11 dicembre 1925)[5]: sulla Regalità di Cristo.
- Rerum Ecclesiae (28 febbraio 1926) [6]: sulle missioni cattoliche.
- Rite Expiatis (30 aprile 1926)[7]: su san Francesco d'Assisi.
- Iniquis Afflictisque (18 novembre 1926)[8]: sulla persecuzione della Chiesa in Messico.
- Mortalium Animos (6 gennaio 1928)[9]: sull'unità religiosa.
- Miserentissimus Redemptor (8 maggio 1928)[10]: sulla riparazione al Sacro Cuore.
- Mens Nostra (20 dicembre 1929)[11]: sulla promozione degli esercizi spirituali.
- Divini Illius Magistri (31 dicembre 1929)[12]: sull'educazione cristiana della gioventù.
- Casti Connubii (31 dicembre 1930)[13]: sul matrimonio cristiano.
- Quadragesimo Anno (15 maggio 1931)[14]: nel quarantesimo anniversario della Rerum novarum.
- Non Abbiamo Bisogno (29 giugno 1931)[15]: sull'Azione Cattolica in Italia.
- Nova Impendet (2 ottobre 1931)[16]: sulla crisi economica.
- Caritate Christi Compulsi (3 maggio 1932)[17]: sul Sacro Cuore.
- Acerba Animi (29 settembre 1932)[18]: sulla persecuzione della Chiesa in Messico.
- Dilectissima Nobis (3 giugno 1933)[19]: sull'oppressione della Chiesa in Spagna.
- Ad Catholici Sacerdotii (20 dicembre 1935)[20]: sul sacerdozio cattolico.
- Vigilanti cura (29 giugno 1936)[21]: sul cinema.
- Mit brennender Sorge (14 marzo 1937)[22]: sulla Chiesa e il Reich tedesco.
- Divini Redemptoris (19 marzo 1937)[23]: sul comunismo ateo.
- Firmissimam Constantiam (28 marzo 1937)[24]: sulla situazione religiosa in Messico.
- Ingravescentibus Malis (29 settembre 1937)[25]: sul Rosario.
- Humani Generis Unitas, enciclica preparata, ma mai pubblicata a causa della morte del Papa.
Onorificenze
Onorificenze della Santa Sede
Gran Maestro dell'Ordine Supremo del Cristo | |
Gran Maestro dell'Ordine dello Speron d'Oro | |
Gran Maestro dell'Ordine Piano | |
Gran Maestro dell'Ordine di San Gregorio Magno | |
Gran Maestro dell'Ordine di San Silvestro Papa | |
Gran Maestro e Cavaliere di Collare dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme | |
Onorificenze straniere
Cavaliere dell'Ordine dell'Aquila bianca (Polonia) | |
«Per il sapiente ministero durante gli anni di nunziatura apostolica in Polonia» — 25 gennaio 1922 |
Genealogia episcopale
Per approfondire, vedi la voce Genealogia episcopale |
- Cardinale Scipione Rebiba
- Cardinale Giulio Antonio Santorio
- Cardinale Girolamo Bernerio, O.P.
- Vescovo Claudio Rangoni
- Arcivescovo Wawrzyniec Gembicki
- Arcivescovo Jan Wężyk
- Vescovo Piotr Gembicki
- Vescovo Jan Gembicki
- Vescovo Bonawentura Madalinski
- Vescovo Jan Małachowski
- Arcivescovo Stanislaw Szembek
- Vescovo Felicjan Konstanty Szaniawski
- Vescovo Andrzej Stanisław Załuski
- Arcivescovo Adam Ignacy Komorowski
- Arcivescovo Władysław Aleksander Łubieński
- Vescovo Andrzej Mikolaj Stanislaw Kostka Mlodziejowski
- Arcivescovo Kasper Kazimierz Cieciszowski
- Vescovo Franciszek Borgiasz Mackiewicz
- Vescovo Michal Piwnicki
- Arcivescovo Ignacy Ludwik Pawlowski
- Arcivescovo Kazimierz Roch Dmochowski
- Arcivescovo Wacław Żyliński
- Vescovo Aleksander Kazimierz Beresniewicz
- Vescovo Szymon Marcin Kozlowski
- Vescovo Mieczyslaw Leonard Pallulon
- Arcivescovo Boleslaw Ieronim Klopotowski
- Arcivescovo Jerzy Józef Elizeusz Szembek
- Vescovo Stanisław Kazimierz Zdzitowiecki
- Cardinale Aleksander Kakowski
- Papa Pio XI
Successione degli incarichi
Predecessore: | Prefetto della Biblioteca Ambrosiana | Successore: | |
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? | 8 marzo 1907 - 8 novembre 1912 | ? |
Predecessore: | Pro-prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana | Successore: | |
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? | 8 novembre 1912 - 27 settembre 1914 | se stesso come prefetto |
Predecessore: | Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana | Successore: | |
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se stesso come pro-prefetto | 27 settembre 1914 - 3 luglio 1919 | Giovanni Mercati |
Predecessore: | Vescovo titolare di Lepanto | Successore: | |
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Biagio Pisani | 3 luglio 1919 - 19 aprile 1921 | Federico Tedeschini |
Predecessore: | Nunzio apostolico in Polonia | Successore: | |
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titolo ripristinato dal 1719 | 3 luglio 1919 - 13 giugno 1921 | Lorenzo Lauri |
Predecessore: | Vescovo titolare di Adana | Successore: | |
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Corradino Cavriati | 19 aprile - 13 giugno 1921 | Ermenegildo Pellegrinetti |
Predecessore: | Arcivescovo di Milano | Successore: | |
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Andrea Carlo Ferrari | 13 giugno 1921 - 6 febbraio 1922 | Eugenio Tosi |
Predecessore: | Cardinale presbitero dei Santi Silvestro e Martino ai Monti | Successore: | |
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Giulio Tonti | 16 giugno 1921 - 6 febbraio 1922 | Eugenio Tosi, O.Ss.C.A. |
Predecessore: | Prefetto della Sacra Congregazione del Sant'Uffizio | Successore: | |
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Papa Benedetto XV | 6 febbraio 1922 - 10 febbraio 1939 | Papa Pio XII |
Predecessore: | Prefetto della Congregazione per i Vescovi | Successore: | |
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Papa Benedetto XV | 6 febbraio 1922 - 10 febbraio 1939 | Papa Pio XII |
Predecessore: | Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali | Successore: | |
---|---|---|---|
Papa Benedetto XV | 6 febbraio 1922 - 10 febbraio 1939 | Papa Pio XII |
Predecessore: | Gran Maestro dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme | Successore: | |
---|---|---|---|
Papa Benedetto XV | 6 febbraio 1922 - 10 febbraio 1939 | Papa Pio XII |
Predecessore: | Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica | Successore: | |
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Gaetano Bisleti | 30 agosto 1937 - 10 febbraio 1939 | Giuseppe Pizzardo |
Predecessore: | Papa | Successore: | |
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Papa Benedetto XV | 6 febbraio 1922 - 10 febbraio 1939 | Papa Pio XII |
Note | ||||||||||
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