Trasporto di Gesù Cristo al sepolcro (Raffaello)
Raffaello Sanzio, Trasporto di Gesù Cristo al sepolcro (1507), olio su tavola | |
Pala Baglioni o Deposizione Borghese | |
Opera d'arte | |
Stato | Italia |
Regione | Lazio |
Regione ecclesiastica | Lazio |
Provincia | Roma |
Comune | Roma |
Diocesi | Roma |
Ubicazione specifica | Galleria Borghese |
Uso liturgico | nessuno |
Comune di provenienza | Perugia |
Luogo di provenienza | Chiesa di San Francesco al Prato, cappella Baglioni |
Oggetto | pala d'altare |
Soggetto | Trasporto di Gesù Cristo al sepolcro |
Datazione | 1507 |
Ambito culturale | |
Autore | Raffaello Sanzio |
Materia e tecnica | olio su tavola |
Misure | h. 184 cm; l. 176 cm |
Iscrizioni | RAPHAEL / URBINAS / MDVII |
Note | |
Opera firmata e datata | |
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Il Trasporto di Gesù Cristo al sepolcro, detto anche Pala Baglioni o Deposizione Borghese, è una pala d'altare, realizzata nel 1507, ad olio su tavola, da Raffaello Sanzio (1483 - 1520), proveniente dalla cappella Baglioni nella Chiesa di San Francesco al Prato a Perugia ed attualmente conservata nella Galleria Borghese di Roma.
Descrizione
Ambientazione
La scena è ambientata entro un paesaggio naturale, sullo sfondo del quale appare la città di Gerusalemme,[1] mentre su un piano intermedio è ben visibile il monte Calvario con le croci ancora erette. Appoggiata a quella centrale c'è ancora la scala utilizzata per deporre Cristo e, in basso a sinistra, s'intravedono i gradini che portano al sepolcro dove Gesù verrà posto e da cui risorgerà, come a sottolineare il susseguirsi nel tempo di azioni e di eventi.
Soggetto
Nel dipinto compaiono:
- Gesù Cristo morto, disteso su lenzuolo, sul quale viene trasportato. Le sue piaghe, che appaiono ancora sanguinanti, e l'incarnato molto pallido aggiungono un elemento patetico alla drammatica scena. Il peso del corpo privo di vita è rivelato dal netto contrasto tra il totale abbandono delle sue membra esangui e la tensione muscolare dei due trasportatori.
- Nicodemo, visivamente affaticato, sorregge il peso maggiore del corpo di Gesù, mentre sta salendo su uno scalino di pietra.
- Giuseppe d'Arimatea guarda verso lo spettatore e sta aiutando Nicodemo a trascinare il corpo di Cristo verso il sepolcro: le sue sembianze ricalcano probabilmente quelle di un membro della famiglia Baglioni.
- San Giovanni apostolo, spunta da dietro con le mani giunte: il suo personaggio è ispirato alle figure di Pietro Perugino, maestro di Raffaello.
- Santa Maria Maddalena, al centro della composizione, guarda Gesù con grande tenerezza e nel suo volto si legge un dolore incolmabile evidenziato dalla bocca leggermente aperta come a sussurrare un lamento: in questa figura sarebbe ritratta la moglie di Grifonetto Baglioni, Zenobia Sforza. Il gioco delle mani tra la Maddalena e Gesù è uno dei punti poeticamente più alti e commoventi dell'opera: c'è delicatezza ed un equilibrio che contrastano con il senso freddo di morte che pervade il corpo di Cristo. Il gesto riporta il momento in cui Grifonetto Baglioni spira stringendo la mano della madre e della moglie.
- Giovane uomo, di spalle, sostiene il lenzuolo, su cui Gesù è steso. La figura con le labbra piene e rosse di un adolescente, le braccia forti e ben formate, le calzature eleganti e la statura superiore a quella di ogni altro personaggio, ne fanno il protagonista del gruppo: questo viene tradizionalmente identificato con Grifonetto Baglioni, figlio della committente.
- Maria Vergine, svenuta e sopraffatta dal dolore, è sorretta e circondata da tre pie donne: la figura dell'Addolorata si lega alla committente dell'opera, Atalanta Baglioni.
Note stilistiche, iconografiche ed iconologiche
- Nel mettere in scena questa drammatica rappresentazione Raffaello prese a modello il Compianto su Gesù Cristo morto di Pietro Perugino - attualmente conservato a Palazzo Pitti - eseguito nel 1495, in cui Cristo è raffigurato disteso a terra secondo un'iconografia all'epoca tradizionale.[2] La pala, come testimonia l'ingente serie di studi e disegni preparatori - conservati in vari musei italiani ed stranieri - documenta il lungo e laborioso evolversi del progetto compositivo, che nacque come una Deposizione, ma che progressivamente venne reso da Raffaello più drammatico e dinamico grazie alla scelta del nuovo soggetto del Trasporto di Gesù Cristo al sepolcro.
- Nella composizione della scena, che si colloca quasi alla fine dell'esperienza fiorentina di Raffaello, l'artista si ispirò a fonti classiche greco-romane come per il volto di Giuseppe d'Arimatea che richiama quello del celebre Laocoonte, ma soprattutto all'opera di Michelangelo: se ne vedono gli influssi nella figura femminile inginocchiata che, a destra, sorregge la Madonna svenuta, rielaborazione precisa e puntuale della posizione avvitata di Maria nel Tondo Doni (1504 - 1507), nonché nell'abbandono del corpo di Cristo simile a quello della Pietà vaticana (1498 - 1499) della Basilica di San Pietro.
- Il dipinto racconta la morte di Gesù, con infinita grazia e pathos, con contrasti di colori, torsioni e movimenti. La sua è un'espressione della cristianità tutta nuova: umana perché piena di commozione, ma insieme metafisica, nell'equilibrio assoluto tra le forme e nella perfezione cromatica.
- La scena, perfettamente bilanciata, si compone di due parti, due gruppi di figure quasi speculari: quello di sinistra che ruota intorno al Cristo morto, l'altro a destra attorno alla Madonna svenuta per il dolore: queste sono presentati come due corpi, uno morto e l'altro come morto, sostenuti dall'amore e dall'affetto. Nel vortice delle figure in movimento e delle espressioni scolpite sui volti, risalta in tutto il suo drammatico abbandono il corpo senza vita di Gesù. La figura di giovane al centro del dipinto diventa il legame fra i due gruppi: appartiene, infatti, a quello di sinistra (sostiene il lenzuolo su cui Gesù è steso) ma a livello di composizione fa un tutt'uno con la scena di destra, poiché è inarcato verso quella direzione.
Cimasa, fregio e predella
La pala d'altare, che originariamente aveva un'altezza complessiva di circa cinque metri, era completata da una cimasa, un fregio ed una predella, oggi purtroppo smembrati e divisi in vari musei, che raffigurano:
- nella cimasa: Dio Padre benedicente fra angeli, olio su tavola, di Domenico Alfani (1480 ca. - 1553 ca.), amico e collaboratore di Raffaello, conservata presso la Galleria Nazionale dell'Umbria a Perugia.
- nel fregio a quattro comparti impostato sulla parte superiore della cornice, Putti e grifi coronati, conservato presso la Galleria Nazionale dell'Umbria:[3] esso presenta quattro coppie di putti alati, seduti su teste di ariete, che offrono vasi con frutti a otto grifoni cono una corona in capo e alludono o allo stemma di Perugia, o a Grifonetto Baglioni, figlio della committente. Originariamente continuo, venne segato in quattro segmenti in epoca ignota ed alcune parti sono andate perdute.
- nella predella, articolata in tre scomparti a monocromo: Virtù teologali ed angeli, tempera su tavola, di Raffaello Sanzio, esposti ai Musei Vaticani:[4] la scelta del soggetto è insolita, in quanto tradizionalmente, in questi pannelli ci si aspetterebbero scene figurative riguardanti il tema centrale della pala. Ognuna delle figure delle Virtù è inserita in un tondo nell'ambito di una superficie quadrata. Essa tende ad arcuarsi ed a divenire concava per dare spazio alle figure pseudo-scolpite. Ai lati di ogni Virtù sono presenti degli Angeli in finte nicchie, correlati in modo ricco di varianti alle figure principali.
Iscrizioni
Nel dipinto, sul gradino di pietra in basso a sinistra, figura la firma del pittore e la data di esecuzione dell'opera:
« | RAPHAEL / URBINAS / MDVII » |
Notizie storico-critiche
La pala d'altare, stando alle notizie riportate da Giorgio Vasari,[5] venne commissionata dalla nobildonna perugina Atalanta Baglioni, per onorare la memoria del figlio, Grifonetto, assassinato nel 1500 nel corso delle faide interne alla stessa famiglia per la signoria di Perugia. Grifonetto, infatti, il 14 luglio aveva ucciso nel sonno con la spada tutti i parenti maschi rivali, in occasione delle nozze di suo cugino Astorre Baglioni con Lavinia Colonna. Abbandonato dai suoi stessi familiari, compresa la madre inorridita per l'accaduto. Giampaolo Baglioni, scampato alla strage, fuggendo per tempo dalla città, e tornato a Perugia il giorno successivo (15 luglio) lo fece uccidere, in Corso Vannucci. Saputolo in fin di vita, Grifonetto venne raggiunto dalla madre e dalla moglie, Zenobia, che lo convinsero a chiedere perdono ai suoi assassini. I vestiti insanguinati dell'uomo quindi furono trasportati da Atalanta lungo la via pubblica, ed arrivata sui gradini della Cattedrale di San Lorenzo li gettò pronunciando solennemente questa frase:
« | Che questo sia l'ultimo sangue che scorre su Perugia. » |
L'opera, dopo la lunga e complessa elaborazione compositiva, venne collocata nella cappella Baglioni nella Chiesa di San Francesco al Prato, dove si trovava già da qualche anno anche la Pala degli Oddi (1502 - 1503), sempre di Raffaello. Il successo della tavola aprì le porte di Roma a Raffaello, che l'anno dopo venne chiamato da papa Giulio II.
Fino al 1608 il dipinto rimase nella chiesa, finché nottetempo, con la complicità del clero e dei frati, fu prelevato ed inviato a Roma, su richiesta di papa Paolo V (1552 - 1621), il quale ne fece dono al nipote, il cardinale Scipione Caffarelli-Borghese (1577 - 1633), che l'aveva ammirata durante i suoi studi universitari nel capoluogo umbro. Per placare le proteste dei perugini il pontefice impose al nipote di farne eseguire una copia da inviare a Perugia. L'incarico fu affidato a Giovanni Lanfranco, ma è probabile che la commissione fosse quasi subito girata al Cavalier d'Arpino, ritenuto forse più adatto ad imitare lo stile di Raffaello ed in ogni caso in quel periodo preposto a tutte le imprese decorative dei Borghese. La copia giunse a Perugia nell'agosto del 1608 e fu probabilmente collocata all'interno della cornice originale, ancora in loco, solo in seguito smontata.[6] Nel contempo, il papa emanò un breve pontificio per dichiarare l'opera originale "cosa privata" del nipote, mettendo così fine in modo categorico alla questione.
Nel 1809, in seguito al Trattato di Tolentino (1797) il dipinto fu trasferito a Parigi. Dopo il ritorno a Roma nel 1816, soltanto la scena centrale fu restituita alla collezione Borghese, mentre la predella con le Virtù teologali rimase ai Musei Vaticani e la cimasa con Dio Padre fra angeli finì a Perugia nella Galleria Nazionale dell'Umbria.
Note | |
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Bibliografia | |
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