Gesù Cristo morto e strumenti della passione (Giuseppe Sanmartino)

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Napoli CapS.Severo G.Sanmartino Cristovelato-part.volto 1753.jpg

Giuseppe Sanmartino, Gesù Cristo morto e strumenti della passione (part. Volto), 1753, marmo
Cristo velato
Opera d'arte
Stato bandiera Italia
Regione Stemma Campania
Regione ecclesiastica Campania
Provincia Napoli
Comune Napoli
Diocesi Napoli
Ubicazione specifica Cappella Sansevero, navata
Uso liturgico nessuno
Oggetto statua
Soggetto Gesù Cristo morto e strumenti della passione
Ambito culturale
Ambito napoletano
Autore Giuseppe Sanmartino
Materia e tecnica marmo
Misure l. 180 cm; l. 80 cm; p. 50 cm
Iscrizioni IOSEPH. NEAP. / SANMARTINO FECIT 1753
Note
Opera firmata e datata

Gesù Cristo morto e strumenti della passione, detto anche Cristo velato, è una statua, realizzata nel 1753, in marmo, da Giuseppe Sanmartino (1720 - 1793), ubicata nella Cappella Sansevero a Napoli.

Descrizione

Giuseppe Sanmartino, Gesù Cristo morto e strumenti della passione (1753), marmo

Soggetto

La statua, a grandezza naturale, presenta:

  • Gesù Cristo morto, adagiato su un materasso, che realisticamente si comprime per il peso del corpo. Il capo, leggermente reclinato da un lato, si appoggia su due cuscini con nappe, e determina una leggera inclinazione di tutta la figura. Ai suoi piedi sono posti gli strumenti della passione (la corona di spine, una tenaglia e due chiodi). Il Cristo è ricoperto da un velo minuziosamente ricamato ai bordi, che aderisce perfettamente alle sue forme. La trasparenza del sudario permette di intravedere la vena gonfia e ancora palpitante sulla fronte, le ferite sui piedi e sulle mani sottili, il costato scavato e rilassato finalmente nella morte liberatrice. Tutto l'insieme poggia su una coltre - il basamento in porfido - che scende lateralmente raccordata da una fascia frangiata verso il pavimento.

Note stilistiche, iconografiche ed iconologiche

  • Nella realizzazione della statua, l'artista tenne poco conto del bozzetto originale dello scultore veneto, ma come nell'Allegoria della Pudicizia, anche nel Cristo l'originale messaggio stilistico è nel velo, ma i palpiti e i sentimenti tardo-barocchi di Sanmartino imprimono al sudario un movimento ed un significato molto lontano dai canoni corradiniani. La sensibilità dell'artista scolpisce, scarnifica il corpo senza vita, che le morbide coltri raccolgono misericordiosamente, sul quale i tormentati, convulsi ritmi delle pieghe del velo incidono una sofferenza profonda, quasi che la pietosa copertura rendesse ancor più nude ed esposte le povere membra, ancor più inesorabili e precise le linee del corpo martoriato.
  • Il fascino dell'opera sta prevalentemente nello splendido velo che copre il corpo senza nasconderlo alla vista. Il sudario trasparente che avvolge Cristo con le sue increspature, non richiama minimamente la freddezza e la durezza del marmo, materiale di cui è scolpito, piuttosto ciò che appare davanti agli occhi dello spettatore sembra essere pura seta. Mai un velo è stato rappresentato in questo modo, per di più da un artista giovane e sconosciuto. L'effetto, apparentemente realistico, è nella realtà impossibile, poiché il marmo non è certo un materiale trasparente. Un velo di marmo dovrebbe coprire la scultura sottostante, sottraendola alla vista, invece questo piuttosto che coprire mostra il corpo che vorrebbe nascondere. Ogni muscolo, vena e ferita sono qui esaltate da questo tessuto che sembra impalpabile. È quasi come se le membra di Gesù si facessero più nude ed esposte, le linee del suo corpo, martoriato dalla croce, più nette e precise.

L'osservatore viene trasportato dentro una visione, poiché il sudario rivela il dolore del Figlio ed insieme quello dell'umanità intera. Il velo, invece di oscurare le fattezze del volto e la sua sofferenza, le porta in rilievo: esso è come un filtro tra lo spettatore (fedele) ed il Cristo che lo porta a riflettere sulla vita e sulla morte, permettendogli di toccare in modo tangibile sia la sofferenza che l'eternità. Il velo, dunque, non è una copertura del corpo, seppure sottile ed evanescente, ma è qualcosa che dall'interno si manifesta all'esterno. L'immagine è così autentica che trascina l'osservatore alla pietà ed allo stesso tempo richiama la tenerezza con cui viene avvolto il Cristo.

In quest'opera, Gesù è come se stesse semplicemente dormendo e come se bastasse il soffio di un alito di vento, il primo respiro del Risorto, per far scivolare via il sudario. Ecco allora, che il marmo da freddo diventa caldo, perché avvolge un corpo ancora vivo, immortale ed eterno, prossimo alla resurrezione. L'arte dello scultore ha così reso liquida la pietra, in una trasparenza perfetta. Il velo è visibile solo per un incantesimo ottico: è il corpo stesso a generarlo, piegando il marmo in sottili onde. Un sudario che separa il Cristo dal mondo dei vivi e che invita lo spettatore a contemplare il suo mistero.

Iscrizione

Nella statua, sul retro del basamento, sotto il materasso, figura la firma dello scultore e la data di esecuzione dell'opera:

« IOSEPH. NEAP. / SANMARTINO FECIT 1753 »

Notizie storico-critiche

La statua fu commissionata da Raimondo di Sangro (1710 - 1771), settimo principe di Sansevero, per la cappella di famiglia, detta anche Chiesa di Santa Maria della Pietà o Pietatella.[1]

L'opera venne inizialmente affidata allo scultore veneto Antonio Corradini (1688 - 1752), che per il principe aveva già scolpito l'Allegoria della Pudicizia (1751),[2] ma questi deceduto poco dopo fece in tempo a realizzare solo un bozzetto in terracotta, attualmente conservato al Museo Nazionale di San Martino.

Successivamente, l'incarico passò ad un giovane scultore napoletano, quasi sconosciuto, noto fino a quel momento solo come figurinaio per statuine da presepio, Giuseppe Sanmartino, al quale il principe affidò l'opera:

« Realizzerete una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco di marmo della statua. »
Giuseppe Sanmartino, Gesù Cristo morto e strumenti della passione (1753), marmo

Secondo l'idea e la volontà espressa da Raimondo di Sangro, doveva essere sistemata nella cripta della cappella, mentre attualmente è collocata, dopo vari spostamenti avvenuti nell'ambito della navata, tra i due altari di Sant'Odorisio e Santa Rosalia e tra le due statue dell’Allegoria della Pudicizia (1751) di Antonio Corradini e dell’Allegoria del Disinganno (1752) di Francesco Queirolo.[3]

Fortuna dell'opera

La fama dell'opera inizia già nella seconda metà del XVIII secolo, quando numerosi viaggiatori, più o meno illustri, si recano a Napoli per contemplarla, restandone impressionati e rapiti. Tra questi si ricorda anche Antonio Canova (1757 - 1822), che durante il suo soggiorno ne rimase così affascinato da provare ad acquistarla e da affermare:

« Avrei dato dieci anni della mia vita per poter realizzare un'opera così straordinaria. »

Inoltre, tra gli estimatori dell'opera è possibile ricordare:

« Il drappeggio, la finezza del velo, [...], la bellezza, la regolarità delle proporzioni dell'insieme. »
« Sopra un largo piedistallo è disteso un materasso marmoreo; sopra questo letto gelato e funebre giace il Cristo morto. È grande quanto un uomo, un uomo vigoroso e forte, nella pienezza dell'età. Giace lungo disteso, abbandonato, spento: i piedi dritti, rigidi, uniti, le ginocchia sollevate lievemente, le reni sprofondate, il petto gonfio, il collo stecchito, la testa sollevata sui cuscini, ma piegata sul lato dritto, le mani prosciolte. I capelli sono arruffati, quasi madidi del sudore dell'agonia. Gli occhi socchiusi, alle cui palpebre tremolano ancora le ultime e più dolorose lagrime. In fondo, sul materasso sono gettati, con una spezzatura artistica, gli attributi della Passione, la corona di spine, i chiodi, la spugna imbevuta di fiele, il martello [...] E più nulla. Cioè no: sul Cristo morto, su quel corpo bello ma straziato, una religiosa e delicata pietà, ha gettato un lenzuolo dalle pieghe morbide e trasparenti, che vela senza nascondere, che non cela la piaga ma la mostra, che non copre lo spasimo ma lo addolcisce. »
  • lo scrittore Héctor Bianciotti (1930 - 2012) che di fronte allo splendido velo, colto dalla "sindrome di Stendhal", ha affermato:
« Piegato, spiegato, riassorbito nelle cavità di un corpo prigioniero, sottile come garza sui rilievi delle vene. »

Curiosità

La magistrale resa del sudario marmoreo, che è così impalpabile e "fatto con tanta arte da lasciare stupiti i più abili osservatori" - per dirla con le parole del committente - e la fama di alchimista di Raimondo di Sangro hanno fatto nascere una leggenda che riguarda proprio il velo del Cristo: da circa tre secoli, infatti, i viaggiatori, e perfino alcuni studiosi, increduli dinanzi alla sua trasparenza, lo hanno erroneamente ritenuto frutto di un processo alchemico di "marmorizzazione" compiuto dal principe di Sansevero, il quale avrebbe adagiato sulla statua un vero e proprio velo, e che questi si sia nel tempo pietrificato attraverso un processo chimico.

In realtà, il Cristo velato è un'opera ricavata da un unico blocco di marmo, come si può constatare da un'attenta osservazione e come attestano vari documenti coevi alla realizzazione della statua, tra i quali una ricevuta di pagamento del 16 dicembre 1752, conservata presso l'Archivio Storico del Banco di Napoli, che riporta un acconto di cinquanta ducati a favore dello scultore,[5] firmato da Raimondo di Sangro, il quale scrive esplicitamente:

« E per me gli suddetti ducati cinquanta gli pagarete al magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo... »

Inoltre, lo stesso di Sangro in alcune lettere spedite al fisico Jean-Antoine Nollet (1700 - 1770) e all'accademico della Crusca, Giovanni Giraldi, descrive il velo come "realizzato dallo stesso blocco della statua."

Note
  1. La chiesa divenuta attualmente un museo aperto al pubblico.
  2. Scheda dell'opera nel Catalogo della Fondazione "Federico Zeri"
  3. Ibidem
  4. Matilde Serao, La leggenda di Napoli, Editore Perrella, Napoli 1907, p. 182
  5. Il costo complessivo della statua ammonterà alla ragguardevole somma di cinquecento ducati.
Bibliografia
  • Elio Catello, Giuseppe Sammartino (1720 - 1793), Editore Electa, Milano 2004, pp. 18-21 ISBN 9788851002258
  • Aurelio De Rose, Napoli, la Cappella San Severo. La storia, le opere, gli artisti, Editore Rogiosi, Napoli 2014, pp. 88 - 90 ISBN 9788897893660
  • Emma Muracchioli, Il Barocco in Italia: Tiepolo, Caravaggio Bernini: il paradiso della forma e del colore, col. "La Bellezza di Dio. L'Arte ispirata dal Cristianesimo", Editore San Paolo, Palazzolo sull'Oglio (BS) 2003, pp. 73 - 75
Voci correlate
Collegamenti esterni